Alice Madness: Returns – il lato oscuro della meraviglia

Nel 1865 Charles Lutwidge Dodgson (pseudonimo di Lewis Carroll) riuscì ad incantare intere generazioni con il suo libro. Tutti conosciamo già “Alice nel paese delle meraviglie”, le vicende di una bambina che scopre un mondo bizzarro, abitato da creature divertenti, ma anche un po’ inquietanti.

La sua storia rientra senz’alcun dubbio nella lista delle opere letterarie più riadattate di sempre, ma nessuno, prima di Rogue Entertainment ed Electronic Arts, aveva mai pensato di dare alla storia di Alice Liddell un risvolto più tetro e disturbante.

Dimenticate perciò le atmosfere colorate e divertenti al quale Walt Disney ha sottoposto i nostri occhi! Questa volta, il paese delle meraviglie ha le sembianze di un luogo sinsitro e pericoloso in cui sangue e follia regnano sovrani.

Meglio una realtà squallida o un mondo immaginario imperfetto?

Sono passati diversi anni dall’ultima volta che Alice visitò il Paese delle Meraviglie. Un incendio, ha ucciso la sua famiglia e distrutto la sua casa. Per questo motivo è’ passata in un batter d’occhio dall’essere una benestante londinese, allo stato di fanciulla emaciata, povera e vestita di stracci.

Ha passato gli ultimi anni della sua vita nel manicomio di Rutledge, ambientato in una Londra ottocentesca, fresca di rivoluzione industriale, dai caratteri un po’ gotici, un po’ steampunk.

Inquinata, affollata e rumorosa, la città è abitata da delinquenti che vagano per le strade della cittadina, portando avanti i loro loschi affari. La prostituzione è una realtà consistente, così come quella dei mendicanti, che elemosinano ad ogni angolo delle strade.

Il medico che ha curato Alice, il dottor Bumbee, l’ha dimessa, perché ritiene che sia in grado di condurre una vita normale, ed ora lei si ritrova in orfanotrofio, in un angolo di Londra che ha le sembianze di una baraccopoli, più che di una fiorente cittadina.

Alice Liddell è spaesata. Incerta circa la sua vita ed i suoi obiettivi futuri.

I traumi del passato che l’accompagnano continueranno ad esercitare una forte influenza su di lei e sulle sue azioni, ma, nonostante i suoi trascorsi, conserva l’arguzia ed il suo senso dell’umorismo, caratteristiche forti nella sua persona, le stesse che affascinarono Lewis Carroll e, successivamente, tutti noi.

Un soggiorno in manicomio ed una tazza di the

Questa macabra avventura ha inizio sulle note di un violoncello malinconico che, fin da subito ci trascina in quella che sembra essere un’esperienza tetra e priva di speranze.

Non esiste un vincitore quando tutto è perduto e non c’è modo di lasciarsi ciò che è sgradevole alle spalle. Ed Alice questo lo sa.

Nell’opera originale, il paese delle meraviglie, è un mondo immaginario ricco di significati nascosti con tutti i suoi doppi sensi e le allusioni che ancora oggi rendono il racconto di difficile interpretazione; ogni personaggio sembra quindi rappresentare un particolare comportamento, una figura retorica.

Allo stesso modo, in Alice: Madness Returns, si è cercato di attribuire un significato ad ogni elemento presente.

Il paese delle meraviglie stesso, infatti, rappresenta l’occasione per Alice di mettere a posto la sua mente. Il paese delle meraviglie è la chiave che la nostra eroina utilizzerà per risolvere i suoi problemi reali, nella vita vera; l’obbiettivo finale è quindi quello di riprendere in mano una normale esistenza, priva di sensi di colpa e traumi.

In questa esperienza, Alice ha un’unica missione: riuscire a fermare un treno impazzito che sta distruggendo rapidamente il paese delle meraviglie trasformandolo in un incubo terribile.

Il treno rappresenta metaforicamente la follia e la terapia del dottor Bumby; quest’ultimo attraverso l’ipnosi infatti riesce a distorcere i ricordi della fanciulla a suo piacimento.

E’ soltanto portando a termine questa impresa che Alice riuscirà a scoprire cosa è davvero successo ai suoi genitori quella notte, ricordando la sua innocenza e riottenendo così la sanità mentale e la conseguente vita normale. E’ la rivincita dei deboli, nello scontro contro il dolore.

“Qui siamo tutti matti!”

“Come lo sai che sono matta?”, chiese Alice.

“Per forza” disse lo Stregatto, “altrimenti non saresti venuta qui”.

Al fine di rendere ancora più interessante il tutto, Rogue Entertainment ha deciso di attribuire ad ognuno un disturbo mentale. Questa scelta, insieme ad alcune abitudini tipiche dei personaggi, conferisce una certa fedeltà all’opera ed al periodo in cui è ambientata.

