Perché vogliamo scommettere sul successo di Dragon’s Dogma 2

dragon's dogma 2 cover

Ci sono giochi, emersi fra la settima e l’ottava generazione videoludica che, pur venendo fuori in condizioni di incredibile svantaggio e di isolamento rispetto a brand più forti, sono riusciti a ritagliarsi un posto nel cuore di tanti giocatori. La cosa assurda è però che la legacy di alcuni di questi giochi di successo non è stata costituita da sequel, ma su porting e remastered di ottima fattura che hanno tramandato i giochi originali di generazione in generazione.

È quello che è successo a Dragon’s Dogma, perlina action rpg di stampo fantasy targata Capcom che dopo un esordio su PS3/Xbox e PC ha goduto di un discreto successo che, unito alla sua particolare storia produttiva, ha dato il la ai produttori per la creazione dell’edizione della versione Dark Arisen. A mancare, però, era l’erede, il seguito, il sequel, il nuovo gioco per trasformare il gioco on-spot in una vera e propria saga.

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All’interno del Playstation Showcase del 25 Maggio alla fine Sony ha deciso di tirare fuori qualche filmato in grado di dimostrare lo stato di salute e l’effettivo lavoro su Dragon’s Dogma 2 con un trailer di presentazione davvero notevole.

Il nuovo capitolo della saga si è mostrato bello tecnicamente (magari non sfavillante come altri giochi di queste ultime due gen, ma parliamo sempre di un open world) e ricco di elementi che resero amabile il suo predecessore.

Per chi scrive le aspettative sono altissime, e nei prossimi paragrafi vorrei tentare di spiegarvi perché partendo non tanto da ragioni tecniche, quanto di contenuto, poiché il grande punto di forza di DD 1 era il suo essere al contempo molto “classico” e molto “peculiare”, una caratteristica non sempre riscontrabile altrove.

Forza, recuperate “armi e armature” (letteralmente): si parte sulle tracce dell’Arisen.

Dragon’s Dogma, un “classico minore”

Partiamo con una piccolissima premessa: chi scrive apprezza Dragon’s Dogma soprattutto come esempio di videogioco fantasy in grado di far vivere al giocatore una storia molto potente attraverso un impianto action spettacolare con un sistema di combattimento complesso il giusto e appagante.

Dragon’s Dogma ci collocava in un mondo fantasy dallo stile che variava fra l’high e il dark fantasy, mettendoci nei panni di una figura davvero mitologica, l’Arisen, un “uomo qualunque” che riceve il dono/maledizione di morire e risorgere con nel petto il cuore di un leggendario drago rosso, Grigory, dopo che quest’ultimo ha attaccato il villaggio di pescatori in cui abita il protagonista.

Dopo questo evento, ritrovandoci legati a doppio filo al drago, non ci restava che utilizzare l’immenso potere datoci dal suo cuore per difendere gli inermi dalle tante creature bestiali che minacciano il mondo, divenendo eroi e paladini del bene e guidando un manipolo di altri tre eroi in questa nobile impresa. Com’era lecito aspettarsi, il cammino era ricco di insidie e intrighi, nonché di battaglie epocali in grado di metterci a dura prova, ma niente di troppo duro per un eroe.

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Questo meccanismo narrativo, di per sé abbastanza banale e che esploreremo fra poco, veniva bilanciato da un gameplay come detto costruito in modo da essere appassionante e che si reggeva su due assi. 

Il primo era una certa intuitività e tendenza al poter realizzare azioni molto spettacolari; dovete immaginarvi azioni che spesso portavano il nostro Arisen a combattere contro i tanti mostri sparsi nel mondo con fendenti di spada brutali, attacchi magici mozzafiato, possibilità di coordinare gli attacchi dei nostri compagni di avventure e soprattutto quella di arrampicarci sulla groppa della bestia per colpire punti deboli come testa o collo.

Il secondo fattore era invece più ambizioso e caratterizzante e aveva come elemento centrale proprio il modo in cui veniva data la possibilità di assemblare il nostro party: una sorta di multiplayer asincrono che permetteva ai giocatori di tutto il mondo di “scambiarsi” le Pedine, ovvero compagni magici destinati a noi dalle forze arcane che regolavano il mondo per aiutarci ad affrontare il “male”, veri e propri PNG che ci aiutano nella nostra avventura.

