Nintendo Switch X Indie Developers: L’Italia raccontata nei videogiochi

Dopo la tavola rotonda con le sviluppatrici italiane dello scorso 28 gennaio, Player.it ha avuto l’onore di essere ospitata al secondo evento Nintendo Switch X Indie Developers, una conferenza riservata alla stampa con gli studi indie italiani organizzato in collaborazione con IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association).

Tema centrale di questo secondo incontro, presieduto dal giornalista Lorenzo Fantoni (La Stampa, WIRED), è stata la cultura italiana raccontata nei videogiochi. Un tema che, neanche a farlo apposta, noi abbiamo toccato la settimana scorsa con l’intervista a Pietro Righi Riva, direttore creativo di Santa Ragione, in occasione dell’anteprima del loro gioco horror Saturnalia.

E proprio Pietro era presente in questo incontro come ospite, assieme a Emmanuele Tornusciolo, game designer di Italo Games (Milanoir), Elisa Farinetti, CEO di Broken Arms Games (Hundred Days) e Pietro Polsinelli, director e game designer di Open Lab (Football Drama).

Si tratta di sviluppatori che nei loro giochi raccontano il territorio italiano con punti di vista originali: dal vino al cinema poliziottesco, dal calcio agli anni di piombo, l’identità culturale del Bel Paese si fa sempre più spazio nell’industria videoludica.

Questo incontro non è stato solo un modo per raccontare i progetti dei quattro studi, ma anche una discussione che chiarisce il ruolo dell’Italia in ambito internazionale, grazie all’exploit dei giochi indie di cui Nintendo Switch ne è una fiera portabandiera: l’industria italiana, nonostante i limiti tecnici ed economici, non è più emergente, ma è affermata e ricercata all’estero da giocatori e da publisher, come constatato a più riprese durante la conferenza.

L’indie Made in Italy agli occhi del mondo

Uno degli argomenti di discussione è stata la visione che il mondo ha dell’Italia, da sempre aggrappato ai soliti cliché della pizza e delle colline toscane. Gli studi ospiti hanno raccontato come abbiano adottato strategie diverse per cercare di raccontare il Bel Paese senza scadere in retoriche spicciole.

Per la realizzazione di Hundred Days, un gioco gestionale a turni sui processi vinicoli di prossimo arrivo in questo 2021, Broken Arms Games è scesa a patti con l’internazionalità del vino, purtroppo trattata all’estero come un elemento unico della Francia. Per questo motivo gli sviluppatori hanno deciso di combattere il problema utilizzando qualche elemento francese nei propri asset grafici di gioco, giusto per strizzare l’occhio quel tanto che basta ai giocatori dei paesi esteri. Il team indie è originario della provincia di Alessandria, e tutti i suoi sviluppatori hanno un background che appartiene alle campagne del Monferrato, tra viti e vigneti.

Il vino all’estero ha un’eredità francese. Sapevamo di aver bisogno di un’estetica che strizzasse un po’ l’occhio a quella realtà. Abbiamo comunque raccontato il vino attraverso le storie locali di personaggi noti e meno noti che conosciamo, con un vissuto molto importante. È tutto un gioco di equilibri.

Emmanuele ha raccontato come Italo Games abbia cercato di inserire in Milanoir ovvi e chiari riferimenti al genere poliziottesco, un genere cinematografico che ha vivacizzato l’Italia degli anni’70, contraddistinto da azione frenetica, sparatorie e inseguimenti. Italo Games però ha cercato di non cadere troppo nei cliché più comuni, sviluppando un gioco che non fosse così tanto di nicchia di diventare chiuso in sé stesso.

La Milano di Italo Games infatti non è la solita metropoli lombarda che si può trovare in cartolina, è una Milano cinematografica e criminale, una città di vicoli secondari, strade sporche e violente.
Come ha commentato sagacemente Lorenzo Fantoni, una Milano da bere ma anche da sparare.

Football Drama invece, come raccontato da Pietro Polsinelli di Open Lab, si rapporta coi cliché in maniera opposta, cercando di mantenere quanti più riferimenti possibili all’Italia del pallone nonostante il gioco sia ambientato in un contesto più europeo.
A differenza di altri giochi calcistici, il titolo di Open Lab è un’esperienza che mette al primo posto dinamiche narrative ramificate, all’interno di una struttura di gioco a turni fatta di carte azione da giocare durante i match. Praticamente l’unico gioco di calcio dove non conta vincere, ma sbloccare il finale giusto.

