Quando un’operazione nostalgia viene posta in essere, porta con sé un’unica certezza: il pubblico sarà diviso. Ci sarà chi ne tesserà le lodi, definendo il ritorno di un brand del passato, qualcosa da celebrare in modo da non dimenticare le radici del medium; ci sarà chi, d’altro canto, urlerà alla mancanza di idee, enunciando la perentoria morte del medium. Non vi sarebbe dunque nulla di strano, se la polarizzazione avesse questi due estremi. La cosa grave, sarebbe l’indifferenza.
L’indifferenza è ciò che davvero può uccidere un prodotto o un’intera operazione commerciale. E all’indifferenza si giunge, quando quel prodotto non riesce a creare alcun motivo di discussione, sia esso positivo o negativo. Perché è vero che tra 10, 15, 20 anni la gente ricorderà un Clair Obscur: Expedition 33 per l’eccezionale qualità come si ricorderà di Lord of the Rings: Gollum per quanto fosse scadente. Viene però da dubitare sul fatto, che Shadow Labyrinth possa rimanere nella memoria collettiva.
Shadow Labyrinth è il nuovo gioco sviluppato e distribuito da Bandai Namco Studios, che già con l’episodio “Pac-Man Circle” della serie di Prime Video, Secret Level, aveva tentato di gettare le basi per un’operazione decisamente singolare. Tramite Shadow Labyrinth infatti, Bandai non puntava soltanto a ripescare dal calderone dei ricordi, dando una nuova e più oscura flemma al personaggio di Pac-Man, insolito Virgilio del nostro gamethrough. L’obiettivo parrebbe quello di riprendere tanti elementi del passato dell’azienda, creando un universo condiviso, narrativamente complesso.
Vi avevamo già raccontato le nostre prime impressioni in anteprima, solo qualche settimana fa. In quella sede, avevamo notato come diversi aspetti potessero risultare interessanti, imputando la scarsa efficienza di alcune meccaniche alle sezioni giocate, fin troppo frammentate per permettere di godere a pieno di ogni idea che il team aveva pensato. Dopo aver provato il gioco completo, siamo pronti a chiarire quanto Shadow Labyrinth sia riuscito a rispettare le aspettative e quanto, invece, abbia deluso.
Una narrazione apocalittica
Trama e narrazione di Shadow Labyrinth, possono contare su alcune componenti decisamente interessanti e che nei primi momenti della storia, riescono anche a stupire in maniera positiva: nessuno si sarebbe aspettato di ritrovare Pac-Man, un’icona così colorata, diventare demiurgo e demone, guidando un misterioso protagonista, lo Spadaccino N.8, verso un obiettivo inizialmente ignoto.
Muovendoci in un pianeta alieno, tra scenari che spaziano dalla vegetazione incontaminata alle più avanguardiste tecnologie, scopriremo come il nostro Spadaccino non sia altro che soltanto un ennesimo sperimento, messo in moto proprio da quel “Pac-Man” che conosciamo e che pure ci è così anodino.

Se però in un primo momento, la curiosità può dare quella scintilla che permette di nutrire reale interesse per gli eventi a schermo, non passa poi troppo prima che l’eccessiva confusione degli eventi, porti a perdere di vista l’obiettivo finale. La ricerca del criptico a tutti i costi, è forse il più grande problema: negli anni, sono stati tanti i videogiochi che hanno utilizzato la frammentazione della narrazione come tecnica, andando a centellinare le informazioni tra la descrizione di un oggetto e un dialogo nascosto.
In Shadow Labyrinth, il concetto viene portato all’estremo: vengono adottati dialoghi e descrizioni, pregni di una brevitas mai esaustiva. Tutto ciò, unito al fatto che gli “stralci” di trama non si trovano con chissà quale frequenza e che, vista la natura metroidvania si rischia di passare ore intere senza mai averne cenno, si finisce con il venir totalmente abbandonati a se stessi, mentre una trama sempre meno interessante si dipana una goccia alla volta.
Quando ci si diverte?
Passando al gameplay, le cose non migliorano decisamente ma per motivi leggermente differenti. Shadow Labyrinth si propone infatti come un action a scorrimento laterale, in cui il nostro Spadaccino N.8 dovrà utilizzare al meglio tutte le sue abilità (1), per riuscire a sfangarla contro tutti i nemici (2) che si annideranno per i labirintici livelli (3).
(1) “dovrà utilizzare al meglio tutte le sue abilità”
Il combat system di Shadow Labyrint, è tra i più semplici e banali visti negli ultimi anni, in un metroidvania. Pare infatti attingere molto più a classici di genere platform, ai tempi in cui A serviva a saltare e B ad attaccare. Lo Spadaccino potrà limitarsi a scagliare dei fendenti, per una combo che non va oltre i tre colpi, e un colpo “speciale” che utilizza la barra ESP (mana/energia).
Come abilità difensive invece, potrà contare su una schivata e una parata, più altre capacità che potrà sbloccare nel corso dell’avventura. In poche parole, si tratta di un combattimento che viene a noia molto presto, non permettendo ampi spazi di manovra alla creazione di una tattica che permetta di differenziare l’esperienza. L’utilizzo della barra ESP poi, è un altro grande problema, che regala al gioco quell’ulteriore nota di anacronismo: ogni schivata od ogni colpo speciale, consumano un’enorme quantità di energia e, soprattutto nelle prime fasi di gioco, non è poi così difficile ritrovarsi a esaurire la barra. Il problema nasce quando, esaurita del tutto la barra, non sarà possibile nemmeno effettuare una schivata senza che la barra si sia totalmente ricaricata. Un meccanismo che pare riprendere più una logica picchiaduristica, molto simile all’utilizzo della barra del Drive in Street Fighter ma che qui, rischia solo di diventare frustrante.

