Inizio in modo inusuale, con un pronostico: preparandovi a leggere questa recensione, potreste avere tre tipi di stati d’animo, tutti e tre legittimissimi.
Numero uno: puro terrore e senso di rifiuto. Toccare Metal Gear Solid 3: Snake Eater con un remake che non coinvolge Hideo Kojima, ma solo i rimasugli dei team interni Konami che hanno lavorato con lui nel corso della sua carriera vi sa di bestemmia, di operazione commerciale, di un postumo tentativo di rivitalizzare un brand d’autore che a questo punto rischia di diventare qualcos’altro.
Numero due: siete partiti da posizioni simili ma, guardando i trailer di Metal Gear Solid: Snake Eater Delta diffusi negli ultimi anni da Konami e vi siete ricreduti, o meglio credete di aver fiutato qualità e avete deciso, anche se a fatica, di dare fiducia al progetto.
Numero tre: al diavolo Kojima, Metal Gear Solid è la vostra serie videoludica preferita, siete cresciuti con essa e la sola idea di attraversare le giungle del sud dell’URSS in Unreal Engine 5 vi fa venire voglia di spendere 70 euro a occhi chiusi sbattendovene di tutti i pregiudizi del caso.
Io, amici, appartengo alla categoria numero due, con un pizzico di numero uno dovuto a un amore infinitesimale per i Metal Gear Solid di generazione PS2 e per il fatto che il primo capitolo della serie, quello del 1998, sia probabilmente la mia esperienza videoludica più “fondativa”.
Oggi sono qui alle prese con l’impegnativo e gravoso compito di giudicare un remake ai limiti del sacrilego, forse un remake addirittura “sbagliato” per alcuni versi (mi spiegherò tra poco).
Non l’ho fatto a cuor leggero, credetemi; ma, riemerso dalla giungla, nel riflettere su ciò che ho visto e provato in questi giorni, porto a voi solo senso di meraviglia… ed entusiasmo.

Una visione rispettata
Partiamo da una riflessione: non tutti i remake che negli ultimi anni hanno invaso le nostre console sono uguali, nel senso che lo spirito che ha animato le diverse trasposizioni di giochi di una, due o addirittura tre generazioni fa è stato molto vario. Silent Hill 2 di Blooper Team (2024), per esempio, è quello che definirei un coraggioso remake d’autore di un classico, con un team ultra specializzato nell’horror messo da Konami a dare una visione personale del capolavoro del 2001, nonché di adattarlo alla sensibilità contemporanea.
Viceversa, un Resident Evil 4 Remake è un prodotto molto più “industriale”, sviluppato principalmente per pompare al massimo il materiale originale sfruttando le tecnologie e la sensibilità corrente, così da creare un blockbuster in grado di rendere accessibile l’originale del 2005 alle nuove generazioni.
Ecco, andando dritto al punto possiamo dire che Metal Gear Solid Delta va fieramente in quest’ultima direzione, anche produttivamente: nel trasporre quello che forse è l’episodio più importante della serie di spionaggio tattico più importante della Storia videoludica, il colosso giapponese ha dato le chiavi in mano a team interni e gli ha detto
“Ci serve un Metal Gear Solid 3 tirato a lucido, estremamente aggressivo da un punto di vista tecnico/visivo e in grado di convincere il giocatore proponendogli un’esperienza appassionante”.

Avremo modo di vedere nel dettaglio che cosa ha significato ciò per Metal Gear Solid Delta in termini ludici e tecnici, ma quel che dobbiamo mettere subito in chiaro che, da un punto di vista “filologico” e tematico, si tratta di un remake estremamente conservativo, che prende tutto il materiale kojimiano, inquadrature delle cutscenes comprese, e lo ricrea con le tecnologie dell’oggi, senza aggiungere nulla e senza togliere. C’è tutto: da un punto di vista di storytelling troviamo una trasposizione 1:1 di ciò che accadeva nel gioco del 2005, da un punto di vista tematico ci sono i nonsense kojimiani, il tono machista dovuto agli omaggi a 007 e Rambo e la critica spietata al potere assoluto e al militarismo che contraddistingue la serie.
L’unica “aggiunta”, da questo punto di vista, è una didascalia iniziale che tenta di contestualizzare al meglio temi che vengono trattati nel gioco e che oggi potrebbero risultare “datati” (come l’insistenza sulla figura da donna-oggetto di EVA, per esempio), un’operazione che, al netto di come la si pensi sulla faccenda, ha una sua logica.