Il gioco si ispira a piene mani alle vicende calcistiche ed extra-calcistiche che hanno dominato gli anni ’80 e ’90 in Europa, quando anche la Serie A era tra i campionati più seguiti, ma anche episodi più recenti dello sport più seguito dagli italiani.

Abbiamo iniziato a sviluppare questo gioco partendo dal fatto che in altri media il calcio è stato utilizzato come fenomeno sociologico e culturale in maniere molto interessanti, mentre nel mondo dei videogiochi invece viene trattato solo come simulazione, gestionale o action che sia.

Santa Ragione, secondo lo stesso Pietro Righi Riva, ha usato un approccio un po’ più da outsider con Wheels of Aurelia. Il gioco sperimentale ha dato vita negli ultimi anni a un nuovo genere videoludico, il roadtrip, un viaggio narrativo intervallato da elementi arcade, qualcosa che esiste già nella letteratura e nel cinema.

Con Wheels of Aurelia, Santa Ragione ha cercato di raccontare qualcosa che probabilmente neanche in Italia viene approfondita più di tanto, ossia i fermenti politici e sociali degli anni di piombo, un periodo oscuro dell’Italia degli anni ’70 segnato da brigate rosse, rapimenti, lotte per i diritti della donna e dei lavoratori, e tante altre dinamiche sociali che fanno riflettere anche sul nostro presente. Tutto ciò è stato raccontato senza mai dare visibilità, per esempio, a caratteristiche chiaramente riconoscibili dell’Italia per i giocatori esteri: niente Colosseo nonostante si parta da Roma, niente Torre di Pisa attraversando la Toscana e nessuno scorcio delle Cinque Terre nonostante l’ultimo tratto della Via Aurelia passi per la Liguria.

Gli anni ’70 italiani non sono particolarmente raccontati dal punto di vista politico e culturale, se non da spaghetti e panorami. […] Il mondo ha percepito l’Italia rappresentata in Wheels of Aurelia come qualcosa di così sconosciuto e alieno da sembrare incredibile.

Nintendo Switch è una indie machine

C’è un motivo semplice e fondamentale se IIDEA e Nintendo hanno deciso di organizzare questi incontri proprio mettendo al centro discussioni sul mondo indipendente: Nintendo Switch è la console che probabilmente ha dato più soddisfazioni a questo tipo di industria, permettendo con la sua formula ibrida di elevare all’HD e al divano titoli originariamente sviluppati per la portabilità, e di rendere al contempo accessibili videogiochi di peso economico più leggero a un parco di giocatori più esteso e sempre più incuriosito.

Ogni sviluppatore presente ha avuto differenti approcci, tra chi si è affidato a studi esterni e chi invece sta valutando l’uscita di titoli futuri in contemporanea con le altre console, ma tutti si sono trovati d’accordo sul giudicare Nintendo Switch come la piattaforma d’eccellenza per i propri progetti.

Wheels of Aurelia
Wheels of Aurelia

Pietro Righi Riva la definisce una indie machine dato che ha enfatizzato la portabilità di Wheels of Aurelia, le cui partite durano circa 15 minuti, consentendo ai giocatori di poter giocare partite a casa, in bagno, sui mezzi di trasporto, insomma… ovunque!

Per sviluppatori come Broken Arm Games e Open Lab, Nintendo Switch è un’opportunità per raggiungere anche nuove possibilità di sviluppo: Hundred Days uscirà più tardi nel 2021, ma lo studio si sta concentrando sulle funzionalità touch, assolutamente essenziali per un titolo strategico dominato da tanta UI. Tuttavia la vera sfida, secondo Elisa Farinetti, è da riscontrare nei controlli del gamepad, in quanto è complesso riadattarli per un gioco del genere. Pietro Polsinelli di Open Lab invece ha trovato un motivo di valorizzazione nelle illustrazioni di Football Drama, nato come gioco mobile: ora che sta per uscire su Nintendo Switch, lo studio si è concentrato sul rendere la grafica HD, dando lustro quindi a un lavoro manuale davvero esemplare.

L’industria italiana verso il futuro

L’abbiamo già accennato nell’introduzione di questo articolo e nelle ultime domande fatte a Pietro Righi Riva nella nostra intervista: l’industria videoludica italiana è in forte crescita e i videogiochi prodotti nel Bel Paese, attualmente, sono tenuti d’occhio dal resto del mondo.

