Vendetta, western ed esplorazione: Ghost of Yōtei secondo Brian Fleming di Sucker Punch | Intervista al Tokyo Game Show 2025

Brian Fleming, fondatore e producer di Sucker Punch, al Tokyo Game Show per il lancio di Ghost of Yōtei.
Vendetta, western ed esplorazione: Ghost of Yōtei secondo Brian Fleming di Sucker Punch | Intervista al Tokyo Game Show 2025

Nella mia sosta al Tokyo Game Show 2025 sono stato coinvolto in una piacevole chiacchierata con Brian Fleming, founder e producer di Sucker Punch, in visita in Giappone con Erika Ishii, interprete di Atsu di Ghost of Yōtei, proprio per la promozione del gioco (Intervista a Erika Ishii qui) per scoprire qualche dettaglio in più sul nuovo gioco della serie di Ghost (recensione qui).

Sul palco dello stand Sony al TGS, Brian Fleming non ha impugnato spade come Erika Ishii, ma ha avuto modo di raccontare al pubblico nipponico la visione del gioco, in uscita proprio oggi 2 ottobre 2025 in esclusiva su PlayStation 5.

In seguito, sono stato accolto dal producer in uno stanzino addobbato per Ghost of Yōtei (in particolare con la bellissima PS5 tematica che vedete nella foto di copertina). Brain mi ha parlato fin dai primi istanti – prima ancora che potessi presentare me e Player.it! – di una vacanza che starebbe per fare in Italia. Sembra che sarà in Sicilia, mi sono sentito di consigliargli di fare sempre colazione con granita e brioche.

Primo piano di Brian Fleming sul palco del Tokyo Game Show 2025

Anche se la foto qui in alto non lo evidenzia, Brian Fleming era visibilmente la persona più entusiasta del mondo quando sono andato a intervistarlo, e ovviamente non solo per l’imminente viaggio: da come leggerete da questa intervista, non è affatto il tipico capo che parla in politichese per non sbilanciarsi troppo così da far contenti gli azionisti, al contrario mi è parso una persona appassionata che ama il suo lavoro e che sa bene quello che vuole ottenere da Ghost of Yōtei.

Intervista a Brian Fleming, fondatore di Sucker Punch e producer di Ghost of Yōtei

Ciao Brian! Congratulazioni per il gioco: nella nostra recensione gli abbiamo dato un bel 9. Vorrei partire con questa chiacchierata proprio da quello che mi ha più colpito della demo provata qui al Tokyo Game Show: la transizione istantanea dal presente al passato, e viceversa. Come vi è venuta in mente un’idea simile, e soprattutto come ci siete riusciti sul piano tecnico?
L’idea è nata proprio all’inizio dello sviluppo. Eravamo affascinati dalla possibilità di raccontare la storia di un personaggio nel suo presente e nel suo passato, con la libertà per i giocatori di passare da un momento all’altro. *fa un verso per mimare l’effetto di una transizione video*

A un certo punto ci siamo detti: e se la rendessimo una funzione base del gioco? Abbiamo fatto tantissime sperimentazioni e iterazioni. Uno dei problemi principali era di natura spaziale: se nel presente il giocatore camminava in una direzione, poi andava al passato continuando a camminare e ritornava al presente poco dopo, rischiava di ritrovarsi nello stesso punto di partenza invece che più avanti. Si creavano queste distorsioni spazio-temporali che praticamente permettevano anche di superare nemici senza farsi notare. Alla fine abbiamo deciso di limitare questo potere ad alcune aree di gioco, ma in origine doveva essere possibile ovunque sulla mappa. È stata una gran sfida.