Se quindi il vostro timore era quello di trovarvi di fronte uno stravolgimento della poetica di Kojima o un qualsiasi rimaneggiamento, tranquilli perché siate in una botte di ferro. Di fatto, Metal Gear Solid Delta assomiglia a un immenso monumento al videogioco del 2005, un omaggio sentito e appassionante, in grado di emozionare e divertire esattamente come venti anni fa. Ci si potrebbe chiedere, legittimamente, se un’operazione del genere fosse ciò che serviva al brand in un momento storico post-Kojima, e quale sia il futuro del brand dopo quest’operazione, e vorrei scrivere a riguardo, ma credo che sia molto prematuro, quindi forse questo è un topic per un’altra volta, per un’altra “indagine”.
Una confezione sontuosa
Come appare Metal Gear Solid 3 in quest’edizione aggiornata agli standard tecnici attuali? Molto, molto, molto bello, e questo nonostante qualche inciampo risolvibile e nonostante si sia passati dallo storico Fox Engine della serie al più “mainstream” Unreal Engine 5.
L’obiettivo di Konami, del resto, non poteva che essere quello di dare ai giocatori la versione definitiva di Snake Eater, capace di dare una veste aggiornata e “competitiva” a quello che già ai tempi di PlayStation 2 era considerato un prodotto “avanti con i tempi”.
Per scrivere questa recensione ho deciso di provare il gioco nella modalità Prestazione, che garantisce i 60 FPS in 4K d’ordinanza.

Al netto di alcuni rallentamenti o imprecisioni che credo verranno aggiustati già con le prime patch post-day one, Metal Gear Solid Delta è fluido, pulito e veloce, e garantisce un’azione divertente e frenetica anche nelle azioni più concitate, rendendo l’esperienza assolutamente gradevole.
In modalità Grafica ovviamente il gioco flette i muscoli e mostra dettagli inediti, ma a dir la verità la differenza è davvero minimale e anzi dopo un paio di prove ho preferito tornare all’altra modalità senza pentirmene poi così tanto.
Da un punto di vista di puro design, il gioco presenta uno stile leggermente meno “mangoso/kojimiano” e più tendente al realistico, e il risultato di ciò è un po’ altalenante a seconda di cosa si guarda. Parlando dei personaggi, per esempio, l’aspetto di Snake, più il linea con la parziale rielaborazione di MGS V, potrebbe far storcere il naso ad alcuni puristi, mentre nel caso Volgin ho trovato questo nuovo stile estremamente più adatto: se nell’originale il villain appariva “solo” una splendida macchina da guerra d’ispirazione manga, in Delta l’impressione è di avere davanti una vera e propria versione fantascientifica di Dolph Lundgrenn ai tempi d’oro, il che non può non far piacere ai giocatori più cinefili e amanti delle citazioni o dei rimandi (abbastanza fondati tra l’altro, se pensiamo a quanto Kojima sia sempre stato cinefilo).

In generale, il rifacimento grafico dona ai giocatori un colpo d’occhio estremamente soddisfacente, con scenari dalla palette accattivante, la profondità di campo assolutamente necessaria a un gioco che fa della guerriglia in ambiente boscoso il suo cuore e soprattutto una ricostruzione dei livelli originali condotta con la giusta perizia, poiché rende giustizia al gioco originale e riesce ad aggiornarlo in maniera convinta e naturale.
Poco da segnalare, invece, sotto il profilo musicale: l’intero comparto audio e il doppiaggio sembrano essere stati mantenuti e al massimo rinforzati dalle tecnologie contemporanee, com’è giusto e sacrosanto che fosse.
Gameplay: il piatto forte
E veniamo a quello che probabilmente è il vero cuore di Metal Gear Solid Delta, ovvero il gameplay, sicuramente il vero motivo per il quale a mio parere dovreste spendere i vostri soldi anche qualora foste dei kojimiani di ferro con a casa praticamente tutte le edizioni esistenti di Metal Gear Solid 3, inclusa la Master Collection uscita nel 2024 su PC e console di generazione corrente e della scorsa.
Partiamo da un fatto: la grande speranza per Metal Gear Solid Delta non era tanto quella di poter rigiocare un gioco ormai vecchio ma comunque tutto sommato ancora accessibile (soprattutto grazie alla già citata Master Collection), né in fondo di ritrovarci davanti al “graficone spaccamascella”, quanto quella di una versione che includesse tutte le innovazioni introdotte da Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots e soprattutto in Metal Gear Solid 5. Cose come poter inoltrare nella giungla procedendo chini e non più solo strisciando, potendo in questo modo utilizzare al meglio tutte le opzioni tattiche presentate dall’ambiente.

