Cyberpunk 2077 ha regalato all’industria un insegnamento vitale

Come nella tradizione della più classica fenice, anche Cyberpunk 2077, ambizioso progetto della casa di produzione polacca CD Projekt Red, è risorto, di recente, dalle ceneri del bruciante fallimento.

A quasi due anni dall’uscita e dopo essere riuscito con unghie e denti a sopravvivere ad una memorabile damnatio memoriae da parte della community videoludica, il gioco è riuscito a tornare ad essere fruito e discusso in massa.
Parte del merito si deve all’uscita della serie anime Cyberpunk: Edgerunners prodotta dallo studio d’animazione Trigger; quest’ultima grazie ad una mistura perfetta di tecniche grafiche fuori scala e narrazione dell’opulenza che il genere cyberpunk porta con sé, è riuscita nel far rinascere l’interesse intorno al gioco e all’immaginario che funge da pilastro fondante.

In tanti dunque, tra nuovi giocatori che vi si approcciavano per la prima volta e veterani di Night City, hanno ben pensato di rigettarsi nell’avventura che la Città Libera offriva. D’altronde respirare le atmosfere di CP2077 non è un’esperienza banale: passeggiare per i vicoli bui popolati dai criminali mentre si viene illuminati dai neon dei palazzi delle megacorporazioni è un buon modo per ricordarsi dei grandi contrasti che tingono la vita delle grandi e moderne metropoli.

Tutto questo è un po’ un antefatto che ci porta a parlare di un merito specifico legato a Cyberpunk, uno di quelli che rende questo videogioco di grandissima importanza non tanto per l’esperienza quanto per il mondo dei videogiochi.

Prima, però, è meglio fare un po’ di storia.

Cyberpunk 2077: l’attesa è essa stessa il piacere?

Maggio 2012, Il mondo è col fiato sospeso per una sua imminente fine.
In Polonia le cose vanno diversamente: a mò di sfregio una software house (già con un suo bacino di utenza, pronta a fare il botto qualche anno dopo con The Witcher 3: Wild Hunt) presenta un nuovo progetto.

Pur senza nomi precisi fin da subito inizia ad aleggiare un titolo in cui stile ed ambientazione richiamano un sottogenere a metà tra la fantascienza e l’urban, legato alla letteratura di Philip K. Dick o alle atmosfere di Katsuhiro Otomo.
Parliamo di un universo narrativo sporco, violento, elettronico, ribelle, così avanti con le tecnologie da aver fatto tornare l’umanità indietro: ecco il cyberpunk.
CD Projekt Red, che fino a quel momento aveva fatto parlare di sé solo e soltanto per The Witcher, un dark fantasy medievale, decideva così di mostrare la propria voglia di sperimentare nuovi orizzonti buttandosi su un’ambientazione quanto più lontana ed incompatibile con quella dei romanzi di Sapkowski.

Nel gennaio 2013, ormai scongiurato il pericolo fine del mondo, viene presentato il primo trailer. Nonostante si trattasse solo di un filmato in CGI, privo di gameplay, tanti erano gli elementi che facevano l’occhiolino ad un pubblico bramoso di immaginare, con l’acquolina in bocca, tante belle caratteristiche degne di un titolo interessante e gustoso da giocare.

In quel primo trailer comparivano già tanti elementi essenziali di quello che sarebbe voluto essere il gioco finito: una società costruita sui contrasti, da una parte la brutale polizia, dall’altra poco più che dei freak con possibilità di mutilare il proprio corpo per modificarlo e renderlo un’arma inscalfibile; la scarsa considerazione per la vita, l’opulenza degli alti palazzi, l’indigenza dei vicoli bui; tutto questo con una palette cromatica che ricercava nello scoppio dei colori caldi su una base di colori freddi il colpo d’occhio per arrivare a impressionare lo spettatore.

Ed alla fine di quei due minuti di trailer, figurava una frase, di un rosso carminio ed indelebile:

<<Coming: When It’s Ready>>.

Questa frase, insieme a tante altre, diventerà fondamentale nell’analisi generale dell’operazione CP2077; ai tempi provocò grande clamore positivo nella community internazionale, sempre più abituata a release che cercavano di fagocitare il mercato grazie ad uno sviluppo celere ma pesantemente imperfetto.

Keanu Reeves nei panni di “Johnny Silverhand”

CDPR: la casa amica

La mancanza di buone idee da parte di molte case di sviluppo ed il conseguente tracollo legato alla loro soverchiante avidità aaveva portato i giocatori di tutto il mondo ad affezionarsi ad una frase come esce quando è pronto.