Sul piano tecnico, diciamo che questi caricamenti istantanei ci furono già lodati in Ghost of Tsushima. La chiave in questi casi è organizzare bene la conservazione dei dati sul disco ed essere efficienti nel caricamento. Poi, aiutano tanto anche il nuovo hardware di PS5 e i suoi SSD. La transizione video comunque avviene in un istante: mentre sullo schermo vedi una brevissima distorsione grafica… *fa di nuovo un verso per mimare la transizione video* …il gioco carica tutto il necessario. Non siamo stati i primi ad avere un’idea simile comunque, quindi diamo credito anche a chi ha introdotto funzioni analoghe prima di noi.

Dopo il successo di Ghost of Tsushima, quale scelta di design o scelta tecnica è stata cruciale per rendere Ghost of Yōtei qualcosa di nuovo e non “un altro gioco” della serie?
Direi la struttura esplorativa. In Tsushima le cose importanti le trovi andando avanti nel percorso principale, sia come storia che come progressione di gioco (armi, esperienza per livellare, eccetera). Con Yōtei invece abbiamo voluto ribaltare un po’ questa logica; ci siamo chiesti: e se i sensei che ti insegnano nuove armi non si trovassero su un percorso predefinito? Se si potesse imparare una nuova tecnica quando si preferisce?

Di conseguenza abbiamo cercato di ricompensare l’esplorazione in questa maniera, che non è una cosa molto comune nei giochi story-driven. Di solito i giochi spiccatamente narrativi ti ricompensano mandando avanti la storia, noi invece abbiamo cercato proprio di farlo con l’esplorazione.

I playtester ci hanno stupito con i loro approcci, ben oltre le nostre stime iniziali. Noi pensavamo che Yōtei sarebbe stato per un 92% Tsushima e un 8% libertà extra per il giocatore, invece penso sia un 150% libertà totale! Non mi sorprenderò se i giocatori impiegheranno molto più tempo a completare Yōtei rispetto a Tsushima. Tra l’altro, internamente il nome in codice del progetto era Wanderer [vagabondo, girovago in italiano, NDR]. Quindi ti direi che questo è il cuore del progetto: ricompensare chi esplora.

Il titolo della nostra recensione è “Ghost of Yōtei ci ha fatto capire quanto costano le nostre scelte.” Sei d’accordo con questa affermazione?
Assolutamente. Io non mi considero un fatalista, credo semplicemente che abbiamo molta libertà di azione… ma questa libertà non è mai perfetta. Ogni scelta porta con sé situazioni che possono sopraffarci. Ciò che trovo interessante in tutto questo, però, è che le decisioni più importanti sono quelle che non prendiamo. Quello che gli economisti chiamano costo-opportunità.

Per esempio, mettiamola su un piano più semplice: se decidi di restare a casa nella tua stanza, il costo-opportunità è che non incontrerai nessuno, o che magari non vivrai esperienze come fare un viaggio a Parigi. Il costo-opportunità è il costo nascosto di ogni decisione. Voglio davvero credere che abbiamo un sacco di libertà di azione nella vita, ma in realtà mi piace tanto l’idea che ogni scelta possa avere più effetti, perché è solo così che ogni scelta conta davvero.

Per un gioco come questo con tematiche così profonde, qual è il processo creativo? Si pensa prima all’ambientazione o prima alla storia?
All’inizio avevamo chiari alcuni punti fondamentali del nostro gioco: il luogo (l’antico Hokkaidō), la protagonista (Atsu), il periodo storico, il tema della vendetta e gli antagonisti (i Sei di Yōtei). Tutto ciò perché volevamo un’ambientazione che ci permettesse di rappresentare un feeling da film western in Giappone.

Questo feeling western lo percepisci dalla musica, dalla tipografia, dalla UI, ma anche da alcune situazioni chiave. Nella demo del Tokyo Game Show, per esempio, c’è un segmento dove entri in un edificio e tutti si fermano a fissarti, proprio come accade nei saloon dei western.

In quel periodo l’Hokkaidō era un po’ la frontiera del Giappone, bellissima e pericolosa. Da questi pilastri poi è partito un lungo percorso iterativo per definire i luoghi, i personaggi, le relazioni, i dettagli narrativi e di gameplay.

