In un’epoca in cui le meccaniche classiche del gioco di ruolo a turni stanno trovando nuove strade più orientate all’azione, rilasciare sul mercato Dragon Quest I & II HD-2D Remake, una riedizione dei primi due capitoli della saga che ha dato vita ai JRPG, è una dichiarazione d’intenti importante.
Dragon Quest I & II HD-2D Remake è un ponte tra passato e presente che non si limita a essere una semplice operazione commerciale mirata a rivitalizzare il brand di Dragon Quest, ma è un atto di preservazione culturale fatto con amore, cura nei dettagli e dedizione, per offrire a veterani e neofiti la possibilità di riscoprire l’esperienza originaria con occhi nuovi.
Con questa collezione, finalmente la Trilogia di Erdrick è completa, data la precedente uscita di Dragon Quest III HD-2D Remake. I primi tre capitoli della saga, infatti, sono legati tra loro da Erdrick, un eroe di cui si perdono le tracce nella leggenda e da cui gli avatar dei giocatori discendono.
Vi starete chiedendo, forse, perché sia uscito prima il terzo capitolo in questa orda di remake, e solo dopo i primi due. Il motivo è che, come vi abbiamo spiegato nella nostra recensione, il terzo capitolo funge proprio da prequel ai primi due, nella cronologia degli eventi.
Attenzione: all’interno di questa recensione ci potrebbero essere degli SPOILER!
Gira e rigira, tutto parte sempre da draghi e sotterranei
Proprio un mese fa in Giappone, chiacchierando davanti a una birra con il compositore musicale Hitoshi Sakimoto (di cui troverete un’intervista doppia con Richter tra un paio di settimane), abbiamo discusso proprio delle origini degli RPG e dei JRPG: draghi ed eroi, avventurieri e dungeon, battaglie e magia. Dal boom di Dungeons & Dragons scaturito negli anni ’70 e diffusosi negli anni ’80, l’industria del gioco è cambiata per sempre, contaminando anche e soprattutto il medium videoludico sia in occidente che nel paese del Sol Levante.
Sakimoto-san, all’epoca non ancora allievo di Kōichi Sugiyama (leggendario, controverso, geniale e compianto compositore della colonna sonora di Dragon Quest), mi raccontava proprio di come in quel periodo, quando ancora non sapeva che sarebbe diventato autore musicale, lui lavorasse a fare porting di “avventure testuali di D&D” da un tipo di computer all’altro, mentre pian piano da occidente si facevano conoscere anche dal pubblico giapponese opere come Wizardry e Ultima, veri e propri videogiochi di ruolo.
Questi giochi erano principalmente per PC e avevano un’interfaccia incredibilmente complessa per l’epoca, soprattutto per il mercato giapponese, come ci ha raccontato Yuji Horii, autore di Dragon Quest, al Napoli Comicon 2025. Da qui, l’idea: come poter raccontare storie di leggende, draghi ed eroi in una maniera più coinvolgente per console?
È così che le idee di Horii si concretizzarono per Famicom nel 1986 in un eroe che parte, cresce e affronta il male, con meccaniche semplici e accessibili (come per esempio, la possibilità di salvare il gioco o la gestione dei combattimenti a turni) in modo da divertire e da essere coinvolgente anche sul piano narrativo.
Per dare al gioco un’idea visiva forte ci si avvalse del compianto Akira Toriyama, all’epoca già in auge per il manga di Dragon Ball, mentre alle musiche ci si affidò alla genialità del già citato Sugiyama-san. Anche dal loro lavoro prettamente artistico sono nati gli stilemi che hanno condizionato lo sviluppo successivo dei JRPG. Pensate alle caricature dei personaggi che si vedono nell’overworld rispetto alle illustrazioni più accurate nei combattimenti, o al concetto stesso di overworld diviso dagli scenari di combattimento o dai dungeon, o pensate all’esistenza stessa di musica orchestrale nelle colonne sonore.
Tutto è partito da qui.
