Un videogioco per divertire non deve essere per forza un capolavoro

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Ribadire l’ovvio può farci sentire stupidi, ma se c’è bisogno di ribadirlo forse gli stupidi non siamo noi che lo facciamo, giusto? Un videogioco può essere un bel prodotto pur non rappresentando un capolavoro? La risposta è sì, fortissimamente sì, ma ciò che prima era scontato, oggi sta diventando molto difficile da far capire a chi vive per assecondare le esigenze riflesse degli altri.

Che cosa voglio dire con esigenze riflesse? Parliamoci molto chiaro, spesso e volentieri chi spera in un capolavoro, quando viene annunciato un nuovo gioco o prima di leggere una recensione, non lo fa davvero per se stesso, lo fa, invece, per non sentirsi dire, nel caso il gioco gli piacesse: “Ma che dici? Questo gioco è terribile, ha preso solo 7“. E così come un 9 in pagella fa felice l’alunno perché riflette le aspettative dei genitori, un 9 alla fine di una recensione ci rende soddisfatti perché chi voleva il gioco perfetto riflette sugli altri il suo appagamento nel sapere di non aver sprecato i risparmi in un preorder.

Un gioco da 7, d’altro canto, non può farci felici, non può divertirci, perché riflette su di noi la rabbia e la delusione di chi pretendeva il 9 o addirittura il 10. E perché avviene questo? Il motivo è che molti giocatori pensano erroneamente che il recensore con il suo 7 stia cercando di dissuadere il lettore dall’acquisto, imponendo il suo giudizio critico, elevandolo a responso universale che non può essere contraddetto. Ebbene, sappiate che un recensore che mette 7 a un gioco, molto probabilmente, ci si è divertito un sacco, ma la sua posizione gli ha imposto, per deontologia professionale, di far pesare dei difetti che NON necessariamente lo rendono un brutto gioco, semplicemente non fanno di esso un capolavoro.

Pertanto, può un non capolavoro essere un bel gioco? Accidenti se può. Vi parlo di alcune mie esperienze personali per farvi capire ancora meglio il concetto, sia dal punto di vista del giocatore sia da quello del giornalista.

Il primo esempio da giocatore che mi viene in mente riguarda un titolo non particolarmente famoso che oggi viene lanciato agli acquirenti a prezzi stracciatissimi un giorno sì e l’altro pure, Murdered: Soul Suspect. È un capolavoro? Ma neanche lontanamente, non sfiora nemmeno quella definizione, e infatti le recensioni sono abbastanza blande, ma a me è piaciuto davvero tanto. Da recensore, mi sarei accodato ai voti che si leggono in giro, non bassissimi, ma neanche pieno di entusiasmo, da giocatore io ho adorato la storia del killer della campana e l’atmosfera spettrale di Salem. Sono pazzo io o sono incompetenti coloro che lo hanno analizzato? Nessuna delle due ipotesi è giusta. Semplicemente, è un buon gioco che non ha avuto bisogno del 9 per attirare la mia attenzione e per catturarmi.

Ve ne dico un’altra. Questa volta il protagonista è un titolo di Insomniac Games, non tra i più celebrati: Sunset Overdrive. In verità, le recensioni non sono male, però ogni volta che si parla di questo prodotto lo si fa con sommessi mugugni che vorrebbero sottintendere che si sarebbe potuto fare di più e che Insomniac ha fatto di meglio. Be’, è vero, ma Sunset Overdrive mi ha fatto vivere una delle esperienze migliori della mia carriera da videogiocatore. Le cose folli che ho visto in quel gioco non le ho viste da nessun’altra parte, ho riso a crepapelle in tantissime occasioni, ho spento la console sempre con la soddisfazione dipinta sul mio volto.

Il giocatore non ha bisogno solo di capolavori, perché egli rimanga fiero della propria passione deve cercare ciò che per lui può diventare tale.