Durante l’epoca Vittoriana, infatti, era abitudine comune per gli istituti psichiatrici aprire periodicamente le porte al pubblico; l’obiettivo di ciò consisteva nel far sentire i pazienti parte della società ed aiutarli a reintegrarsi.

Per questi motivi le direzioni del manicomi erano solite organizzare eventi, tra cui dei veri e propri tea party che generalmente coincidevano con festività religiose o i fine settimana.
Questi eventi rappresentavano un momento di intrattenimento terapeutico per i pazienti, oltre che un’occasione per i loro parenti di poterli rivedere.

Di seguito analizzeremo ogni personaggio più da vicino.

Alice

Esiste un disturbo mentale per cui i pazienti percepiscono alcune parti del proprio corpo alterate in forma e dimensione. Alti come grattacieli, o piccoli come topolini? Mentre nel paese delle meraviglie basta bere da un’ampolla magica o mangiare un biscotto per ingrandirsi e rimpicciolirsi, nella realtà questa patologia ha un nome: Sindrome di Alice, appunto.

Nell’opera di McGee, i traumi ed i trascorsi orribili che Alice si porta dietro, come un pesante fardello, si traducono in un vero e proprio disturbo da stress post traumatico che la porta a vivere in una dimensione alternativa in cui non riesce a scrollarsi di dosso ansie e sensi di colpa.

Inoltre la ragazza indossa bende su entrambi i polsi; questi ultimi nel menu principale appaiono proprio come insanguinati. Viene quindi naturale aggiungere al quadro clinico anche un pizzico di autolesionismo e tendenze suicide.

C’è un significato anche dietro la collana di Alice, con un bel simbolo omega in bella vista. La lettera dell’alfabeto greco omega è solitamente associata alla morte o, più in generale, alla fine di qualcosa e nel gioco assume il contesto di obbiettivo finale: ovvero la fine della follia della protagonista, dopo uno strenuo e complesso combattimento con la propria mente.

Lo Stregatto

Parla costantemente per enigmi e dà consigli criptici, quasi sempre senza un senso.

Lo Stregatto è sicuramente una delle figure più enigmatiche dell’opera, forte della sua arguzia e dotato di una infallibile capacità di tenersi fuori da ogni pericolo. Questo particolare personaggio soffre di un disturbo della personalità che lo fa apparire profondamente cinico e impassibile di fronte a qualsiasi situazione, quasi rassegnato al malessere.

Non è semplice comprendere di più del suo carattere, poiché non dimostra di avere particolari rapporti con gli altri personaggi: ciò che è certo è che vede tutto.
Lo stregatto sfrutta il suo manto striato e la sua capacità di mimetizzarsi per sparire, cosa che gli rende più semplice l’ottenimento di informazioni.

Nutre una notevole antipatia per la regina di cuori, ma possiamo dire con certezza che non parteggia per nessuno e che ciò che succede a Wonderland, semplicemente non gli interessa.

Il Cappellaio matto

Si tratta dell’unico personaggio dichiaratamente matto, a detta dello stesso Carroll… non a caso.

L’espressione “essere matti come un cappellaio” risale ad un periodo appena precedente la stesura del racconto e rappresenta una “malattia del mestiere”. Le origini di questo detto sono davvero particolari poiché sono legate all’avvelenamento da mercurio, una patologia che colpiva in maniera piuttosto frequente i cappellai. Tale sostanza, infatti, era presente all’interno del processo di creazione dei cappelli, in contesti molto diversi da quello attuale.

La scienza parla chiaro: respirare i fumi tossici del mercurio, specie in luoghi chiusi e privi di ventilazione (quali erano spesso le fabbriche di quel tempo), porta sul lungo periodo all’insorgenza di sintomi come perdita di memoria, scarsa coordinazione e senso di irrequietezza.

Pur essendo da sempre è un fedele amico di Alice, il cappellaio è perennemente inquieto ed ossessionato dal tempo.

In Alice: Madness Returns invece, lo ritroviamo nei panni di un vero e proprio psicopatico: la sua fissazione per il tempo lo ha trasformato in un sadico genio dei meccanismi ad orologeria che impiega le sue giornate inventando dispositivi meccanici che utilizzano i corpi di organismi viventi come base delle sue creazioni.

La Lepre marzolina

Vittima del Cappellaio Matto e dei suoi esperimenti raccapriccianti, rappresenta un disturbo comportamentale che consiste in continue lamentele circa la sua situazione.

Durante il gameplay (ed esattamente come nell’opera originale) la lepre è costantemente confusa e istintiva; questo si riflette in comunicazioni inutili se non proprio fuorvianti su come affrontare il Cappellaio.