Ecco perché recuperare le origini di Dragon Quest significa esplorare le radici di un sogno che ha cambiato il videogioco, riscoprendo quel mondo di spade e magie che ha acceso l’immaginazione di milioni e milioni di giocatori fino ai nostri giorni.
Le storie universali di Dragon Quest
La narrativa, in entrambi i capitoli di Dragon Quest I & II HD-2D Remake segue una struttura comune, una sorta di archetipo puro del gioco di ruolo: un male antico deve essere debellato da un eroe per salvare il mondo.
In Dragon Quest I, il protagonista è un discendente di Erdrick chiamato a liberare il regno di Alefgard dal perfido Dragonlord. In Dragon Quest II, sebbene il mondo si apra di più e ci siano più personaggi, la struttura resta la medesima: tre giovani discendenti di Erdrick si uniscono per sconfiggere lo stregone Hargon per salvare il mondo.
Questo minimalismo narrativo, quasi fiabesco, è stato essenziale per le tecnologia dell’epoca, ma è rimasto radicato comunque nella saga di Dragon Quest come tante altre scelte: per Yuji Horii, il videogioco deve essere sempre un po’ la tela bianca su cui i giocatori proiettano l’eroe, partecipano all’avventura e diventano parte della leggenda.
In questo approccio “tela bianca” la semplicità non è riduttiva, ma liberatrice; serve proprio a tre vantaggi principali:
- Rendere immediata l’identificazione con l’eroe: non serve una genealogia complicata o complessi rapporti familiari, basta un “tu, eroe, devi salvare il mondo.”
- Consentire al gameplay di influenzare lo spazio narrativo: dungeon, combattimenti, equipaggiamento, tutto diventa parte della narrazione visiva e ludica.
- Perseverare in un senso di scoperta costante: esplorare, trovare l’oggetto leggendario di turno, attraversare deserti e mari… ogni tappa, in questa maniera, diventa riconoscibile e significativa anche sul piano soggettivo.
Le storie di entrambi i giochi utilizzano proprio le figure che ormai sono diventate archetipiche nel genere: l’eroe ignaro della sua eredità, la principessa in pericolo, l’antico male risvegliato, il viaggio attraverso mondi pericolosi. Questi elementi, per quanto semplici, evocano subito un sentore di mito classico. Oggi ci sembrano dinamiche anche scontate, ma è importante guardare a queste caratteristiche con gli occhi dell’epoca.
Per esempio, in Dragon Quest I l’eroe parte dal villaggio, attraversa dungeon, sconfigge mostri per ottenere oggetti chiave e dunque cresce; la meccanica stessa della progressione, riflette in questa maniera la crescita dell’eroe e la familiarità del giocatore con il sistema di gioco. Anche in Dragon Quest II la struttura base rimane la medesima: esplorazione, superamento di prove, scontro finale.
La forza di queste storie risiede proprio nel loro ritmo universale: tutti sanno cosa c’è in ballo, tutti riconoscono le fasi del viaggio dell’eroe dalla chiamata dall’avventura al superamento di prove fino ad arrivare allo scontro finale, e così la storia risulta immediata e accessibile per tutti.
Perché giocare Dragon Quest I e II oggi?
Il pacchetto Dragon Quest I & II HD-2D Remake, come già accennato, reinterpreta con l’occhio di oggi, ammodernamenti di quality of life e novità contenutistiche i due capitoli originari della saga. L’unione dei due capitoli in un’unica uscita permette ai giocatori di contemporanei di affrontare la saga dei discendenti di Erdrick in sequenza, sebbene comunque dal menu principale sia sempre possibile scegliere quale dei due giochi giocare ogni volta.
I remake adottano entrambi lo stesso stile visivo HD-2D, un marchio di fabbrica di Square Enix fatto di pixel art nostalgica curata nei minimi dettagli, calata in ambienti 3D moderni ed effetti visivi HD. Fa sorridere e fa riflettere che, ormai, il termine HD-2D compaia addirittura nella titolatura del pacchetto di giochi, data la forza di questa identità visiva acquisita negli anni grazie ai lavori passati di Square Enix.