Altra introduzione molto importante è la possibilità di poter entrare in modalità prima persona all’occorrenza, affrontando l’intero gioco in soggettiva.
Non serve essere esperti del brand per comprendere come queste aggiunte siano minuzie solo all’apparenza, e che viceversa impattino su tutto il sistema di gioco, soprattutto all’interno di un ambiente ostico come la giungla: attraversare del fogliame in soggettiva ci potrà permettere di renderci subito conto se stiamo per finire sul percorso di una sentinella, o di individuare una preda.
Molto interessante è infine l’introduzione della visuale alle spalle del personaggio, che avvicina l’esperienza a quella degli action in terza persona contemporanei e che rilegge quello che già Kojima aveva fatto all’epoca con il grandioso Subsistence; si tratta di una feature facoltativa, che può essere selezionata quando vogliamo durante la partita.

Ormai stanco dell’approccio classico dopo decenni di fede metalgearsolidiana, nella mia partita ho deciso di adottare la nuova modalità, e ho sentimenti misti su quale sia meglio: se da un lato la visuale originale ha ancor oggi il suo fascino ed è forse un modo più naturale per giocare Metal Gear Solid come lo concepiva papà Kojima, d’altro canto la nuova prospettiva riesce a immergere di più e, grazie a ciò, a rinfrescare la formula; d’altro canto, le suddette introduzioni della soggettiva e della camminata china puntellano il versante tattico del gioco, permettendoci di mantenere sempre il controllo della situazione e di pianificare con cura gli spostamenti anche senza la tipica visuale semi-isometrica della serie originale.
Per il resto, tutte le meccaniche del gioco sono state mantenute inalterate, inclusa la dinamica caccia-cibo, che come nell’originale ha un ruolo importantissimo (soprattutto man mano che il livello di difficoltà aumenta e l’approccio si fa più survival).

Meccaniche vecchie e nuove matchano alla perfezione, e dal loro incontro nasce un gameplay che non solo rinvigorisce il divertimento già proprio del gioco originale, ma esalta al massimo il level design dando da riflettere su quanto già vent’anni fa Kojima fosse avanti nel dare libertà di approccio al giocatore (forse, il vero motivo per cui Metal Gear Solid 3 rimane nella memoria come “IL” capolavoro della serie).
Se proprio una critica si può fare a tutto questo ben di Dio, è l’assenza dell’introduzione di uno “scatto”: più di una volta ho pensato che sarebbe stato molto interessante poter far sì che Snake si lanciasse da una parte all’altra della mappa, magari all’arrivo di un nemico, un’opzione che forse avrebbe reso il moveset ancora più dinamico. Alcuni di voi potrebbero obiettare che la cara e vecchia capriola ha esattamente quella funzione, ma per gli standard di gioco ai quali siamo abituati oggi risulta una scelta un po’ “incamiciata”, non molto accattivante.
Conclusioni
Metal Gear Solid Delta: Snake Eater è un monumento digitale a uno dei più bei videogiochi dell’inizio del millennio e, forse, di sempre, ricostruito con un taglio lodevole: a fronte di un gameplay aggiornato con estremo rispetto per il materiale originale grazie una meritoria operazione di cesello che riesce ad accontentare sia fan storici che neofiti, l’intero comparto artistico è rimasto inalterato, restituendo al giocatore una versione potenziata della visione di Hideo Kojima. Se cercate una rilettura del classico del 2005 siete fuori strada, ma se tutto ciò che volete è godervi quest’epopea con occhi contemporanei avrete un’esperienza indimenticabile.
Voto finale: 8.5
