Come ormai è diventata tradizione, anche quest’anno il Napoli Comicon ha ospitato una personalità leggendaria che ha scolpito il mondo dei videogiochi con la sua arte: Yuji Horii, autore di videogiochi giapponese famoso soprattutto per la saga di Dragon Quest e per Chrono Trigger, nonché per la creazione di Portopia, una delle primissime visual novel.
Quel che abbiamo visto al Napoli Comicon 2025 è stato uno Yuji Horii entusiasta di incontrare il suo pubblico italiano, una celebrità contenta di prendere parte a panel e sessioni di autografi, ma anche un artista che ci ha detto di sentirsi ispirato dal suo viaggio in Italia.
Il sensei è stato al Comicon per un paio di panel in pubblico, una sessione di interviste con la stampa e un paio di meet & greet in compagnia del suo accompagnatore d’eccezione Richter, compositore musicale di colonne sonore in forze da Basiscape di Hitoshi Sakimoto che abbiamo già intervistato qualche mese fa al Tokyo Game Show 2024.
‘A meglio parola è chella ca nun se dice: l’intervista a Yuji Horii
La miglior parola è quella che non si dice, saggezza popolare napoletana che valorizza il non detto, ciò che viene omesso. Mi sembra un proverbio fin troppo calzante all’esperienza avuta con Yuji Horii al Napoli Comicon per 3 diversi motivi:
Il primo motivo è che Dragon Quest, opera magna dell’autore, è celebre anche e soprattutto per la caratteristica del protagonista silenzioso; il sensei ha spesso sottolineato l’importanza di questa feature in quanto, secondo la sua visione, un personaggio che mantiene questi connotati permette al giocatore di immedesimarsi con più efficacia nelle scelte e nella narrazione.
Il secondo e più roboante motivo, è scaturito dall’allucinazione collettiva che ha fatto il giro del mondo: un errore di traduzione ha lasciato intendere che Horii avesse rivelato per sbaglio Chrono Trigger Remake, ma come vi abbiamo già raccontato qui, il maestro non ha mai pronunciato la parola remake né ha mai alluso all’esistenza di un rifacimento di Chrono Trigger. Una parola non detta che è riuscita a fare il giro del mondo! Spero a questo punto che Square Enix ci pensi…
Il terzo motivo appartiene alla round table coi giornalisti al Comicon, dalla quale scaturisce questa intervista: durante l’evento con la stampa, date le tempistiche molto corte, il maestro si è necessariamente mantenuto con risposte brevi. Ecco perché, eventualmente, alcune risposte fornite alla stampa le troverete arricchite di inserti derivanti dai panel che Yuji Horii ha tenuto in pubblico al Napoli Comicon 2025 e da chiacchierate estemporanee avute con i suoi accompagnatori.
Capello alla Beatles (suo gruppo preferito), occhiali da sole tattici, maglietta trash e cochina bella fresca. Iconico è dire poco. Yuji Horii ci si è presentato così, con tanta simpatia ma soprattutto con una semplicità disarmante e l’umiltà che solo una persona come lui può avere.
Dragon Quest ha un’identità che i fan di lunga data hanno imparato ad amare per diversi motivi. Quali sono gli elementi principali che secondo Lei esaltano di più la saga? Quelli che tiene sempre a mente quando lavora a un nuovo gioco?
Una cosa che continuo sempre a realizzare è creare una sorta di calore, di bella atmosfera accogliente per chi gioca, nonostante Dragon Quest sia un prodotto serializzato. Mi piace che si crei una certa naturalità nel modo in cui il giocatore si ambienta in gioco. La generazione che ha vissuto Dragon Quest è stata coccolata nel tempo in questo ambiente caldo e molto sentito nella sfera emotiva, quindi il mio intento è sempre quello di creare qualcosa che possa rilassare e divertire con piacere.
In scorse dichiarazioni Lei aveva detto che Dragon Quest si sarebbe spostato verso toni più dark, ma la saga si è sempre bilanciata bene tra luci e ombre come un vero e proprio libro di fiabe. Lei o altri nel team di sviluppo non sono preoccupati che un approccio più cupo possa mettere in discussione questa caratteristica?
Non posso scendere troppo nel dettaglio dell’argomento di Dragon Quest XII e mi scuso per questo, ma in effetti anch’io ho avuto spesso alcune preoccupazioni. Non posso dire altro, per mantenere il segreto su dettagli ancora in sviluppo, mi dispiace.
Dragon Quest ha avuto un successo straordinario in Giappone e ci ha messo il suo tempo per conquistare i giocatori occidentali, ma ora che ci sono anche i remake 2DHD, che sensazioni le dà il fatto che sempre più nuove generazioni di giocatori si avvicinano alla saga?
