Diario del dott. Flammini 15 ottobre 1957

Diario del dott. Flammini - 5 ottobre 1957iario-dott-flammini-15-ottobre-1957

Diario del dott. Flammini 15 Ottobre 1957

Ieri Raimondo è venuto a prendermi in camera ed ha voluto portarmi da quello che lui chiama Gran Maestro. Mi ha anche detto il suo nome quando l’ho chiesto ma, purtroppo, non lo ricordo e solo oggi riesco a scrivere. Purtroppo la notte non ha portato consiglio e sembra io abbia ancora problemi di concentrazione.

La conversazione con questo individuo è stata estraniante, si estraniante è il termine giusto. Molte delle domande che mi ha fatto mi hanno lasciato a bocca aperta, altre invece non le ho capite affatto. Ha cominciato con cose semplici: come chiamo, dove ero nato, insomma la solita routine. Poi mi ha chiesto quale fosse la mia diocesi di appartenenza… Ora, io sinceramente non mi sono mai posto questo problema e “Sono ateoè stata la mia risposta!

In quel preciso istante il gelo ha preso possesso della stanza in cui ci trovavamo. Costui ha iniziato a tempestarmi di domande, con foga, domandandosi sconcertato come IO potessi negare l’evidenza, di come il ritorno di Gesù Cristo fosse ormai imminente, che i Giorni Escatologi ormai erano iniziati, che il Morti erano Resuscitati per essere giudicati e… Di quanto fossi coraggioso, o folle, a parlarne cosi, liberamente, davanti a tutti, davanti ai Rappresentanti di Dio: loro!

Ha poi bofonchiato qualcosa fra se e se sul fatto che comunque era una persona buona, lui, e che non mi avrebbe consegnato all’Inquisizione e che… oh insomma, ha iniziato a farneticare di Dio, di Gesù, dell’infallibilità del Papa e di qua e di la, di Santi e Demoni e di tutta altra roba religiosa che nemmeno ricordo più ma che suonava imperiosa e… spaventosa.

Al che, per spezzare quel tram-tram- martellante, incessante, che mi attanagliava e opprimeva, ho ben pensato di domandargli, si con fare arrogante, lo ammetto, perché tutti sostenessero la menzogna che Papa era tal Leone XIV, mentre tutti sanno che Pontefice è Pio XII.

Il silenzio si impossessò di noi tutti. Io non sapevo più che dire. Loro non sapevano più che dire. Mi guardarono per lunghi attimi in modo strano. Poi, come se avessero capito qualcosa, i loro volti si distesero e i loro modi si rabbonirono.

Raimondo mi ha posato una mano sulla spalla e mi ha detto che non devo preoccuparmi, che è evidente sia ancora confuso e che avrebbero fatto il possibile per farmi recuperare la memoria e che… Oooohhh e tanti altri “e che” farciti di stronzate che nemmeno mi ricordo più!

La memoria. La memoria. Io sono sto benissimo! IO SO PERFETTAMENTE CHI SONO!

Me ne sono andato da quella stanza prima di impazzire e mettere le mani addosso a qualcuno. Ero furioso, sono furioso: non mi prendono sul serio. Credono sia pazzo o qualcosa del genere e, per l’ennesima volta, al mio insistere nel chiedere di poter fare UNA telefonata mi hanno risposto, ancora, che QUI telefoni non ce ne sono.

Ho dato di matto, lo ammetto. Ho urlato. Ho minacciato di denunciare tutti ai carabinieri. Ho fatto qualunque cosa non fosse una azione aggressiva per essere preso sul serio ma nulla, non vengo preso sul serio. Non è nemmeno servito sostenere con rabbia che è impossibile non vi sia un telefono in un ospedale ma loro niente; si sono guardati, di nuovo, con quel loro fare interrogativo, di nuovo e che ormai non sopporto più vedergli stampato in faccia, e mi hanno sorriso come si sorriderebbe ad un cane che non capisce che una cosa è sbagliata e non si fa.

Un ormai agitato Raimondo ha deciso che la mia conversazione con il Gran Maestro era finita e mi ha invitato a seguirlo. Cosi ho fatto. Sono tornato nella mia stanza, che altri non è che una cella e… Ho pianto.

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