Stalker Call of Pripyat: Recensione

Recensione di Fabiano “Deimos” Zaino

Correva l’anno 2005 quando piccole voci di corridoio, confermavano l’esistenza di un gioco dalla grafica spettacolare che raccontava la storia di uno dei disastri atomici più brutti della storia: l’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl. Il gioco in oggetto si chiamava Stalker ed era programmato da una casa ukraina di nome GSC. Alla fine del 2005 e durante tutto il 2006, il gioco si perse nella nebbia per tutta una serie di problemi legati alla programmazione ma nel 2007 arrivò ufficialmente sugli scaffali di tutto il mondo. Il successo non fu immediato come si sarebbe pensato, questo anche per colpa di una serie di bug presenti nel motore grafico ma nonostante questi difetti, fu uno de titoli più apprezzati della stagione 2007. Le carte vincenti nella mano di GSC erano una immersione quasi perfetta con un mondo di gioco che poteva “vivere” benissimo anche senza le azioni del giocatore, pedina comunque anch’essa importante nella storia generale. Nel 2008 arriva il seguito ufficiale chiamato Clear Sky, che però si presenta come sequel/prequel delle vicende narrate nel primo Stalker ma si differenzia anche per l’azione di gioco, andando a svilupparsi più come action game che non come survival rpg come era stato per il primo capitolo. Oggi, all’alba del nuovo anno, GSC non ha gettato la spugna e anzi ci propone il nuovo capitolo della sua serie: Call of Pripyat è finalmente arrivato nei nostri monitor.

DISASTRO IMMINENTE
Una delle caratteristiche principali di Stalker, è la sensazione che lo scenario che ci circonda possa collassare da un momento all’altro su se stesso. Se da una parte questa frase può essere letta come fine a se stante, c’è da aggiungere che nel mondo di Stalker, la fine è davvero sempre vicina: ovviamente non parlo della morte del personaggio principale ma proprio della fine del mondo. La “zona” come la conosciamo da due giochi a questa parte è un luogo estremamente pericoloso e radioattivo, dove ogni vortice di energia o ogni anomalia atmosferica si può trasformare in una trappola mortale. Ma, cosa ancora più importante, verso la fine del primo capitolo, abbiamo capito come la “zona” si riavvia in una sorta di limbo temporale ogni tot di tempo e questa particolare tempesta, chiamata “blowout”, porterebbe alla morte immediata del giocatore se non riesce a nascondersi in tempo alla tempesta. Situazione mica da ridere che può capitare praticamente in qualsiasi momento del giorno (non della notte, strano ma passabile) e che ci porta a tenere sempre la linea della tensione al massimo. Ancora di più se andiamo a prendere in considerazione che nella “zona”, non esistono mezzi a motore (per via delle interferenze) e che dunque dovremo farcela sempre a piedi da un punto all’altro. GSC ha dunque la forza di continuare a non sottoporre all’attenzione del giocatore dei mezzi di movimento che non implementano la benzina ma solo le varie guide sparpagliate per la mappa di gioco (immensa) che ci conducono tramite contante sonante, dove vogliamo. Altro elemento particolarmente aggressivo della “zona”, saranno le mutazioni genetiche che mai come in questo caso, ragionano come gruppo e non come bestie a se stanti come capitava nel primo e nel secondo episodio.

Call of Pripyat riesce, ancora una volta e maggiormente in questo capitolo a regalare una “zona” davvero paurosa in cui il giocatore dovrà affrontare le varie missioni secondarie con i piedi di piombo perché non basta avere l’arma potente o la tuta più resistente, in Stalker si può morire anche per una piccola anomalia mal considerata. Ma parliamo ora della missione principale e di quelle secondarie: in primis saremo chiamati a verificare la caduta di alcuni mezzi militari che passavano sopra ai cieli della “zona”, purtroppo però, alcuni di questi elicotteri sono finiti in scenari a dir poco difficoltosi e starà a noi trovare una soluzione al raggiungimento del compito. Se da una parte nel primo capitolo eravamo degli Stalker in cerca di ricchezze e nel secondo eravamo dei soldati, qui impersoneremo un soldato delle operazioni speciali, questo ci permetterà di non essere visti male da quasi nessun personaggio ma allo stesso tempo saremo degli “sconosciuti” in terra sconosciuta e dovremo faticare per entrare nelle grazie dei vari Stalker della “zona”. Largo allora a missioni secondarie non propriamente originali ma ben gestite per quanto riguarda lo scenario post apocalittico. Se conoscete già il mondo della “zona”, non troverete nessun genere di avanzamento creativo nel dover cercare il solito palmare contenente dati importanti, la solita persona scomparsa o la solita pietra anomala dai grandi poteri. Ancora, ci saranno missioni che ci porteranno a verificare la natura di alcune anomalie o la ricerca di un determinato oggetto in una fabbrica abbandonata. Nulla di estremamente nuovo sotto il sole se non per le zone del gioco che mai come in questo caso, rappresentano la devastazione di Chernobyl. Ovviamente, come è scritto nello stesso nome del gioco, dovremo raggiungere la città di Pripyat per vedere l’esito finale della nostra missione.