In essa si riusciva a scrutare l’affezione che una piccola software house riversava non solo su un loro progetto ma sul rapporto con la community che quel progetto significava: un rispetto percepito molto più grande di quello legato ad altre SH più grandi e blasonate.

Da quel trailer, però, si perdono le tracce del progetto, nessuno nota più di tanto quell’assenza perché nel 2015 debutta The Witcher 3.
Il titolo, apprezzato da pubblico e critica, diventa un vero e proprio fenomeno commerciale e popolare di cui la vittoria del Game Of the Year ai “The Game Awards” rappresenta solo la punta dell’iceberg. Quel terzo capitolo porta tanti ad avvicinarsi ai due capitoli precedenti ed a scoprire la storia di quella casa di produzione polacca che con tanto cuore aveva portato avanti tale progetto.

In un momento in cui a farla da padrone erano multiplayer colmi di micro transazioni CDPR aveva pubblicato un videogioco single player da oltre cento ore, avendo pure la faccia tosta di fare dei soldi.

Tra The Witcher e Cyberpunk: La speranza

CDPR con The Witcher aveva vinto, aveva dimostrato ad aziende più grandi, più importanti e blasonate che ciò che i giocatori ricercavano non era altro che una storia ben narrata e che la bulimica socialità che il multiplayer offriva poteva non essere sempre la risposta corretta.  La casa polacca diventò così termine di paragone ed iniziò ad essere percepita dai gamer come loro “amica”, grazie a manovre di imbonimento azzeccate come l’offrire, gratuitamente, contenuti estetici.

Di The Witcher 3 si discute tanto e con insistenza. Pubblico e critica tendono a concordare sulla qualità del prodotto e CDPR ne incassa, orgogliosa, i proventi. La software house sa di aver fatto un buon lavoro e si adagia su questa consapevolezza.

Giugno 2018, conferenza E3: in maniera totalmente inaspettata ed imprevista, tra i tanti trailer, ne parte uno in particolare.

Su di una metropolitana una voce narrante ci racconta di come Night City nel 2077 sia la peggior città in cui vivere. Quei pochi elementi a schermo bastano per far esplodere il boato del pubblico che con un’operazione mnesica ricaccia fuori i ricordi forgiati nel 2012 e con il trailer del 2013. Una software house amica dei giocatori, un gioco destinato ad uscire quando sarebbe stato pronto: tutto quanto sembrava andare per il verso giusto.

La gente esulta per la presentazione e l’apertura dei pre-order di Cyberpunk 2077, si rallegra per la concretizzazione di un miraggio; viene per la prima volta mostrato anche  il motore grafico all’opera ovvero il REDengine.

L’art design lascia tutti senza parole, un riff di sintetizzatore riecheggia nel cuore di ogni appassionato, impaziente di immergersi nelle atmosfere, di calpestare il mondo corrotto, sporco, violento ed affascinante di Night City.

Rivedendo il trailer col senno del poi fa sorridere sentire la voce narrante proferire frasi come:

<<La città ha sempre una promessa per te. Che sia una bugia o un’illusione, è comunque lì […] e ti spinge a continuare>>.

Inutile sottolinearne l’ironia, inutile dire che parlare di promesse e conseguenti illusioni significa parlare della base di dialettica che oramai Cyberpunk si porta dietro.

Da quel punto in poi, la storia è più o meno nota a tutti.

Panam al primo incontro in game

Il tradimento

Nel 2019 si inizia a parlare di un’uscita ad aprile 2020, i pre-order schizzano alle stelle e tutti sembrano volere un po’ di quel cyberpunk.

Ad aprile 2020 il gioco non esce, ma viene rinviato a Settembre per dare tempo alla software house di rifinire gli ultimi dettagli. L’annuncio del rinvio arriva su quella che sarebbe poi diventata l’iconica cartolina gialla.

Arriva settembre e con esso arriva un nuovo rinvio, una nuova cartolina gialla.
Nonostante il gioco fosse entrato da tempo in fase Gold CDPR non faceva altro che chiedere più tempo ai giocatori; questi ultimi, nonostante una certa scontentezza hanno però dimostrato fiducia nei confronti della software house, tale era il rapporto tra le due parti.