Luci, texture, prospettive curate, rendono l’esperienza immersiva per i giocatori moderni, e offrono un nuovo punto di vista per i più navigati che abbiano già giocato i vecchi titoli, il tutto senza rinunciare all’anima originale di Dragon Quest. Anche la colonna sonora beneficia di una qualità aggiornata, sebbene comunque non si raggiungano ancora i livelli delle registrazioni originali di Suigiyama Kobo, l’azienda di Sugiyama che ne detiene i diritti musicali.
Pur preservando l’essenza del combattimento a turni e dell’esplorazione tra overworld, città e dungeon, il remake introduce novità importanti che modificano sensibilmente l’esperienza originaria; la più importante tra tutte in Dragon Quest I è la presenza di più nemici contemporaneamente: questo snellisce le dinamiche di combattimento originarie, ma al contempo le rende anche più complesse in quanto in tutto il gioco ci si ritrova sempre da soli a combattere intere orde.
Da un certo punto di Dragon Quest I in poi – non vi dico quando per non incorrere in spoiler contenutistici – i combattimenti potrebbero diventare anche frustranti, in quanto legati troppo all’alea degli output di danni e al passaggio della propria strategia allo spam compulsivo di cure, buff e protezioni a scapito di mosse di attacco.
Il cambiamento più importante in Dragon Quest II, annunciato di recente in concomitanza con il Tokyo Game Show 2025, è la presenza di livelli subacquei che consentono di approfondire un po’ i ricordi del passato di Alefgard, rivelando nuovo contenuto inedito. Contenuti inediti che, comunque, si spalmano su entrambi i capitoli con personaggi rivisti e resi giocabili e altre cose che non posso (e non voglio) rivelarvi o finirei per rovinarvi la sorpresa.
Non mancano miglioramenti della qualità della vita come un salvataggio più comodo, la possibilità di salvare i dialoghi, un’interfaccia aggiornata, nuovi incantesimi e nuove abilità, suggerimenti per le debolezze dei nemici nei combattimenti e la possibilità di aumentare la velocità delle battaglie per avere un’esperienza di gioco più fluida. Da menzionare anche i sigilli, dei nuovi poteri in grado di potenziare alcune meccaniche di gioco come gli attacchi.
Come esperienza, per quanto possa sentirsi un po’ la vecchiaia di entrambi i Dragon Quest, devo dire che Square Enix abbia lavorato davvero bene a snellire meccanismi e interazioni che potevano far sentire il peso del tempo. Certo, magari si poteva lavorare un po’ di più su alcuni menu di gioco come per esempio l’inventario, ma tutto sommato è impossibile non essere felici di giocare a un’opera di restauro del genere.
Dragon Quest I e II sono entrambi giochi di vecchio stampo, e sinceramente, sia per limitatezza tecnica, sia per mie abitudini, mi sarebbe risultato difficile avere accesso ai giochi originari per il puro gusto di recuperarli. Remake e remaster del genere, quando valorizzati e curati così come è stato fatto per Dragon Quest I & II HD-2D Remake e per il corrispettivo del terzo capitolo, personalmente non possono che essere i benvenuti (e i benvoluti) sui miei scaffali.
Un’eredità che merita di essere ri-vissuta
Giocare Dragon Quest I & II Remake oggi significa prendere parte a un pezzo di storia videoludica: la nascita del genere JRPG come lo conosciamo oggi, toccando con mano la leggenda e capendo fino in fondo da dove la formula ha preso forma. Per chi ama il genere, è un’occasione d’oro per rivivere un classico e per riscoprire come certe meccaniche e certe dinamiche, che oggi possono apparirci quasi banali, siano state pioneristiche. Inoltre, la combinazione di tutte queste ragioni, fa sì che Dragon Quest I & II HD-2D Remake non sia solo una mera operazione nostalgia, ma una forma di rivisitazione consapevole volta alla preservazione culturale di ciò che ha scritto la Storia.
Ce ne fossero di più remake fatti in questa maniera!
Voto finale: 8.5