Io faccio sempre molta attenzione ai mondi che andiamo a creare. Magari non tutte le scelte che facciamo sono perfette, però l’impegno c’è. Dragon Quest è una saga grossa, è popolare e continua a essere sempre più popolare nonostante ci siano le dovute differenze tra i capitoli. Cerchiamo in ogni modo di attrarre anche persone che non sono abituate a questa tipologia di giochi, proviamo a renderlo bello e interessante da giocare anche per loro.
In questo momento sono in sviluppo sia i remake di Dragon Quest I e II, sia il nuovo Dragon Quest XII, che rappresentano le origini e il presente della saga, una saga che si è anche evoluta molto nel tempo. Vorrei chiederle, Sensei, Lei cosa vede nel futuro della saga? Come evolverà Dragon Quest?
In questo momento il principale obiettivo è rendere il gioco sempre più piacevole. Dragon Quest deve diventare sempre più semplice da capire e sempre più interessante. Chi ci gioca deve interpretare in maniera molto diretta e naturale ciò che viene visto a schermo con i personaggi, e allo stesso tempo i personaggi devono trasmettere con chiarezza le sensazioni che vorremmo dare ai giocatori. Questo è uno dei nostri principali obiettivi.
Con l’innovazione che porta l’Intelligenza Artificiale che sta aiutando a sviluppare tante cose nuove, come crede che cambierà Dragon Quest ma anche futuri nuovi giochi, come per esempio il nuovo titolo annunciato che sta sviluppando con il mangaka di Blue Lock?
In passato c’erano i pixel, poi man mano la grafica è diventata sempre più definita. Tempo fa, il cervello del giocatore ragionava in funzione di questo, perché i giochi offrivano processi molto semplici. Adesso invece si va molto più sul realistico e il cervello ragiona già in maniera diversa. L’unica cosa che posso pensare per il futuro è che le immagini usciranno in qualche maniera dallo schermo, andranno a inglobare il giocatore grazie all’utilizzo delle tecnologie.
Secondo me con l’Intelligenza Artificiale si studierà un modo per portare le immagini al di fuori del gioco. Non so dire se accadrà tramite VR, AR o 3D, non è ben chiaro per me. La vedo come una cosa più virtuale comunque. Un’altra cosa che secondo me accadrà in futuro è cercare di far interagire i giocatori in modo che ci siano domande e risposte dedicate alla persona che gioca, e non pre-programmate.
In un caso così specifico di interazione, terrebbe in considerazione sistemi come quelli del Tag Mode di Dragon Quest IX per Nintendo DS che permetteva di scambiare dati e oggetti tra giocatori in maniera anonima con la console in modalità riposo?
Sì, però non propriamente in questo modo. Non abbandonerei del tutto l’idea di base, ma farebbe parte di un sistema di più input.
Sappiamo che Lei lavorava come scrittore e mangaka prima di intraprendere la strada dello sviluppo dei videogiochi. C’è stata una scintilla che l’ha convinta a cambiare strada, o è stato un processo più graduale? E quanto ha influito la sua vita lavorativa precedente nello sviluppare videogiochi?
In realtà nella vita volevo fare il mangaka, ma c’è stato un cambiamento graduale nella tecnologia dei videogiochi. Da lì ho cominciato a pensare, “è vero, vorrei diventare un mangaka, ma con questa roba io posso comunque raccontare storie”. E quindi ho pensato che anche creare dei giochi e che raccontare tramite loro, poteva essere qualcosa di bello. Uno dei miei primi giochi, Portopia, in effetti è una storia, un romanzo visuale.
*Yuji Horii prende il suo cellulare e ci mostra delle tavole illustrate della sua precedente vita da mangaka. Foto in basso.*
Sugoi! Di che tavole si trattano?
Avevo una serie di input differenti come storie. Pensavo di tutto: viaggi nel tempo, personaggi strani… di tutto!
Lei ha cominciato a sviluppare videogiochi quando ancora c’era una distinzione molto forte tra tempo libero e tempo lavorativo. Adesso questa distinzione si sta riducendo sempre di più. Questo influenza la concezione dei videogiochi?
Io cerco sempre di pensare a far divertire il giocatore, mai a quanto tempo debba passare giocando. Vorrei comunque che il giocatore si appassioni e che quindi possa dedicargli più tempo di un semplice passatempo. L’abitudine di giocare con gli smartphone una decina di minuti, però, per esempio, non è il tipo di esperienza con cui posso dare il meglio al pubblico.
Com’è arrivato al Comicon un maestro della caratura di Yuji Horii e com’è stata la sua esperienza con la città di Napoli?
Mi è piaciuta molto! Ci sono tanti vicoli stretti, tante auto che passano, tanta gente… È un tipo di realtà interessante.
Durante il panel con il pubblico successivo a questa intervista, Yuji Horii ha anche raccontato di sentirsi ispirato dal suo viaggio in Italia, dai vicoli stretti e dalle vie trafficate di Napoli, parlando proprio di come in generale il concetto di viaggio porti con sé tante idee creative assieme a Richter.