Novembre arriva e nessuno festeggia perché, ancora una volta, arriva l’annuncio di un rinvio. Dai comunicati ciò che traspare è la voglia di CDPR di lavorare finno alla fine sui dettagli più piccoli ed insignificanti, così da offrire la migliore esperienza possibile al suo pubblico.

In seguito all’insorgere di lamentele, diverse figure del giornalismo videoludico iniziano ad indagare, pubblicando con frequenza giornaliera articoli su articoli riguardanti le condizioni lavorative di CDPR.
Turni di lavoro massacranti, pause ridotte all’osso, atmosfera deleteria: tutto perché, semplicemente il gioco non è pronto. 

Alcuni degli sviluppatori, mantenendo l’anonimato, dichiarano che alla notizia della release nel 2020 furono in molti a scoppiare in grasse risate, pensando evidentemente ad uno scherzo. Il gioco, a detta degli addetti ai lavori, non sarebbe potuto essere pronto prima del 2022.

Un alone di incertezze iniziò quindi ad ammantare la mastodontica opera dello studio polacco, specie perché nessuna testata specializzata riuscì a ricevere una copia del gioco in anteprima, così da poter realizzare una recensione o un’analisi. Il primo sintomo delle pessime condizioni del gioco lo si può dedurre da questo anomalo (e triste) comportamento.

L’uscita del gioco

10 dicembre 2020, nell’incredulità della popolazione giocante CP2077 esce ufficialmente.

Il gioco viene rilasciato su tutte le console di casa Sony, su tutte le console di casa Microsoft e su PC.
Molti optano per l’acquisto al day one, spinti da una pubblicità tartassante durata mesi; le aspettative, chiaramente, sono alle stelle

Gli sviluppatori dichiarano che anche sulle console di vecchia generazione (Ps4 ed Xbox One) il gioco avrebbe girato “sorprendentemente bene”. Per citare Ovidio, “Absit Reverentia Vero”, bando al pudore di fronte alla verità.

La verità appare drastica e terribile: il gioco è stato rilasciato incompleto.
Cyberpunk 2077 per come è arrivato sugli scaffali non è altro che una grezza build piena di idee inesplorate o poco più che abbozzate. La giocabilità lascia molto a desiderare, specialmente al day one prima dell’enorme patch correttiva. I problemi tecnici sono i primi a saltare all’occhio e le console di vecchia generazione, semplicemente, non ce la fanno a supportare il gioco, almeno come i proprietari delle stesse non riescono a sopportare il terribile spettacolo che si para d’innanzi a loro. Con un inevitabile effetto valanga il web si inizia a riempire di dichiarazioni che suonano più o meno come:

“un nostro amico ci ha presi in giro, siamo stati traditi

Il resto è, tristemente storia.

Keanu Reeves t-pose bug cyberpunk 2077

Cyberpunk e l’Industria

Purtuttavia, se ne stiamo scrivendo è per arrivare ad un punto: capire quale sia stato il più grande merito che CP2077 può tutt’ora vantare.

Il medium videogioco è tra i più giovani che l’industria dell’intrattenimento possa vantare e la dignità che ad esso si attribuisce è, di anno in anno, in considerevole crescita. La giovinezza, per definizione, comporta incoscienza ed illusione. Ci si crede invincibili, capaci di sovvertire l’ordine costituito, capaci di cadere sempre in piedi; crescendo impariamo che non sempre è così e che la crescita non passa solo attraverso episodi positivi ma anche dalla ricerca di soluzioni ad episodi drastici ed inattesi.

L’industria videoludica, complice questa giovinezza, ha sempre affrontato i problemi che l’hanno costellata senza far trasparire la giusta maturità, dando nel contempo contezza ed autorevolezza al medium.
Si è sempre rimasti chiusi in una bolla, lontani da terminologie che toccavano altri aspetti del mercato. Chi segue il videogico è più probabile che si ritrovi a definire Cyberpunk un “gioco incompleto” e non un “prodotto non conforme” la cui regolamentazione cade quindi nella giurisdizione della Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.  

Per anni il videogioco ha vissuto in quella che nel lessico giuridico viene definita “zona grigia” ovvero un’ immaginaria zona giuridica in cui non si hanno ben chiari i passi da effettuare in caso una determinata situazione si presentasse. La pubblicità ingannevole, il burnout degli sviluppatori, pratiche commerciali scorrette: tutte situazioni che non sono mai state considerate come sbagliate in maniera assoluta ma relativizzandole all’industria videoludica. Mai si è discusso di sindacati dei lavoratori dell’industria o di tutele particolari; mai ci si è levati contro una software house incapace di rispettare quanto pubblicizzato. Se il dialogo riguardava i videogiochi, era come se le leggi che dominano la società non riuscissero a penetrarvi.

