Shadow of the Colossus – Recensione PS4

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Era l’E3 del 2017 quando il remake di Shadow of the Colossus fece capolino durante la conferenza Sony. Fu un fulmine a cielo sereno, perché nessuno si aspettava un annuncio del genere. Non tanto per l’idea di remake in sé, soprattutto dopo il successo della Crash Bandicoot N. Sane Trilogy, quanto per il fatto che riguardasse un titolo di epoca PlayStation 2, uscito rimasterizzato in HD su PlayStation 3 non troppi anni fa.
L’aspetto ancora più sorprendente è l’enorme consenso ottenuto da questo inaspettato remake, superando in voto la sua versione originale, e salendo in vetta alle classifiche europee tra i giochi più venduti.
Un risultato che dovrebbe stupire, ma che in realtà dimostra ancora una volta il potere magnetico delle opere di Fumito Ueda e del suo Team ICO. Rigiocare a Shadow of the Colossus oggi su PlayStation 4, con una veste grafica pulita e nitida per merito di Bluepoint Games, vuol dire ritornare dentro una poesia bellissima e godere appieno delle sue forme, dei suoi colori, e sì, anche della sua atmosfera.

Ripercorriamo insieme la sua storia, dando modo ai vecchi fan di rivivere le sensazioni provate nel 2006, ma anche per dare l’opportunità ai più giovani di scoprire una delle perle videoludiche delle scorse generazioni. Il vero elemento di svolta del remake è infatti il restyling grafico, per il resto Shadow of the Colossus conserva perfettamente l’identità che ce lo ha fatto amare.

Tra fiaba ed epos

Wander è un ramingo in sella al suo cavallo Agro, che porta tra le braccia il corpo privo di vita di Mono, la sua amata. Lo seguiamo con lo sguardo mentre passa su rocce scoscese e ponti sospesi, fino a quando non raggiunge un particolare tempio. Quello è il Santuario del Culto e, secondo la leggenda, può riportare indietro le anime delle persone defunte. Tuttavia, il corpo di Mono rimane immobile sull’altare di pietra. All’improvviso tuona una voce androgina: è Dormin, entità sovrannaturale delle Terre Proibite. Essa ascolta la storia di Wander, giunto lì per riportare in vita Mono, uccisa da una maledizione. Dopo aver preso in giro gli uomini per la loro natura mortale, Dormin parla di sedici incredibili colossi, nascosti nelle zone più recondite delle Terre Proibite. Essi sarebbero la chiave per permettere a Wander di riavere indietro la sua bellissima amata.
Inizia così l’incredibile viaggio dell’eroe, armato solo di arco e dell’antica spada, in sella al suo destriero verso un destino più grande di lui.

Shadow of the Colossus si apre con un incipit fiabesco, carico di fascino e mistero. La narrazione infatti non avviene attraverso l’uso semplice delle parole, le quali appartengono a un idioma sconosciuto, ma si fonda principalmente sulle immagini. Questo modo di raccontare, criptico e simbolico, lascia a noi giocatori il piacere della scoperta e dell’immersione dentro a un’atmosfera a tratti idilliaca, a tratti inquietante.

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Uno scorcio del ponte sospeso

L’esperienza di gioco si divide in due macro-fasi principali: la prima, guidati dalla luce della nostra spada, ci porta ad esplorare i diversi ecosistemi delle Terre Proibite. Dal deserto ai laghi, dalle montagne a ruderi di antiche città: la varietà degli ambienti è incredibile. Nei vasti spazi aperti possiamo trovare i santuari sacri, in cui poter pregare e recuperare l’energia vitale, o imbatterci in lucertole e frutti per aumentare energia e stamina, oltre a vincere dei bei trofei.  In ogni caso, la mappa non è vastissima, abituati ormai agli open world di ultima generazione, ma la bellezza della natura e la diversità delle ambientazioni rendono ammaliante il percorso da fare prima di trovare il colosso da sconfiggere. Ciò non fa altro che riportarci alla mente il poema epico cavalleresco, con l’eroe che passa per strade diroccate avvolte dalla nebbia, o da piccole oasi nel deserto illuminate dal sole.
In questa nuova edizione è possibile sfruttare la modalità foto per immortalare i sentieri percorsi o l’incontro con i colossi da sconfiggere. Il tutto poi può essere modificato secondo le nostre predilezioni estetiche.

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Chiusa la parentesi delle foto, giungiamo alla seconda macro-fase di gioco: lo scontro contro il colosso. Per vincerlo è necessario arrampicarsi su di esso, in modo da trovare un marchio luminoso tra la pelliccia erbosa del suo corpo di pietra, e colpirlo con la spada. Nonostante il modus operandi abbastanza schematico, ciò che enfatizza la sfida è la diversità tattica che ogni scontro richiede: ciascun colosso è infatti caratterizzato da una determinata struttura che rispecchia l’ecosistema in cui è stato trovato. Pensare di  andare verso di lui senza alcun piano vuol dire peccare di tracotanza e morire. E allora, proprio come negli antichi poemi, l’eroe deve dare prova di ingegno e coraggio per raggiungere il suo scopo. Sfruttare gli elementi paesaggistici, le frecce e la velocità di Agro, sono alcune delle chiavi per avviare la scalata verso il cielo e raggiungere la gloria finale con la sconfitta del titano di pietra.

