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Da quando Capcom ha annunciato di aver immesso nuovamente impegno sul brand di Onimusha è inutile negarlo: una parte del mio cuore di videogiocatore è stata felice. Questo perché quello di Onimusha è uno dei tantissimi brand legati a quella ch possiamo considerare come una nostalgica golden era del console gaming, quell’epoca PS2 in cui le produzioni erano generalmente gameplay first e molto più spesso erano piene di idee bislacche e assurdità di tutti i tipi. Onimusha 2, complice una storia produttiva davvero interessante, rispondeva esattamente a questo genere di caratteristiche.
Alla re-release di Onimusha 2 Samurai’s Destiny non manca granché e Capcom ci ha dato l’occasione di rimettere le mani su questo videogioco, con come protagonista uno dei volti più importanti del cinema Giapponese e con come contenuto l’altra faccia della medaglia di Capcom. Se da una parte l’azienda è conosciuta per gli intensi Resident Evil, dall’altra è anche arcinota per essere stata la casa che ha scelto di pubblicare videogiochi bislacchi e sopra le righe come Harvey Birdman, Killer 7, Viewtiful Joe, Under The Skin e chi più ne ha più ne metta.
Se Onimusha 1 è Resident Evil, Onimusha 2 Samurai’s Destiny avete capito perfettamente cos’è.
Vecchio dentro, nuovo fuori

L’impianto di base è quello che chiunque conosca il suo predecessore conosce: un action in terza persona, con visuale fissa su scenari prerenderizzati, in cui menare le mani affrontando demoni all’interno di un meraviglioso contesto di medioevo giapponese mescolato col fantastico.
Chiunque abbia giocato il titolo originale sarà ben rassicurato da una delle schemate iniziali, che parafrasando riporta questo concetto “tranquilli, abbiamo fatto il possibile per potervi assicurare un’esperienza quanto più attinente possibile con quello che avete conosciuto”. All’avvio del gioco si notano subito gli upgrade tecnici fatti: la grafica è in alta definizione, i filmati sono privi di pixel a vista, i controlli di Jubei sono più fluidi grazie alla possibilità di passare dal canonico “tank control system” a un sistema più gentile con il giocatore, identico a quello di Devil May Cry per capirci.
Tutto questo permette comunque ai giocatori di godersi l’esperienza nostalgica che chiaramente Onimusha 2 è: il game design, per quanto abbastanza inattaccabile da un punto di vista pragmatico, resta comunque quello di gioco di inizi anni duemila e pure il level design è da quelle parti, sebbene abbia fatto un passo avanti rispetto a quello del primo capitolo, passando da una struttura con un singolo grande livello a un hub collegato a mappe più piccole e contenute, dove poter affrontare il giusto quantitativo di puzzle e avversari.
Squadra che vince non si cambia, in odor di nostalgia

L’esperienza restaurata dagli sviluppatori di Capcom ha davvero qualche dettaglio fuori posto rispetto al videogioco originale; le caratteristiche aggiunte alla re-realese del gioco infatti sono soltanto migliorative come l’aggiunta dell’auto-salvataggio o l’aggiunta del tasto per cambiare in tempo reale le armi, esattamente come nel primo capitolo.
Ci sono però almeno un paio di aggiunte più radicali, anche in questo caso soltanto migliorative dell’esperienza. Da una parte, infatti, abbiamo il livello di difficoltà “hell” che permette al giocatore di scoprire il significato della parola frustrazione sulla propria pelle grazie alla possibilità di venir continuamente one-shottato da chiunque sulla faccia della terra. Dall’altra, invece, c’è la possibilità di divertirsi fin da subit con tutti quanti i minigiochi attraverso il comodo menù degli extra, cosa che farà sicuramente felici i giocatori veterani che hanno sempre apprezzato le bizzarrie di questo secondo capitolo.
Dulcis in fundo tra le aggiunte c’è anche una gradevolissima Gallery Mode, che permette agli appassionati di spiare nel retrobottega di Capcom per vedere come questo gioco è venuto alla luce e quanto è cambiato lo stile nel corso del tempo. Noi personalmente ci siano innamorati dei bozzetti di Keita Amemiya, regista dietro Garo, il tokusatsu moderno che ha tanti appassionati tanto nel paese del Sol Levante quanto nel nostro meno immaginifico occidente.
Conclusione
Dall’anteprima a noi sembra che Onimusha 2: Samurai’s Destiny riesca perfettamente a soddisfare le due caratteristiche che dovrebbero essere centrali per un prodotto del genere: utilizzare la nostalgia come gancio per gli appassionati e proporre un’esperienza che abbia valore anche storico. Entrambe queste cose che sembrano più che rispettate e, anzi, sembra esserci lo spazio necessario per far si che nuovi giocatori si approccino al franchise di Capcom, proprio in attesa di Onimusha: Way Of The Sword
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