Hundred Days
Hundred Days

Si è alzata molto la qualità degli studi italiani, quindi abbiamo iniziato a competere ad armi pari con alcune nazioni. L’industria estera si è resa conto di cosa c’è in Italia. Nel nostro piccolo abbiamo partnership molto importanti tra Epic Games, Stadia, Microsoft, Sony, Nintendo… per noi che viviamo sperduti nelle campagne Alessandrine, sono tutti nomi che 10 anni fa erano impensabili. È cambiato molto il panorama. Elisa Farinetti

A dare man forte alla nostra industria ci sta pensando un’associazione come l’IIDEA attraverso iniziative del genere, ma finalmente è intervenuto anche lo Stato con il First Playable Fund, un finanziamento orizzontale per le startup e le software house impegnate nello sviluppo dei videogiochi. Nelle discussioni della conferenza, tutti sono stati d’accordo nel definire il First Playable Fund un passo fondamentale per iniziare a competere davvero con il mercato internazionale, nonostante le modeste dimensioni economiche rispetto alle nazioni più competitive.

Il First Playable Fund è importante perché bisogna mettere gli investitori in condizione di investire in Italia allo stesso livello degli altri competitor. Pietro Polsinelli

Football Drama

Nonostante le conquiste del nostro Made in Italy videoludico, tutti gli sviluppatori presenti alla conferenza hanno dato punti di vista diversi e validi a una nostra domanda: di cos’altro c’è bisogno oltre al First Playable Fund per l’industria italiana?

Un quesito non semplice per la varietà delle risposte che vi si possono dare. Infatti, ogni sviluppatore ha aperto gli occhi su diversi ambiti del processo di sviluppo.

Secondo Elisa Farinetti c’è bisogno di accrescere la mentalità imprenditoriale delle nostre software house: un’iniezione di capitale e di denari come il First Playable Fund è necessaria per velocizzare la crescita delle aziende del nostro territorio, ma andrebbe approfondita una preparazione legata al business, perché anche l’industria indie è fatta di numeri, di accordi, di scartoffie e di contratti.

Milanoir
Milanoir

Emmanuele Tornusciolo di Italo Games invece pone l’accento sulla progettualità degli sviluppatori, in quanto molto spesso si è scontrato con aspettative enormi di alcuni studenti e developer emergenti che non rispettavano la realtà dei fatti: è consigliabile partire per gradi, realizzando prima piccoli videogiochi per crearsi un piccolo portfolio, invece che dedicarsi a un progetto mastodontico che non vedrà mai la luce.

Pietro Righi Riva ha acceso i fari su un altro aspetto che ci aveva già accennato nella nostra intervista: la distribuzione. Attualmente il mercato globale dei videogiochi è sempre più pieno e saturo di titoli, per questo risulta sempre più difficile emergere con progetti originali.

Nel 2011 fare un progetto sperimentale era infinitamente più facile. Oggi la competizione è più grande, e la distribuzione è troppo legata agli algoritmi che fanno emergere i generi che vanno più di moda. Ciò potrebbe limitare, magari, nuovi studi che tentano nuove strade. Pietro Righi Riva

Secondo Pietro Righi Riva, la sfida dei prossimi 10 anni dell’industria italiana è da individuare proprio nella distribuzione piuttosto che nello sviluppo vero e proprio. La domanda da farsi non sarà più “come sviluppo i miei progetti?” ma “come facciamo a far sapere che i nostri progetti esistono?


Confidiamo che questi incontri con le realtà dello sviluppo videoludico italiane, monitorate da enti come Nintendo e IIDEA, accendano sempre più i riflettori sulla nostra industria ormai non più emergente.

Il talento e la creatività del nostro territorio purtroppo sono ancora ostacolati da dinamiche più grandi e sistemiche, quali possono essere l’assenza di grandi fondi, l’elevata età anagrafica media del nostro paese o il disinteresse generale della politica nei confronti del videogioco come medium in grado di creare risorse, di far veicolare cultura e di incentivare settori come il turismo.

Tuttavia questo non significa che, piano piano, come dimostrano questi incontri a cui stiamo partecipando, il videogioco Made in Italy non stia affermando la sua autorevolezza, anzi: agli occhi del mondo i videogiochi italiani contano, e la situazione attuale non può che migliorare. Speriamo vivamente che la nostra industria nei prossimi anni diventi sempre più vivace.