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Un tipico party di Dragon’s Dogma (2012)

Il lato più interessante di tutto ciò era che le pedine venivano create da altri giocatori, e condivise online come in una sorta di “calciomercato” che ci permetteva di selezionarle per comporre una squadra sempre diversa e abbastanza caratterizzata (ricordiamo che ogni Pedina, come ogni PG, aveva una classe di specializzazione e un equipaggiamento personalizzabile).

In mezzo, fra queste due assi portanti, trovavamo un mondo di gioco particolare che forse costituiva anche al tempo stesso punto di forza e limite di Dragon’s Dogma.

Tra originalità e tradizione 

Tutte le idee di Dragon’s Dogma, sia a livello di game design che di confezione artistica e lore, sembravano prendere in prestito idee nate altrove, sia che parliamo di tributi al cinema fantasy che al gameplay di altri classici. 

Partiamo dallo spunto che, di fatto, era una gigantesca rapina a mano armata nei confronti di un film fantasy minore come Dragonheart (1996): è infatti da questo film che viene l’idea di un cuore di drago trapiantato all’interno del corpo di un uomo morente per dargli nuova linfa vitale, producendo degli eventi soprannaturali straordinari. 

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Ve lo ricordate Dragonheart?
Raccontava di un giovane e promettente principe che, colpito a morte durante una battaglia, veniva riportato in vita grazie al “trapianto” di una parte di cuore di un gigantesco dragone (o meglio della parte di cuore “cattiva”). Purtroppo, il rituale portava il giovane principe a trasformarsi in un tiranno sanguinario mentre il suo cavaliere / mentore e il dragone (ormai divenuto “completamente buono”) formavano una strana coppia di eroi impegnati nel distruggere la minaccia e nel portare la pace nel reame.

Anche se le sfumature di fondo cambiavano (in Dragon’s Dogma il drago è sempre e costantemente cattivo, mentre in Dragonheart la sua natura cambia in seguito al suo dono) sembrava davvero che Dragon’s Dogma avesse compiuto un “furto di concept”.

D’altro canto, il concetto di gioco prendeva pezzi da tanti altri prodotti ludici sia digitali che analogici, tutti in qualche modo collegati a un gioco fondativo come Dungeons & Dragons. La presenza di un party, la coesistenza di tante classi diverse (progressivamente sempre più specializzate), il mondo con qualche venatura dark ma in generale nutrito da un immaginario abbastanza “basic”, rendevano Dragon’s Dogma un gioco molto classico per i canoni dell’action rpg

Tuttavia, il gioco Capcom appariva come un’opera molto più povera contenutisticamente parlando rispetto ad altri giochi coevi: la mappa era molto meno vasta rispetto a open-world dell’epoca come Oblivion e Skyrim (uscito circa sei mesi prima), e mancavano elementi già a quell’epoca necessari al genere come il viaggio a cavallo o lo spostamento rapido. 

E tuttavia, questi limiti non riuscivano a intaccare l’idea di avere davanti un gioco brillante e in grado di equilibrare i suoi punti deboli con altri di forza. 

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Come accennavamo prima, nonostante la legnosità di animazioni e meccaniche, Dragon’s Dogma risultava divertente e brillante come non mai grazie alla spettacolarità del gameplay, ma anche al suo design fantasy, ispirato profondamente all’immaginario di un maestro come Kentaro Miura.

Se infatti l’ambientazione di fondo sembrava “generica”, il classico mondo fantastico pieno di elementi psedudomedievaleggianti (a eccezione di alcuni, che sembravano usciti dalla Grecia Antica come le Chimere, o qualche location che sembrava uscita da Scontro di Titani piuttosto che in Game of Thrones), spade, armature, design dei personaggi erano pesantemente ispirati al medioevo/rinascimento realistico di Berserk.

Il risultato era una sorta di gigantesco omaggio sotto forma di videogioco, in grado di farci vivere l’emozione di impugnare una vera e propria Ammazzadraghi e di falciare orde di nemici senza pietà. 