Cyberpunk 2077: lo spartiacque definitivo

Ed è in questa stagnazione che il merito di Cyberpunk si colloca, tristemente per lui.
Il gioco della compagnia polacca ha rappresentato uno spartiacque definitivo tra il modo in cui certe faccende venivano affrontate prima e di come hanno iniziato ad essere percepite dopo.

Il lessico si è evoluto: non si parla più di gioco che non esce esattamente per come era stato annunciato ma di pubblicità ingannevole; si discute del crunch degli sviluppatori ovvero dello sfruttamento lavorativo cui vengono sottoposti, delle minacce di licenziamento in caso di mancato adempimento ad obblighi straordinari ed estranei a qualsiasi scrittura contrattuale; non si parla più solo di giocatori, termine che tende a regalare all’ascoltatore un’immagine infantile ma di consumatori e fruitori.

Evolvere il lessico comporta, necessariamente, l’incasellamento di tutta l’industria adottante quel lessico, ad un grado diverso, un grado più maturo, non staccato dai concetti di buone pratiche commerciali e lavorative, ma rappresentante un’estrinsecazione diversa di esse.

Arriva la coscienza per cui il videogioco non è un medium che vive di vita propria, fluttuante in una bolla in un pallido e scarno vuoto ma una fetta molto significativa del mercato dell’intrattenimento.

In quanto tale, ad esso devono applicarsi quelle regole che permettono una corretta informazione, corretta pubblicità, equi diritti per i lavoratori del settore, rispetto del consumatore ultimo e conseguenze reali nel caso uno di questi fattori avesse mancato di applicazione.

È del tutto logico pensare ad altri eventi che, già prima di Cyberpunk2077 avevano rappresentato episodi di ribellione da parte delle varie community ma nessuno di essi, dall’incompletezza di No Man’s Sky al false advertising di Bethesda con la distribuzione di gadget diversi da quelli pubblicizzati, aveva fatto breccia nella società reale come CP.

Le mobilitazioni nate a seguito del lancio hanno raggiunto picchi tensivi difficili da vedere, anche in altre branche dell’industria dell’intrattenimento: gli investitori che, in solido, presentavano class action su class action, il governo polacco intervenuto con sanzioni a CDPR in tutela dei consumatori, il UOKIK, ente polacco preposto a tutela dei consumatori sul piede di guerra, Sony che rimuove il gioco dallo store Playstation poco dopo il lancio, porte aperte ai rimborsi con conseguente crollo in borsa della società polacca. Un recente articolo di Forbes riporta come <<sin dal lancio di Cyberpunk 2077, le azioni di CDPR siano crollate del 75%>>.

Immaginiamo l’industria videoludica prima di cyberpunk come una corda: eventi come quelli di No Man’s Sky, Bethesda ed affini hanno rappresentato per anni sforzi tensivi a cui la corda è stata sottoposta.

Cyberpunk ha rappresentato lo strattone finale ad una corda ormai assottigliata e logora. E quando una corda si spezza, tutte le certezze che sorregge, tendono a capitolare al suolo costringendo gli addetti ai lavori a costruire una nuova corda, più sicura, più difficile da rompere, nel rispetto di tutte le misure strutturali adeguate all’edificazione di tale arnese. A guidarli in tale costruzione, sarà la consapevolezza acquisita da quel capitombolo.

Cyberpunk ha avuto quindi l’onere di scuotere il mercato da un immobilismo infantile a cui fin troppo a fondo si stava relegando. E non si può che considerare tutto ciò un grande merito che il gioco di CDPR può vantare, inconsciamente certo, di aver raggiunto.

La crescita, così nella vita come in qualsiasi aspetto di essa, arriva dal perfetto mix di situazioni gradevoli e sgradevoli, di successi ed insuccessi. Onore al merito. Se oggi riusciamo a discutere in maniera più matura del medium d’intrattenimento che fattura più al mondo, un grande grazie lo dobbiamo proprio a quel gioco che, anche grazie alla sua narrazione interna, voleva spiegarci come non bisogni mai accontentarsi, come lottare contro le grandi corporazioni sia giusto se in quella lotta si nasconde la ragione ed il pensiero critico.

Grazie Cyberpunk 2077.
Grazie CD Projekt Red, amica nostra.