Diario del dott. Flammini 17 Novembre 1957 – Parte II

Diario del dott. Flammini 17 Novembre 1957 - Parte II

Diario del dott. Flammini 17 Novembre 1957 – Parte II

Ho bevuto un bicchiere d’acqua prima di reiniziare a scrivere ed ho approfittato per guardare fuori dalla finestra, cosi per distrarmi. Il campo base che si vede sembra davvero ben allestito. Vi sono due camion da trasporto truppe e varie jeep di supporto, oltre a quei strani carri di cui mi avevano parlato. Ci sono anche molte tende e tra esse spicca una antenna radio.

Dio, finalmente la normalità: mezzi di trasporto, uniformi, armi; ciò mi convince che non tutti sia andato perduto dal Giorno del Giudizio, che non tutto sia andato distrutto e dimenticato.

Poi, tra i comignoli delle case che sbuffavano fumo, ho intravisto uno strano uccello che non credevo vivesse qui: un ibis. Quando era piccolo, a mio figlio raccontavo sempre delle storie prima che andasse a dormire e sulla copertina del suo libro preferito vi era proprio un ibis, per questo l’ho riconosciuto con facilità. Vederlo qui, insieme a questi ritrovati della tecnica, mi rasserena. Non dovrebbe farlo, lo so, è amorale e sono strumenti che servono a portare morte, ma provate voi per un attimo a mettervi nei miei panni: questo è quanto mi rimane, ricordi.

Comunque, è bene che continui a trascrivere quanto avvenuto nel mio incontro con Renato e Amos cosi che se dovessi dimenticarmene ne avrei traccia.

Il Gran Maestro continuava ad essere titubante, era chiaro che fosse convinto lo prendessi in giro. Stranamente Amos sembrava invece fidarsi di me tanto da arrivare a proteggermi e sostenere la veridicità delle mie parole. “E se fosse stato mandato qui per aiutarci? Pensaci!” disse, mentre mi afferrava la mano per mostrare il simbolo su di essa. “Lo vedi questo? E’ proprio come quello delle Scritture

Renato incalzò: “non posso che pensare che tutto questo sia il frutto di astratte coincidenze, Amos. Andiamo, rifletti: potrebbe essersi fatto quel simbolo in migliaia di modi. Magari lo ha visto sulla porta del vecchio Burattinaio e lo ha ricopiato sulla sua mano. O ancora peggio è davvero uno della Potestas Diaboli

Amos lo interruppe bruscamente: “Io ero già qui quando è arrivato: porta questa fasciatura da quando è giunto. Si è recato da quell’uomo solo giorni dopo, stando alle testimonianze raccolte e poi… un membro della Potestas Diaboli? Si, forse. Può darsi. Ma non ci sono prove di questo e a Ravenna lo hanno torchiato per bene e mi fido del loro operato e di quello di Raimondo. Il mio sesto senso dice che lui è estraneo a quelle vicende.

Renato, scocciato, si infilò nel suo ragionamento: “Parole, Parole prive di significato Amos. Che cosa dovremmo farne allora, lasciarlo libero? Raimondo è morto, per quel che ne sappiamo, per colpa sua e poi porta quello strano simbolo impresso sulla mano… Ma non lo vedi che è completamente pazzo?

Amos si rifiutò di argomentare, come se fosse stato messo alle strette, poi riflettè: “io penso che lui sia qui per un motivo, nulla accade per caso. Se tutto ciò che dice è vero, quello di cui parla – il mondo in cui i morti non esistono, in cui questi orrori non camminano per terra – è vero, allora deve esserci un modo per raggiungerlo. Perché per Iddio se lui è venuto da noi, noi possiamo andare da lui. Capisci di cosa sto parlando Renato? Lui viene dall’Eden, dal paradiso terrestre, e quello è il simbolo della…

Renato lo zittì: “BLASFEMIA! Amos, proprio tu. Il più puro di noi, colui che ho scelto per il grande compito, parli in questo modo, di queste cose. Ma come puoi anche solo lontanamente credere a tutto questo? Costui è solamente un pazzo visionario, venuto da chissà dove. Parla di un mondo che non esiste, non lo capisci? Guardati intorno, è questa la realtà. E’ questo il Regno di Dio. i Giorni Escatologi sono iniziati e presto Gesù Cristo sarà fra noi con il compito di Separare i Vivi e i Morti.

Amos sussurrò con un flebile filo di voce: “…e se invece fosse costui a doverci salvare, aprendo le porte dell’Eden grazie a quel simbolo?

Renato non commento. Si limitò ad accasciarsi estenuato dal dibattito sulla sua sedia.
Io ero sconcertato da quello che si dicevano, però vedevo una tenue speranza di salvezza: se fossi riuscito a convincerlo di quanto affermava, lui avrebbe dato la vita per aiutarmi a trovare un modo per tornare a casa e si a me non frega nulla di questi stolti: io voglio solo tornare a casa.

Un Renato sconfitto e amareggiato concluse: “e allora cosa proponi?” Amos fiero rispose: “affidalo a me. Lo metterò alla prova nel corso della mia missione. Se è davvero chi dice di essere, è la persona adatta a seguirmi. In più sembra essere un valido medico, ci farà comodo lungo il viaggio attraverso la Piccola Italia.

Renato lo scrutò malevolmente, sembrò come volesse fulminarlo con lo sguardo. “E sia Amos, ma spera di non fallire. Portalo dai frati qui nel piazzale, che gli forniscano di quanto ha bisogno per lavorare e viaggiare. Poi conducilo all’accampamento e presentalo all’ufficiale in comando; digli che si aggiungerà a voi in qualità di tuo medico personale. Ti firmerò una carta se sarà necessario. Ora ti prego lasciami, devo pregare“.

E questo e quanto.
Ora mi sto preparando per scendere già come richiesto dal Gran Maestro.
Il resto di quanto avverrà lo lascio alle prossime pagine.

<-Capitolo XXXVIICapitolo XXXIX->

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