STALKER, MILITARI e ANOMALIE GENETICHE
I giochi di Stalker si sono sempre distaccati dagli altri del settore per uno studio più approfondito dell’intelligenza artificiale generale. Alla GSC hanno sempre puntato le loro carte sulla A-Life che poi sarebbe la programmazione che gestisce tutte le creature umane e non della “zona”. Call of Pripyat eleva ulteriormente l’intelligenza strutturale di ogni soldato o mutato del gioco e riesce a stupire il giocatore con tattiche di fuoco o di copertura davvero notevoli. Se da una parte abbiamo delle “creature” che oltre a caricarvi non sanno fare altro (cani mutati, bestie mummificate, zombie etc), dall’altra dovremo affrontare veri e propri gruppi di soldati che si muovono come una squadra farebbe nella realtà, coprendosi le spalle a vicenda e attaccando insieme il bersaglio. Capirete dunque che per abbattere uno o più nemici è assolutamente sconsigliato andare a cercare la mischia perché vi ritroverete (quasi sempre) ad essere voi contro tre o cinque individui pesantemente armati e arrabbiati. Le tattiche di guerra contemplano dunque anche azioni stealth e devo dire di essere rimasto particolarmente soddisfatto nel constatare che se (finalmente) ci si nasconde al buio e si evita di attirare l’attenzione con un rumore troppo alto (massima attenzione a quello che calpestiamo), le guardie potrebbero bellamente non notarvi ma allo stesso tempo, accenderanno le torce a spalla per beccarvi. Semplicemente fantastici sono poi gli aggiramenti che i soldati nemici possono arrivare a pensare per uccidervi: non poche volte mi è capitato di affrontare gruppi di persone e scoprire amaramente che mentre due mi tenevano bloccato sparandomi addosso, uno aggirava la mia posizione per chiudermi dentro una morsa di fuoco letale.

FPS/RPG/SURVIVAL     
Per i giocatori che si affacciano per la prima volta nel mondo di Stalker, confermo che a differenza del secondo capitolo più incentrato sull’azione, questo Call of Pripyat è tornato sui passi del primo gioco e ripropone situazioni più Survival miste all’RPG duro e puro. Dovremo dunque tenere sempre in considerazione una serie di opzioni che ci garantiscano la sopravvivenza all’interno della “zona”. Bisognerà avere una buona protezione da radiazioni o una buona armatura per gli scontri a fuoco. Portarsi sempre del cibo appresso di modo da non rimanere senza forze e di conseguenza evitare l’affaticamento del corpo. Introdotta la possibilità del recupero della vita non solo tramite i medi pack o le garze per le lievi ferite ma anche tramite il sonno. I giocatori che non dormiranno mai, saranno più soggetti all’affaticamento e le conseguenze potrebbero essere drammatiche. Ancora, tutta la situazione intelligenza artificiale è gestita al meglio per permetterci di fare delle scelte che cambino radicalmente la situazione gioco. Per farvi un esempio, se nella prima area si ammazzeranno troppi Stalker, saremo assolutamente mal voluti dalla comunità e dunque non potremo farci assegnare nessun genere di missioni e di conseguenza, scordatevi di migliorare fisicamente e come attrezzature. Altra differenza fra i primi due Stalker riguarda l’ambiente nelle situazioni notturne, vi giuro che mai come in questo Call of Pripyat, terrete costantemente le orecchie aperte e il dito sul grilletto per qualsiasi cosa che si muove intorno a voi. Fra l’altro, oltre alla torcia a spalla, segnalo che vedere di notte e una cosa assolutamente quasi impossibile. I programmatori hanno dunque puntato molto sul realismo e sull’immersione di un mondo che rispetta molto bene le leggi della natura.