La barra ESP può essere utilizzata anche per sfruttare alcune abilità passive, che possono venir equipaggiate ai punti di salvataggio, ma di questi parleremo dopo. Per quanto riguarda invece la trasformazione nell’unità GAIA, un enorme robottone potentissimo, che può spazzare via un gran numero di nemici in pochi secondi. L’utilizzo di GAIA però, è un po’ una delusione: non sarà infatti possibile utilizzarlo negli spazi stretti e avrà una durata parecchio limitata. Di fatto, l’utilizzo migliore, se non forse l’unico, è quello di quando si affrontano i boss o alcune stanze particolari, da cui si può uscire solo dopo aver ucciso tutti i nemici.
Nessuna meccanica però riesce davvero a brillare e il combattimento diventa soltanto un continuo apprendimento di pattern abbastanza basilari. Insomma, se Shadow Labyrinth avesse debuttato un 7-8 anni fa, forse ne potremmo parlare come titolo interessante, che oggi però pare arrivare in ritardo all’interno di un genere che ha saputo proporre iterazioni più che avvincenti.
(2) “sfangarla contro tutti i nemici”
L’enemy positioning è un altro bel problema, che si ricongiunge direttamente al level design, anche se di quello ne parleremo nel prossimo paragrafo. Si passa da aree abbastanza equilibrate a livello di nemici, a piani infernali in cui soltanto l’apprendimento potrebbe aiutare nel superamento.
E tutto questo, non significa che il gioco sia difficile, tutt’altro: Shadow Labyrinth è parecchio accessibile e sono tanti i mezzi per semplificarsi la vita, ma l’enemy positioning è un’altra cosa.
(3) “i labirintici livelli”
Terzo problema: il level e il map design.
Anche in questo caso, torniamo al problema enorme della banalità: muoversi tra i livelli infatti, non è certo qualcosa di avvincente o soddisfacente, menché meno originale. Come ogni metroidvania, è richiesta una buona dose di backtracking, dato che molti spazi saranno accessibili solo dopo aver imparato nuove abilità di movimento. Per il resto, nulla di che da segnalare, se non un enorme sbilanciamento tra la prima e la seconda parte del gioco.
Mentre la prima parte propone quasi esclusivamente dei corridoioni, in cui l’esplorazione non esiste, in cui è anche impossibile perdersi davvero e che portano esclusivamente da punto A a punto B. Dalla seconda parte di gioco in poi, il gioco si apre… forse fin troppo. Viene fuori l’anima labirintica, anche se solo raramente la soddisfazione supera la frustrazione, data soprattutto dal posizionamento dei checkpoint.

Esistono due tipi di checkpoint: quelli standard, permettono tutta una serie di attività, dal riposo all’equipaggiamento di abilità fino al teletrasporto e alla possibilità di salire di livello; i checkpoint “semplici” invece, permettono soltanto di riposare e cambiare abilità, avendo più che altro la funzione di punti intermedi per accorciare grandi distanze. Il problema è che, anche in questo caso, il posizionamento dei checkpoint risulta problematico, con punti del gioco in cui ve ne sono anche diversi uno di fila all’altro e punti in cui diventano vere oasi nel deserto.
Le sezioni più interessanti, sono sicuramente quelle puramente platform: in quelle istanze, è possibile trovare una difficoltà via via sempre più interessante, rappresentando forse la parte più interessante di tutto il gioco, soprattutto quando si prende il controllo di PACC, l’esserino giallo che ci farà da guida per l’intera avventura. In quei casi, vi sarà un cambiamento di gameplay, si passerà a viaggiare su binari magnetici e bisognerà rispondere a diverse “leggi” per i movimenti.
Un po’ più d’arte, un po’ più di tecnica
Parlando del lato artistico, il gioco continua a rimanere confinato in un limbo di anonimato quasi sconcertante, viste le potenzialità che il brand di Pac-Man porta con sé. Il problema sta tutto nel re-immaginario creato: l’ambientazione Sci-Fi dark, non riesce mai a colpire, non presentando effettivamente aspetti innovativi o almeno visivamente coinvolgenti, anche a causa di sfondi perlopiù sfocati e lontani, con immagini poco nitide e per nulla evocative.

Lato tecnico, le lacune non sono poi troppe ma quelle presenti, sono sufficienti a far innervorsire. Le hit-box per esempio, spesso imprecise o poco chiare, portano a dover imparare per ogni nemico, come sfruttare quei pochissmi frame di invincibilità che da la schivata. Inoltre, sempre in nome di uno sconcertante anacronismo, è stata presa la scelta che anche solo toccare i nemici comporta prendere danno, trasformando il combattimento in una continua ricerca di spazio.
Tra i punti positivi, possiamo certamente annoverare i Labirinti, vero punto di forza insieme alle sezioni platform. Anche il design di molti boss risulta veramente impressionante, con una tendenza all’horror e al grim-dark che, a livello artistico, è sicuramente l’aspetto che più fa accendere una scintilla.
Conclusioni
Nelle circa 25 ore richieste per completare Shadow Labyrinth, abbiamo avuto modo di approfondire una lore forse interessante seppur eccessivamente frammentata, un combat poco avvincente contro nemici non sempre troppo ispirati, delle sezioni platform ben pensate e un mondo che ha il potenziale per regalare molto di più. L’esperimento di Bandai Namco dunque, non è da dirsi fallito, quanto più poco a fuoco. Un gioco che funziona, con alcune idee interessanti, che rischia però di morire di anonimato.
VOTO: 7