La rappresentazione dell’ambientazione è straordinaria come lo è stata quella di Tsushima. Come si fa ad avere un risultato del genere?
All’inizio del processo, 4 o 5 anni fa, un team di artisti e di sceneggiatori ha fatto un paio di viaggi in Hokkaidō, per studiarne la cultura. Sul piano tecnologico invece, per Yōtei la chiave è stata proprio la nostra visione western. La stessa demo che hai provato, internamente l’abbiamo chiamata Frontiera perché deve darti proprio quel senso.

In Yōtei ci sono panorami vastissimi che danno l’impressione di un mondo persino più grande di quello di Tsushima. Se ti chiedessi, così su due piedi, dopo aver giocato sia a Yōtei che a Tsushima, quale gioco abbia la mappa più grande, mi risponderesti Yōtei. La verità, però, è che la sua mappa non è poi così tanto diversa in dimensioni da quella di Tsushima!

In realtà è la percezione della mappa di Yōtei a essere diversa, grazie a una quindicina di cambiamenti tecnici nel rendering, nel posizionamento della telecamera e in altri dettagli visuali che amplificano il senso di vastità. Tutto è stato costruito attraverso un lungo percorso iterativo per suscitare una reazione emotiva precisa: lo stupore di trovarsi davanti a un’orizzonte sconfinato. Avevamo diversi film western come riferimenti da cui abbiamo estrapolato il necessario per arrivarci in termini visivi con la nostra tecnologia.

In Yōtei (Ma anche in Tsushima) ci sono attività riflessive e meditative come andare all’onsen o suonare lo shamisen; una scelta insolita per quello che a tutti gli effetti è un gioco d’azione. Qual è il motivo che vi ha spinto a implementare queste attività?
L’abbiamo fatto deliberatamente proprio perché è una scelta contro-intuitiva. Accadeva già con Tsushima, esatto, e abbiamo ripreso queste feature per due ragioni principali: per prima cosa, per il contrasto. Facendo un’analogia con la fotografia, le foto migliori, quelle che all’occhio ci colpiscono di più, sono spesso dovute a un buon contrasto. Ecco, volevamo ricreare questo principio con il gioco. Con tutte le battaglie che ci sono, le armi, il sangue… volevamo bilanciare il tutto con attività calme e silenziose.

In secondo luogo, questa scelta ha avuto per noi anche un valore culturale: stiamo ambientando il gioco in Giappone, e il contrasto è proprio parte della sua cultura, così come lo sono i posti calmi e pacifici come onsen e santuari. gli spazi negativi, la semplicità e il minimalismo, il mescolamento dello yin e dello yang… Introdurre queste attività, quindi, è anche un modo per rendere l’esperienza generale più autentica.

Con Tsushima avevamo scoperto fosse un’idea vincente… Inoltre, un altro valore che abbiamo trovato in questa decisione è che in quel momento nessuno l’aveva presa…

Al giorno d’oggi è anche un’idea contro-intuitiva per il mercato
Sì, è così. Ma è anche per questo che tali attività forse sono stato tanto apprezzate, no? Là fuori il mondo è davvero rumoroso tra smartphone, televisori e internet. Faccio anche notare che Tsushima uscì in un momento particolare, quando eravamo segregati in casa per il covid. Fu bello in quel periodo avere qualcosa che fosse calmo e pacifico. Su internet si trovavano video in cui c’era semplicemente… silenzio.

Ma anche nella demo di Yōtei che ho provato al TGS, per esempio, c’erano 15 minuti di tempo a disposizione ma io 10 li ho passati a camminare e guardarmi attorno
Certo, ma ci sta. Anche questo è parte dell’esperienza, no?