In una chiacchierata successiva che personalmente ho avuto con i suoi accompagnatori, sono anche venuto a sapere che il maestro ha visitato in quei giorni le rovine di Pompei e un laboratorio di cammei e coralli di Torre del Greco, la mia città! È una sensazione strana sapere che una leggenda simile sia venuta a visitare proprio il posto in cui sono nato e cresciuto, anche più di salutarlo e scambiarci due parole per l’intervista.
Ve la metto su questo piano, per farvi comprendere come mi si stia scaldando il cuore in questi giorni: un autore di videogiochi che ha creato opere che resteranno per sempre nell’immaginario collettivo e nella cultura globale è venuto a trarre nuova linfa artistica dal posto in cui vivo. Inoltre,è circa un anno che compaiono adesivi giganti di Dragon Quest in alcuni vicoli di Torre del Greco, forse era proprio destino che Yuji Horii venisse qui!
Quale pensa possa essere il futuro delle visual novel, second Lei che le ha praticamente iniziate? E, soprattutto, pensa che in occidente possano ancora diffondersi? E di quelle uscite negli ultimi tempi gioca a qualcosa?
Penso che le visual novel potranno anche cambiare modi e format, ma il sistema di racconto resisterà e potrà avere i suoi momenti. Quanto a videogiochi da giocare, non gioco molte visual novel oggi… al momento mi piace molto The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom.
Dragon Quest ha avuto un sistema di combattimento a turni fin dalle origini, ma ultimamente stanno uscendo giochi come Clair Obscur: Expedition 33 che rinnovano la formula di questo tipo di combat system… Ci sarò spazio per sperimentazioni anche nella saga principale di Dragon Quest, in futuro?
La modalità del combattimento a turni è molto adatta a Dragon Quest, però effettivamente stiamo pensando a come poterla cambiare, per donare una sorta di nuova nascita, un nuovo cambiamento alla saga. So bene anche che ci sono diversi tipi di combattimenti a turni che sono ormai depositati nell’immaginario collettivo.
A proposito di Clair Obscur: Expedition 33, Yuji Horii ha appreso della sua esistenza probabilmente in quel momento durante la round table, in quanto gli abbiamo mostrato delle immagini di gioco che non ha saputo riconoscere. In un panel nei giorni successivi, però, è stata fatta una riflessione interessante con Vincenzo Lettera di Multiplayer sulla valenza di quella lettera J di fianco al termine RPG in videogiochi come Dragon Quest.
Proprio Yuji Horii ha preso ispirazione da RPG occidentali come Ultima e Wizardry per creare Dragon Quest e generare un intero filone di videogiochi che noi occidentali chiamiamo JRPG. In Giappone, il termine in questione non esiste, che sia un Dragon Age o un Final Fantasy si parla sempre RPG. Oggi, però, ci sono studi come Sandfall Interactive che creano giochi come Clair Obscur ispirati proprio a quel tipo di RPG ideato per primo proprio da Yuji Horii.
Un incredibile cerchio che si chiude: ciò che nacque guardando a Ovest è oggi fonte d’ispirazione per l’Occidente stesso, in un dialogo creativo che rende il videogioco un linguaggio davvero universale.
Qual è la filosofia di design con cui Dragon Quest è in grado di bilanciare il combattimento a turni con la narrativa e la caratterizzazione dei personaggi?
È molto importante bilanciare queste due sfere, anche perché potrebbero sembrare due momenti diversi ma in realtà si trattano sempre della stessa sostanza. Combattimento e narrazione sono importanti alla stessa maniera, ma per entrambi ci deve essere un momento in cui è più interessante quella parte, e che sia comunque collegata all’altra parte.
Ovvero, se un personaggio entra in un posto non bisogna mai dimenticare cosa ha fatto prima, ad esempio potrebbe aver combattuto e quindi la storia va avanti in un certo modo. Allo stesso modo, se si sta combattendo bisognerà pensare a cosa far provare dopo ai giocatori, bisogna pensare a cosa porterà il combattimento in questione.
Yuji Horii a Napoli, un incontro che sa di leggenda
Uno dei momenti più toccanti per me è stato quando il sensei, durante un panel con Richter sulla musica nei videogiochi, ha raccontato come si sia emozionato la prima volta che ha sentito una delle musiche di Dragon Quest in un concerto dal vivo, e di come ogni volta che ci sia un concerto lui si emozioni ancora a ricordare i momenti di gioco che lui stesso ha diretto e creato.
Al Napoli Comicon 2025 non abbiamo soltanto incontrato un autore leggendario, ma abbiamo riscoperto quanto il videogioco sia, ancora oggi, una forma d’arte profondamente umana. Silenziosa come il protagonista di Dragon Quest, ispirata come le vie di Napoli, viva come l’emozione e la gioia di chi incontra i suoi fan da tutto il mondo. Grazie al sensei Horii per aver illuminato Napoli e l’Italia con la sua presenza!