LA ZONA    
Se avete visto qualche filmato promozionale del gioco, saprete già che anche Stalker, finalmente, può essere fatto girare sotto le directx 11 di Windows 7: questo ha comportato gli sviluppatori a cancellare le vecchie linee di programmazione in favore della nuove ma non solo. Tutta la “zona” ha subito un processo massiccio di restyling, andando a toccare punte di spettacolarità grafica davvero eccellente. Le immagini a corredo non dimostrano neanche il 10% della bellezza visiva che avrete modo di ammirare e della complessità strutturale che tutta la “zona” è capace di ridare, fornendoci di uno dei motori grafici più compatti in assoluto. Tutto quello che vediamo su schermo sarà completamente e esplorabile e non parlo di poche casette disposte ad oc ma di vere e proprie zone industriali o cittadine in decadenza: la città di Pripyat, la stazione ferroviaria (grandissima nei suoi scali abbandonati) di Yanov, la fabbrica di Jupiter o il villaggio di Kopachi, sono solo alcune delle aree realmente esistenti che gli sviluppatori hanno modellato in maniera sublime. Il motore grafico X-Ray Engine non è mai stato cosi ricco di dettagli e di bilanciamento. La gestione della luce del giorno e della notte o quella degli effetti atmosferici, regala una visione davvero pazzesca sulla soglia del realismo. Cosi come realistici e ben modellati sono quasi tutti gli ambienti esterni della “zona” e i mezzi militari e civili che troveremo abbandonati al proprio destino. Purtroppo, quello che risulta meno spettacolare sono la modellazione dei soldati e delle animazioni facciali che non sempre fanno gridare al miracolo. Stessa cosa per le texture generali del gioco: quelle degli edifici abbandonati e delle fabbriche sono davvero pazzesche mentre i soldati, gli Stalker o i militari sparsi per la mappa, non si differenziano troppo gli uni dagli altri. Sempre sul piano della grafica, segnalo poi un comportamento del cielo davvero pazzesco, con texture chiaramente fotografate dalla realtà che però andranno a modificarsi nel corso della giornata – diversificandosi a sua volta con manti di nuvole diversi anche a seconda delle piogge che ci colpiscono, dall’afflusso temporalesco leggero a quello più tempestoso.

Tutto questo ben di Dio grafico necessiterà però di una configurazione hardware di spessore per le risoluzioni più avanzate. La macchina di prova del gioco era dotata di un quadruplo processore e di ben 6 GB di ram con scheda video da 1GB e tutto filava alla perfezione con gli effetti attivati al massimo con ombre a anti aliasing impostato sul 6x. Su una macchina medio potente, il gioco risulta abbastanza scalabile e giocare ad una risoluzione di 1280×768 con gli effetti attivati in medio, è comunque abbastanza accettabile come livello visivo. La vera differenza arriva se si gioca con una scheda video che supporta le nuove directx 11, in questo caso effetti di bump mapping e particellari evoluti, rendono il gioco visivamente quasi vicino al fotorealismo assoluto anche grazie all’uso di texture davvero reali del mondo di gioco. Peccato per alcune situazioni con elementi particellari non proprio all’altezza ma c’è talmente tanta carne al fuoco sul piano visivo che si perdonano volentieri.

L’ultima nota da descrivere prima del commento finale è la parte audio.
Call of Pripyat, come anche i suoi predecessori, basa la sua esperienza audio prevalentemente sul piano ambientale e meno sulla scarsa colonna sonora. Quello che ci circonda non può essere zittito da una vera e propria colonna sonora anche perché saper “ascoltare” è essenziale per la nostra sopravvivenza. In questo terzo capitolo per di più, è stata implementata l’opzione chiasso ed è dunque assolutamente indispensabile stare attenti a dove si metteranno i piedi visto che superfici diversi, produrranno suoni diversi. Metallo e acqua ad esempio, sono più rumorosi dell’erba e del legno, cosi come il rumore della terra e meno rumoroso della ghiaia o della pietra. Attenzione dunque alle situazioni stealth in cuo un rumore fuori posto può costarvi la salute.

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