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Incontro ravvicinato con uno dei colossi

Riportate le notizie note a chi già conosce il titolo, ci addentriamo ancor di più nel gameplay. Anche in questo caso, sebbene i movimenti di Wander appaiano più fluidi rispetto al passato, la storica goffaggine dell’eroe rimane intatta, con salti imprecisi, arrampicate turbolente e corse traballanti. Anche perché, per affrontare le diverse prove, dobbiamo affidarci alla Stamina, la quale diminuisce gradualmente quando teniamo Wander sotto sforzo. Essa è contenuta in un “cerchio” (messo tra virgolette perché nel remake l’interfaccia è stata modificata), il quale aumenterà la sue dimensioni grazie alle lucertole sopracitate e alla sconfitta dei vari nemici. Ciò non vuol dire che le future scalate saranno più facili. Questi aspetti potrebbero fare storcere il naso a chi ha imprecato contro Wander anni fa, ma anche ai nuovi giocatori che si approcciano per le prima volta all’opera di Ueda. Lasciatevelo dire: se vi arrabbiate per questo non potete capire il gioco. Per farla breve, avere un protagonista con le movenze a là Ezio Auditore ucciderebbe l’essenza di Shadow of the Colossus. Ciò che rende poetico il titolo è il fatto di comandare un personaggio che è umano a tutti gli effetti, nel quale è facile immedesimarsi. La scalata tra le membra del colosso non deve essere facile e immediata, altrimenti si perderebbe l’epicità che impregna l’intero titolo.
L’unico aspetto che poteva essere effettivamente sistemato è la telecamera, specie se si è in groppa ad Agro. Essa a volte crea spaesamento e fastidio, nonostante vi sia il tasto apposito per centrare il colosso e la nostra visuale.

Quando la realtà è più bella del sogno

Come è stato annunciato nell’introduzione, il vero cambio di svolta di questo remake è il restyling grafico per opera di Bluepoint Games. Sin dalle prime sequenze video, i nostri occhi vengono rapiti dalla nitidezza delle forme e dalla cura dei dettagli. Gli elementi che traggono maggiore giovamento da questo restauro grafico sono i colossi. Ciascuno di loro è un’opera di design, che trae ispirazione dal mondo animale e dal mondo architettonico. Ogni minuzia del loro corpo, dalle armature al manto erboso, sino ad arrivare al loro sguardo apatico ma inquietante (vi ricordate il serpentone della sabbia?) ottiene giustizia.
Stesso discorso vale per l’ambientazione: Shadow of the Colossus è un inno alla natura, non solo per la varietà degli ecosistemi già sottolineata in precedenza, ma per i tanti dettagli che si parano davanti ai nostri occhi. L’elevata nitidezza dell’ambiente di gioco ha portato a delle critiche secondo le quali il profondo realismo inficia il carattere onirico del titolo, evidente nella sua prima edizione. Non siamo d’accordo: le forme ben definite degli steli d’erba, del riflesso dell’acqua, della criniera di Agro, e del vessillo sulla schiena di Wander – giusto per fare degli esempi – sono un vero spettacolo che rendono piacevole il cammino. Difficile andare dritti verso la meta quando ci si ritrova in radure desolate, dalle quali si scorge un rudere o un boschetto.  E anche se non volete perdere tempo, non potete non restare affascinati dalle movenze quasi sensuali scaturite dalla cavalcata o dal manto del titano agitato dalle acque o dal vento.

Bisogna precisare che, per questa recensione, il remake di Shadow of the Colossus è stato testato su una normale PlayStation 4. Per coloro che sono in possesso di PlayStation 4 Pro e TV 4K, possono usufruire della modalità Perfomance per avere i 60 fps bloccati, o della modalità Cinema che esalta ulteriormente la qualità delle immagini. Al contrario, senza una televisione performante, tali modalità garantiscono una risoluzione nativa a 1080p.
In generale, anche nella sua forma più semplice, non abbiamo notato particolari cali di framerate o effetti popup.
L’unico elemento che stona davvero in questo realismo è il volto di Wander. Certo, egli adesso possiede un volto ben definito, ma i lineamenti particolarmente arrotondati e paffuti, e lo sguardo gigante azzurro, creano un effetto manga che cozza invece con lo stile fiabesco e antico del  gioco.

Andando oltre questo piccolo neo, ci rivolgiamo a un altro degli elementi che rendono Shadow of the Colossus un’avventura immersiva e indimenticabile: il comparto sonoro. L’esplorazione non è accompagnata da alcun tipo di sottofondo musicale, ma utilizza i suoni della natura. Il cinguettio degli uccelli, i nitriti di Agro, e il rumore ritmato dei suoi zoccoli, squarciano il silenzio delle Terre Proibite. Quando però raggiungiamo i colossi, parte una musica orchestrale che enfatizza l’epicità delle scontro. Le musiche di Ko Otani ci seguono e ci galvanizzano mentre scaliamo le roccaforti viventi che ci separano dall’amore di Mono.

Il remake di Shadow of the Colossus per PlayStation 4 è un’esperienza emozionante che riporta indietro ai tempi delle leggende epiche e delle fiabe. Grazie al nuovo restyling grafico realizzato da Bluepoint Games, il titolo partorito dalla mente di Fumito Ueda dodici anni fa acquisisce una maggiore identità, in grado di elevare tutti gli elementi che lo rendono un titolo memorabile. Tra questi vi sono sicuramente i colossi: ognuno di loro è restaurato a dovere, il che enfatizza lo scontro e soprattutto la prodigiosa scalata verso il loro punto debole. La giocabilità rimanere invariata, un po’ come segno di rispetto nei confronti del lavoro svolto originariamente dal Team ICO, un po’ per far sopravvivere l’umanità e il coraggio che contraddistinguono Wander.
Non mancano difetti come la telecamera spesso scomoda e il nuovo volto dell’eroe.
Ciononostante, che lo abbiate giocato tanti anni fa, o che sia la vostra prima volta, il remake di Shadow of the Colossus si presenta come un’occasione per (ri)vivere sensazioni originali, impregnate di poesia ed epicità, difficilmente riscontrabili in altri titoli videoludici.