Quanto della storia di Yōtei è farina del vostro sacco e quanto prende spunto da altre opere di riferimento?
È difficile da dire, sai? Siamo stati ispirati ovviamente da film samurai e western, ma anche da tutte le storie di vendetta che si raccontano nel mondo. Do tanto credito al nostro team di sceneggiatori per aver creato i Sei di Yōtei e l’arco narrativo di Atsu, ma ti rendi presto conto che è come ogni storia di vendetta… eppure, puoi trovarci molto di più se ti ci immergi dentro.

Potresti addirittura dire che va oltre il concetto stesso di vendetta: quando sei consumato da un qualcosa di simile per così tanti anni, come puoi ritrovare di nuovo i tuoi sentimenti in un mondo che scopri esistere al di fuori di ciò che ha consumato la tua vita finora?

Dopo Tsushima, come Sucker Punch avete parlato spesso di rispetto e di umiltà nei confronti di culture non occidentali. Avete modificato o migliorato qualcosa nel vostro approccio con Yōtei?
Non penso potrò mai dire che abbiamo fatto una cosa del genere nella maniera giusta o migliore. È sempre un processo di apprendimento. Quando tocchi materiali storici è un terreno pericoloso, e se sono coinvolti elementi culturali che non ti appartengono, è inevitabilmente difficile.

L’unica strategia in questi casi è darsi tempo. Fai ricerche, provi una versione, poi la mostri a persone di fiducia e scopri che hai sbagliato. Correggi, riprovi, sbagli di nuovo. Alla terza o quarta volta, forse, ti dicono “adesso funziona.”

Quello che è importante capire è che noi non volevamo ricostruire l’Hokkaidō albero per albero: volevamo catturarne solo l’essenza. Così come Jin Sakai non è mai esistito a Tsushima, anche Atsu è un personaggio inventato. L’obiettivo è renderli credibili e rispettosi nel loro contesto. Ma per riuscirci servono tempo, pazienza e tanti tentativi.

Primo piano di Brian Felming, producer e fondatore di Sucker Punch, sul palco del Tokyo Game Show per Ghost of Yōtei

Quali sono state le ispirazioni cinematografiche principali?
Questa volta soprattutto western, come già accennato. Abbiamo portato in Hokkaidō situazioni e momenti tipici del genere. Anche la musica ne porta l’influenza, pur con strumenti giapponesi, così come le inquadrature e certe situazioni. È stata una sfida molto divertente per noi.

Pensando ad altre ispirazioni, per Atsu, i colori giallo e nero del suo vestiario richiamano Enter the Dragon e Kill Bill. Non sono film giapponesi, ma hanno un legame con quell’immaginario. Parte del nostro compito, come occidentali, è proprio quello di offrire una prospettiva rispettosa e interessante sul Giappone, senza fingere che sia un prodotto locale. I giocatori giapponesi lo sanno e apprezzano se la visione è autentica.

Tsushima parlava di onore, Yōtei parla di vendetta. Il marchio di questa serie è diventato l’affrontare temi umani profondi sotto una lente d’ingrandimento puntata sul Giappone antico. Credi che questo approccio sta diventando anche una firma di Sucker Punch?
Non saprei. Ci è piaciuto raccontare di ladri cartoon in Sly Cooper, ci è piaciuto raccontare di supereroi in Infamous e ora ci sta piacendo avere a che fare con la serie Ghost. Credo che saremo sempre attratti da opportunità stimolanti di raccontare le storie di origine di personaggi interessanti.

Quindi… ora in questo momento molte persone del team vorrebbero lavorare ai Ghost ancora per altri dieci anni, ma so già che non durerà per sempre. Non credo che tra altri dieci anni saremo ancora lo stesso team, così come è cambiato tanto da Sly Cooper e Infamous. Non ho idea di cosa ci riserva il futuro, ma è normale e va bene così. La sfida è continuare a mantenersi freschi.


Ringraziamo Brian Fleming e Sony per questa interessante chiacchierata, e vi invitiamo a provare Ghost of Yotei, disponibile da oggi su PlayStation 5.