Vogliamo adesso spostare il discorso sull’altro lato della barricata? Come se poi recensori e giocatori fossero nemici, divisi da una trincea. Non è così ed è un peccato che per molti un voto venga visto come un affronto. Io ho recensito giochi che ho ritenuto eccezionali, ottimi, buoni, mediocri e così via, ma non crediate che mi sia divertito solo con i giochi eccezionali. Un numero alla fine di un testo di 2000 parole va messo, è prassi, ma è davvero stressante scegliere quello giusto, perché la scala di valori odierna è totalmente cambiata rispetto a parecchi anni fa. Oggi, l’8 sembra essere diventato il cosiddetto voto politico, quello che si dà a prescindere, altrimenti il giornalista non capisce nulla e/o il gioco è terrificante.

Un gioco che prende 7 è tanta roba, è proprio tantissima roba. Vi dirò di più: vi potete divertire anche con un gioco che riceve 6 o 5, in questi casi, ovviamente, sta al singolo giocatore capire quanto è disposto a spendere. Ecco, una recensione può essere vista come una guida all’acquisto, un concetto agli antipodi dallo spot promozionale. Il recensore non ripercorre le orme di Roberto Artigiani che cercava di convincerci che il V-Box II fosse la console definitiva.

Tra l’altro, i parametri classici usati per quantificare la bontà di un titolo non hanno la stessa importanza per ognuno di noi. Se un gioco prendesse 5 per la storia e 8 per il gameplay, avrebbe una media matematica di 6.5, calcolata su questi due fattori, ma potrebbe essere considerato comunque da 8 da un utente a cui la storia non interessa. E così per tutte le possibili combinazioni.

Passiamo ad esempi pratici. Una delle recensioni più difficili della mia carriera è stata senza dubbio quella di Ghost of Tsushima. La stampa estera lo ha osannato, lo ha definito capolavoro, senza mezzi termini. La stampa italiana un po’ meno, e io stesso mi sono avvicinato all’8 senza raggiungerlo, come potete leggere voi stessi. Dunque, il videogioco di Sucker Punch non mi è piaciuto? E dove sta scritto? Il combat system è appagante, impegnativo il giusto, artisticamente è eccelso, giocare Ghost of Tsushima è un’esperienza da fare assolutamente, in particolar modo se si è appassionati del contesto storico/narrativo lì proposto. Non si può dare 9 a tutto, altrimenti anche solo l’atto di mettersi seduti per iniziare a stendere la recensione diventa insensato.

Un altro esempio calzante è rappresentato da The Medium, il thriller paranormale di Bloober Team (azienda polacca entrata in partnership con Konami). La mia recensione gioca proprio con la dualità tra giocatore e recensore che non riescono a mettersi d’accordo sul voto finale perché The Medium è un buon gioco, è davanti agli occhi di tutti, ma non è un capolavoro. Pur non essendo esente da imperfezioni, il gioco che presenta l’interessante meccanica della dual reality, è godibile, può divertire e può appassionare un certo tipo di giocatore andando a colpire i suoi punti sensibili (l’amore per le saghe a cui il gioco si ispira). The Medium in certi aspetti va a centrare proprio un target preciso, divenendo capolavoro per chi rientra nel pubblico di riferimento.

Non è stato raro leggere, a seguito dell’uscita delle recensioni, commenti in cui si apostrofava il gioco con aggettivi poco edificanti perché la media del 7 era vista come la conferma che il gioco fosse una ciofeca. Il pensiero più comune voleva The Medium distribuibile solo grazie al Gamepass, quindi alla sua relativa gratuità. Un 7 può davvero causare tutto ciò? Ebbene sì, perché se non sei un capolavoro, devi rimanere sullo scaffale.

E questo pensiero che serpeggia sempre più sinuosamente mi fa un po’ paura, perché fare colazione con delle fragranti madeleine accompagnate da una cioccolata calda è sublime, ma una tazzona di caffellatte con i tarallucci mica fa schifo.