Insomma, si trattava di un prodotto riuscito, nonostante tutti i limiti, nonostante tutte le apparenti ingenuità, nonostante Dragon’s Dogma non potesse dirsi un kolossal.

Perché Dragon’s Dogma 2 può vincere tutto

Col senno di poi, Dragon’s Dogma era il classico gioco “buono in potenza ma ancora troppo grezzo”, ricco di cose fantastiche che potevano essere sfruttate meglio nonostante quanto fatto da Capcom fosse già notevole. Proprio per questo, l’idea di un sequel sviluppato proprio oggi sembra promettere un vero e proprio successo per un paio di motivi, legati da un lato all’aspetto produttivo e dall’altro a quello culturale.

Anzitutto, la Capcom del 2023 è un mostro sacro che fa diventare oro praticamente tutto ciò che tocca a cominciare da cavalli di battaglia come Resident Evil e Street Fighter (avete già letto la nostra recensione del sesto episodio della serie?), grazie a una struttura produttiva fra le più solide su piazza, all’esperienza di quell’azienda e ai mezzi tecnici di tutto rispetto che ha a disposizione, a partire dal RE Engine. Se undici anni fa Dragon’s Dogma appariva come l’esperimento minore di una major che ancora sembrava in difficoltà di fronte a una vera e propria epopea fantasy, oggi le cose sono molto diverse e promettono faville. 

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Ciò che è lecito aspettarci da una software house ormai matura e tecnologicamente attrezzata, con in mano una licenza vincente e la capacità di svilupparla al meglio e di darle tutti gli strumenti per una sua espressione matura, è quello di un gioco dagli alti valori produttivi, un tripla A, capace di imporre la sua visione delle cose anche sugli altri giochi in circolazione. Ci sono tutti gli elementi per pensare ad un nuovo Dragon’s Dogma, stavolta privo delle limitazioni che azzopparono il processo produttivo del primo.

A questo bisogna aggiungere un altro elemento: Dragon’s Dogma 2 uscirà all’interno di un contesto videoludico e immaginifico molto più propenso alle opere del fantastico.

L’immaginario fantasy di cui Dragon’s Dogma si alimenta è oggi molto più forte e diffuso; questo perché questi dieci anni sono stati praticamente il paradiso per il Fantastico, videoludico o meno, gli anni di narrazioni (come GoT o The Witcher) in grado di far crescere nel migliore dei modi nicchie seminate da giochi di due generazioni fa come appunto Dragon’s Dogma e Dragon Age.

Il risultato è una potenziale schiera di fan che non aspetta altro che la “next big thing” nel genere. Una schiera che, non dimentichiamolo, in questa generazione si sente ancora rappresentata in modo esiguo, dato che pochi sono i classici pronti a tornare, al di là di veri “casi generazionali” come Diablo IV e Baldur’s Gate III (che oltretutto non possono neanche essere definiti veri e propri “fratelli” di Dragon’s Dogma, da un punto di vista di genere). 

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Pensiamoci: The Elder Scrolls VI è ancora nelle scuderie Bethesda e non sappiamo ancora quando si paleserà, The Witcher sembra essere pronto a tornare alla carica ma, dopo un caso mediatico non certo esemplare come quello di Cyberpunk 2077, non vedrà la luce facilmente, Dragon Age: Dreadwolf spunta fuori ogni tanto e fa gli occhioni dolci.

È molto tempo che il popolo del fantasy attende una grande epopea (veramente grande), in grado di cibarlo e di soddisfarlo. Un gioco immenso, sconfinato, in grado di tenerci attaccati per ore al pad o alla tastiera anche solo per raggiungere l’ennesimo villaggio sperduto nel bosco per attivare l’ennesima quest.

Dragon’s Dogma 2 non ha una data, quindi non si può certo dire che sia in pieno vantaggio, ma ha mostrato le sue carte e viene da una factory che sembra vivere una seconda giovinezza.

Riuscirà Capcom a partorire il grande classico fantasy di questa generazione?
Non lo sappiamo, ma un colpo di scena del genere sarebbe davvero molto divertente da vivere.