Il Bianconiglio

Carroll ha cercato di umanizzare il Bianconiglio all’inverosimile e di far sì che rappresentasse al meglio il comportamento di un adulto attraverso gli occhi di un bambino.

Questo personaggio infatti, incarna tutti quei comportamenti del mondo adulto che più infastidiscono i bambini: il costante correre su e giù per far fronte a mille impegni (di cui un pargolo chiaramente, non comprende l’importanza) è un atteggiamento da cui deriva una scarsa attenzione nei loro confronti, oltre che un’enorme fonte di stress.

Un altro aspetto che ben caratterizza questo personaggio è sicuramente dato dal non ascoltare e non comprendere ciò che Alice ha da dire.

Questo sta ad evidenziare le incongruenze delle due realtà e i diversi linguaggi utilizzati dalle due tipologie di figure: è come se il Bianconiglio fosse cresciuto, dimenticando com’è essere bambini e dando quindi nulla importanza a tutto ciò che Alice ha da dire risulta alle sue orecchie allungate.

Nell’opera di McGee questo carattere viene marcato ancora di più, servendosi di un disturbo ossessivo-compulsivo caratterizzato da un pensiero ricorrente: quello del passare del tempo.

Questa mania innesca ansia e, generalmente, obbliga il paziente ad attuare azioni ripetitive per tranquillizzarsi: nel caso del Bianconiglio si tratta di iperattività, muoversi rapidamente in ogni circostanza e controllare spasmodicamente il suo orologio da taschino.

Il Brucaliffo

Quando si parla del Brucaliffo si pensa subito alle droghe; nell’opera originale esso fuma il narghilè e fa mangiare ad Alice un fungo magico con proprietà curiose.

In Alice Madness il Brucaliffo si fa trovare dal giocatore avvolto in un bozzolo, come a volersi nascondere dal mondo. Caratterizzato da una forte sospettosità e diffidenza nei confronti degli altri, anche in assenza di reali minacce, Il Brucaliffo rappresenta uno stadio avanzato di una personalità paranoide che interpreta ogni situazione in modo malevolo.

Egli, che nell’opera originale comunicava solo attraverso monosillabi, in maniera del tutto infantile; nel gioco la comunicazione è ridotta all’osso attraverso l’artificio delle pipe da trovare nei vari livelli. Per il Brucaliffo il finale è gradevole: il personaggio riuscirà nel riottenere il buonumore, la fiducia nel prossimo e anche le ali.

La vera Alice Liddell

Sebbene Walt Disney abbia avuto una forte influenza sulla cultura di massa è necessario dire che la maggior parte delle rappresentazioni di Alice è errata.

I biondi capelli e gli occhi azzurri infatti non rispecchiano la vera Alice Liddell da cui Carroll prese ispirazione; McGee a tal propostio ha cercato con la sua opera di creare un personaggio maggiormente legato alla figura della vera Alice ù

Oltre che rappresentarla in maniera più fedele (con i capelli scuri e gli occhi verdi) l’artista Americano ha provato a descrivere in maniera più cruda (e più realistica) la vita di una ragazza non particolarmente benestante in anni così difficili.

Nel romanzo si dice che Alice abbia un fratello. Questa è un informazione non del tutto corretta in quanto le fonti riportano che Alice sia stata la quarta di dieci figli; anche nei giochi dei fratelli non c’è menzione e l’unico parente di cui si parla è la sorella Lizzie. Nella realtà Alice crebbe fino a diventare un’artista che viaggiò molto, insieme alle sue sorelle Lorina e Edith.

Ma nonostante la gioventù spensierata e le soddisfazioni in campo artistico, per il resto della sua vita Alice ebbe una serie di delusioni profonde.

Ella infatti non potè essere presente al funerale di Carroll, suo amico di infanzia, morto nel 1898; quattro giorni dopo dovette sopportare la morte del Padre e dodici anni dopo quella della madre.

Perse due dei suoi figli e suo marito durante la prima guerra mondiale ed infine cadde in miseria, con profonde difficoltà economiche; visse il resto dei suoi giorni in un’umile dimora, insieme al figlio rimasto ritrovandosi a dover vendere (così da poter sopravvivere) il manoscritto originale di Carroll, che lui stesso le aveva donato quando aveva solo 8 anni.

Alice morì nel 1933, pochi giorno dopo aver assistito alla proiezione del film “Alice” prodotto da Paramount.

Rimane solo da chiedersi come sarebbe stata la sua vita se il paese delle meraviglie ed i suoi amici avessero continuato ad incontrarsi periodicamente? E se Wonderland fosse stato il luogo perfetto in cui rifugiarsi dalla realtà? Un luogo capace di offrire la possibilità di risolvere i problemi e cambiare il corso delle cose, modificando nel mentre le scelte sbagliate e le vicende sgradevoli.