Quest’anno al Play 2025, abbiamo partecipato come Player.it con un misto di entusiasmo, dubbi sulla location e curiosità. C’erano diversi giochi di ruolo e giochi da tavolo che avevano catturato il nostro occhio e la nostra curiosità, e tra questi spicca un gioco da tavolo di MS Edizioni: Arcs.
Arcs è un gioco che si presenta come un competitivo che può essere giocato sia simmetrico che asimmetrico. Apparentemente perfettamente nelle mie corde, ci prenotiamo per una sessione demo e ci presentiamo perfettamente in orario.
Michael della sempre gentile e disponibile Gilda del Cassero accoglie me e altri giocatori al tavolo e inizia a spiegarci le regole. Quella che doveva essere una semplice demo, si è trasformata in un tavolino di spiacevole catena di eventi che mi ha impedito di provare propriamente Arcs.
Dunque mi trovo qui invece che a parlarvi di quanto possa essere interessante il gioco, a ragionare sullo stato della critica in Italia, specialmente agli eventi.
E andiamo.
Regole di qui, regole di lì (ovvero una breve spiegazione di ciò che siamo riusciti a provare)

Premessa: il gioco ha un sistema di regole complesso e a molteplici livelli ciò non è un male, specialmente nel contesto dei giochi che mirano a offrire un’esperienza competitiva e profonda. Vi spiego:
Arcs vede diverse civiltà/fazioni scontrarsi per il controllo o l’egemonia di una parte di spazio. Ogni fazione ha delle risorse e degli edifici. Le prime possono essere usate per ottenere effetti o punti vittoria mentre i secondi potenziano le azioni economiche (o militari). Fin qui nulla di mai visto, ma ora giunge la parte interessante.
Per decidere le azioni che i giocatori possono compiere infatti, Arcs distribuisce ai giocatori delle carte divise per punteggio, numero di azioni e tipologia. Colui che detiene l’iniziativa gioca per primo la carta di un certo tipo ed esegue il numero di azioni indicate sulla carta del tipo anch’esso menzionato. Tutti i giocatori che seguono possono giocare carte dello stesso tipo con punteggio più alto ed eseguire più azioni, oppure possono giocare altre carte per eseguirne una sola. La carta col punteggio più alto e dello stesso tipo della prima mantiene l’iniziativa.
Per fare punti, chi gioca la prima carta deve dichiarare un’ambizione, cioè una condizione di vittoria per quella partita (o capitolo?) azzerando il punteggio della sua carta (e dunque rinunciando all’iniziativa il prossimo turno).
Le azioni variano dal combattimento, alla costruzione, all’acquisto di carte effetto ecc. Le azioni sono molteplici, la stratificazione è importante e dunque un gioco così è già difficile poterlo comprendere e giudicare in una semplice demo da due ore.
Tanto meno se la si passa a commentarla tutto il tempo, no?
Scortesie per gli ospiti

Sin da subito, infatti, mentre Michael ci spiegava le regole del gioco, un compito affatto semplice, al tavolo venivano discusse le regole. E non intendo discusse ponendosi domande per comprenderle meglio, ma messe proprio in discussione, commentate.
E mentre Michael spiegava, le regole venivano lette da alcuni al tavolo dal libricino, anticipandolo e a volte anche contraddicendo quando veniva detto. Già da questo momento l’etichetta sembrava in parte aver abbandonato il tavolo, ma il peggio è arrivato una volta iniziata la partita.
Infatti, non solo ogni turno era commentato con un’analisi in tempo reale del game design (come se dai primi turni si capisse l’interezza del gioco), ma la questione è degenerata così tanto che ha rasentato l’ostruzionismo.
Infatti, dopo un’ora di gioco e il primo capitolo su un massimo di sei concluso, nessuno al tavolo aveva fatto un singolo punto. E non perché il gioco non ne offrisse l’opportunità. Ammetto che anche io, preso dalle discussioni al tavolo ho dimenticato intere meccaniche e opzioni disponibili, e quello che doveva essere un approccio strategico e calcolato era diventato un rituale che andava avanti per inerzia.
Qualche minuto dopo il resto dei giocatori decidono – e solo dopo mi interpellano per chiedermi se mi va bene, come se potessi fermarli – che la loro demo finisce lì e che hanno visto abbastanza. Si alzano, discutono già del gioco e si allontanano, lasciandomi la sensazione di aver giocato ad una partita strana di un gioco diplomatico più che ad Arcs.
Dopo poco più di un’ora di demo la partita si conclude con ben 0 punti fatti dal tutto il gruppo.
Una riflessione
Ma io mi chiedo, se si prenota come stampa, o esperti del settore, ma anche come appassionati, un tavolo del genere di demo, non è forse rispetto almeno portare a termine la demo stessa?
L’esperienza di gioco è stata senza ombra di dubbio ambigua, alcune regole non erano chiarissime, e alcune dinamiche sono state abusate (facendomi sospettare che avessimo interpretato male qualche regola). E mi viene da pensare che forse un atteggiamento più costruttivo non avrebbe cancellato questi problemi ma avrebbe permesso di trovare una soluzione e di affrontarli con maturità.
E continuando la metafora e a coltivare l’immaginazione, mi immagino come sarebbe l’esperienza di gioco del migliore dei giochi da tavolo, anche di quelli acclamati dalla critica e ai primi posti, se affrontata con lo stesso approccio. Io ho l’impressione che la percezione e il modo in cui ci presentiamo plasmino l’esperienza che viviamo.
Quel giorno al Play avrei voluto giocare ad Arcs e vivere l’esperienza che Arcs intende trasmettere ai suoi giocatori, e invece ho provato quella che il gruppo ha proiettato arbitrariamente, a priori.
Se lavorate del settore e vi prenotate ad un tavolo demo, ma a prescindere se vi prenotate ad un tavolo demo, ve lo chiedo per cortesia: siate rispettosi e abbandonate il pregiudizio e il giudizio durante. Altrimenti non giocherete al gioco che avete davanti, ma a quello che voi pensiate sia il gioco, che sono due cose molto differenti.