Arkanoid: racconto di un classico senza tempo

Arkanoid copertina

Con Arkanoid: racconto di un classico senza tempo continua la nostra rubrica settimanale #venerdìnostalgia dedicata al retrogaming. Ecco il nostro racconto di un gioco epico.

Se vi siete persi gli articoli precedenti dedicati al retrogaming potrete ritrovarli comodamente tutti a questo link. Troverete Final Fantasy, Resident Evil, Silent Hill e molte altre chicche raccolte solo per voi!

ARKANOID: RACCONTO DI UN CLASSICO SENZA TEMPO

1986, chi sta scrivendo in questo preciso istante aveva ben due anni di vita, in radio andava forte Madonna, con la sua Papa don’t preach, e gli A-Ha sfornavano una delle canzoni più belle di tutti i tempi, Take on me merito anche di un videoclip in grado di unire attori in carne ed ossa a scene disegnate con i fumetti. Al cinema usciva un capolavoro dopo l’altro, da Platoon a Top Gun, dalla Mosca a Navigator, passando per Aliens. In quegli anni pieni di vita e creatività, la software house giapponese Taito stava per lanciare sul mercato un titolo destinato a diventare una vera e propria icona della storia dei videogiochi: Arkanoid.

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Il font di Arkanoid, bello come nel 1986

LA TRAMA PRIMA DI TUTTO

La cosa che stupisce più di ogni altra, rispetto ad Arkanoid, è che, in perfetta antitesi a quanto sostenuto dal creatore di DOOM, sulla sostanziale inutilità della trama nei videogiochi, in questo titolo la trama c’è eccome. Durante un viaggio nello spazio profondo, l’astronave madre Arkanoid viene infatti distrutta da una misteriosa forza ostile. Gli unici a salvarsi siamo noi, a bordo della piccola astronave “Vaus“, ma ben presto resteremo intrappolati in una piega spazio-temporale. In questo luogo bi-dimensionale, dovremo affrontare livelli via via più difficili, cercando di arrivare fino al responsabile di tutti i nostri guai, l’entità aliena Doh. Ribatezzato, in alcune conversioni, il “Dimension Changer“. Arrivare a sconfiggerlo, per vedere l’epilogo, sarà impresa tutt’altro che facile.

arkanoid copertina
Una delle prime copertine di Arkanoid

“IO SONO TUO PADRE”

Arkanoid è il seguito spirituale di un gioco del 1976 per Atari: Breakout. In Atari volevano replicare il successo di Pong, ma con un prodotto che fosse giocabile da un giocatore solo. Affidarono il progetto a Bushnell e Bristow, che si misero all’opera nel 1975. Bushnell, per apportare le dovute migliorie alla scheda si rivolse ad un giovane dipendente di Atari, che qualche tempo prima gli aveva mostrato una rivoluzionaria scheda di Pong. Quel dipendente altri non era che un giovane Steve Jobs e la scheda fu realizzata dal suo amico e socio Steve Wozniak.

I due giochi hanno in comune praticamente tutti gli aspetti del gameplay. Anche in Arkanoid lo scopo del gioco è quello di abbattere tutti i mattoncini che compongo il livello attraverso l’uso di una sfera. Questa sfera va colpita usando la nostra navetta come appoggio. I nostri movimenti sono limitati ad uno scorrimento orizzontale sul fondo del livello. Ovviamente, se non riusciamo a colpire la sfera, essa si perde sul fondo dello schermo, facendoci perdere una delle nostre vite. Una volta finite le tre, canoniche, vite, la partita è persa e tocca ricominciare da capo. Più mattoncini si colpiscono, più la velocità della sfera aumenta, rendendo il gioco sempre più difficile.

Arkanoid Jobs
Due persone abbastanza importanti nella storia dei computer

ISPIRATO SI’, MA RICCO DI NOVITA’

Nonostante l’ispirazione dal titolo Atari, Arkanoid introdusse moltissime novità per un titolo “palla e racchetta“. Oltre alle numerose innovazioni grafiche, contraddistinte da uno stile colorato e moderno, vennero aggiunte alcune interessanti variazioni. La più importante è sicuramente quella dei potenziamenti lasciati cadere dai mattoncini distrutti. Sotto forma di capsule avremmo potuto beneficiare di alcuni bonus.

La capsula rossa “Laser” ci permetteva di aggiungere i cannoni laser al nostro Vaus, regalandoci enormi vantaggi in termini di potenziale offensivo. La capsula blu aumentava la lunghezza della nostra capsula. La verde ci permetteva di magnetizzare lo scafo, incollando la pallina sul nostro modulo ad ogni tocco. Quella arancione rallentava la velocità della pallina. La capsula viola, creava un varco da cui saltare immediatamente al livello successivo. Quella azzurra divideva la sfera in tre parti uguali, regalandoci attimi di puro godimento. La capsula grigia ci dava una preziosa vita extra.

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I famosi “livelli” di Arkanoid

L’INCONTRO CON DOH

Superare i primi 32 livelli era un’impresa tutt’altro che semplice. Se infatti i primi quadri risultavano essere abbastanza lineari, da un certo momento in poi facevano la loro comparsa dei mattoncini speciali. Questi mattoncini erano in grado di cambiare colore dopo essere stati colpiti, richiedendo più tempo per essere distrutti. I famigerati mattoncini argento aumentavano il numero di colpi necessari per essere distrutti di una unità ogni 8 livelli. I mattoncini oro invece erano semplicemente indistruttibili.

Una volta arrivati all’ultimo quadro, avremmo dovuto vedercela con l’alieno DOH, il responsabile di tutte le nostre sventure. Questo essere, unico boss del gioco, era rappresentato da una testa vagamente rassomigliante alla testa di una statua Moai dell’Isola di Pasqua, ed era in grado di lanciarci contro un gran numero di oggetti. Per sconfiggere DOH bisognava colpirlo ben 16 volte con la nostra sfera. Questo quadro era anche l’unico che non avremmo potuto rigiocare in caso di sconfitta, nemmeno inserendo altri coin, cosa invece possibile negli altri livelli.

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Arkanoid in tutto il suo splendore

UN GIOCO CHE HA FATTO STORIA

Arkanoid, grazie alla sua sapiente combinazione di vari elementi è diventato una vera e propria pietra miliare della storia dei videogiochi. Il record, con settaggio “estremamente difficile” è datato 7 Settembre 2008 ed è detenuto da Nick Mollison con 1,156,930 punti. 1.658.110 sono invece i punti fatti da Zack Hample il 13 Marzo 2000 e gli valgono ancora oggi il record del mondo a livello “normale”.

Arkanoid ci ricorda, una volta di più, come vi sia una netta distinzione tra la semplicità nell’idea alla base di un prodotto di grande successo e la sua estrema difficoltà pratica, qualcosa che negli anni ’80 era una consuetudine nel mondo dei giochi e oggi, man mano, si è perduta in favore di una minor frustrazione di una generazione di videogiocatori più esigenti ma molto meno pazienti.

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