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The Division 2 – Recensione (PS4)

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Nel marzo 2016 fu rilasciato The Division, uno sparatutto in terza persona ideato principalmente per il multiplayer in cooperativa. Il titolo è stato sviluppato da differenti studi di Ubisoft, tra cui gli svedesi di Massive Entertainment. Il setting era una New York invernale in piena crisi socio-politica in seguito allo scoppio di un’epidemia che ha coinvolto l’intera nazione. Come agenti della Divisione era nostro compito riportare l’ordine in città, combattendo le minacce di alcuni gruppi rivoltosi come i Purificatori e i Riker.

The Division, le origini

The Division univa le tipiche meccaniche dello shooter in terza persona ad elementi open world e gdr, come l’aumento di livello (con un cap a livello 30), l’upgrade di armi ed equipaggiamento delle basi. Gli stessi standard che erediteranno tantissimi altri giochi Ubisoft come Watch Dogs 1 e 2, Assassin’s Creed Origins e Odyssey e Tom Clancy’s Ghost Recon Wildlands. Si trattò di un esperimento interessante, ma la formula non conquistò del tutto il pubblico. Il motivo principale riguardava anche la mancanza di un endgame effettivo.

 

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Da New York a Washington D.C.

Esattamente tre anni dopo, eccoci con il seguito. The Division 2 si sposta dalla gelida New York invernale ad una più calda Washington D.C. estiva. Sono passati mesi dallo scoppio dell’epidemia, ma la lotta per rifondare una società continua. Scopriamo insieme se i team di Ubisoft sono riusciti a raccogliere i feedback dell’utenza e a realizzare un prodotto migliore e più rifinito del primo capitolo.

La nostra avventura inizia con la creazione del nostro alter-ego. Nell’editor potremo personalizzarne ogni dettaglio, per poi lanciarci in medias res in una guerriglia come agente della Divisione. Il nostro compito sarà quello di riportare l’ordine nella città di Washington D.C. liberandola dalle tre fazioni principali: le Iene (non quelle di Italia Uno o del film di Tarantino), i True Sons e i Reietti.

La routine dell’agente

Il gameplay è rimasto apparentemente immutato dal primo capitolo: partendo da una base o da un rifugio, affrontiamo le missioni della storia o secondarie (assieme ad un massimo di altri tre compagni), sconfiggiamo ondate di nemici, seguiti spesso da mini boss di fine missione, guadagniamo esperienza, saliamo di livello, recuperiamo bottini e rifornimenti, acquistiamo o recuperiamo nuove armi e armature, spendiamo punti per migliorare le nostre abilità ed i vantaggi, liberiamo nuove zone, miglioriamo le nostre basi, conquistiamo nuovi avamposti, roccaforti e così via. Entriamo in un ciclo continuo che si ripete fino al livello 30 che corrisponde, essenzialmente, alla fine della modalità storia.

 

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Un gameplay ripetitivo, basato sul grinding ma appagante

Si tratta di un gameplay estremamente ripetitivo basato sul grinding, ma che non dà mai noia per due semplici motivi: il senso di appagamento dato da una reale e concreta progressione e dalla varietà degli ambienti, aspetto di cui approfondiremo in seguito. Le missioni non sono tantissime, ma sono lunghe e altamente rigiocabili. Notevolmente migliorato il gunplay, ora più realistico, sebbene il sistema di danno si basa ancora su punti ferita inflitti e non sulla parte del corpo colpita (in pieno stile gdr). Adesso i nemici non rimarranno in piedi anche dopo aver ricevuto una scarica di proiettili (almeno quelli base).

Rimasto immutato è invece il già ottimo sistema di coperture, mentre è stato migliorato il sistema di navigazione gps, anche se presenta ancora dei piccoli difetti. Un plauso va fatto anche alle migliorie introdotte nell’intelligenza artificiale: i nemici reagiscono ora in maniera realistica e aggressiva alle nostre azioni. Sopratutto alle difficoltà più elevate dovremo ragionare su una tattica e lavorare di squadra per metterli tutti K.O. Semplificata anche la gestione degli oggetti e delle missioni: adesso è molto più pratico gestire l’equipaggiamento ed entrare in partita.

Tanti piccole rifiniture, poche novità sostanziali

Tolte queste rifiniture, dal lato del gameplay, effettivamente le novità non sono poi così tante: qualche customizzazione in più ma niente di così eclatante. Insomma, in breve  The Division 2 riprende la formula del primo capitolo e la raffina, realizzando un prodotto finalmente ben bilanciato. Non c’era davvero bisogno d’altro.

 

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Un PvP, purtroppo, da rivedere

L’unico aspetto che sarebbe da rivedere, è forse il PvP, accessibile tramite le Zone Nere. Talvolta risulterà frustante perdere la vita per errori banali o semplice sfortuna. Aggiungiamo poi che i loot in questo tipo di match non sono poi così invitanti, quindi saremo poco invogliati a giocare in questa modalità. Per non parlare dei deathmatch a squadre che sono davvero mal bilanciati e penalizzati dalla mancanza dei vantaggi dati dal tanto sudato equipaggiamento. Anche nel primo capitolo le Zone Nere erano abbastanza mal bilanciate. Fortunatamente, il PvP è ben lontano dall’essere core del gameplay di gioco. Ad ogni modo, mi auguro che col tempo questa parte del gioco venga curata di più.

Ottima realizzazione tecnica ed estetica, peccato per le imperfezioni

Analizziamo adesso il gioco dal punto di vista tecnico ed estetico: dalla New York invernale passiamo ad una capitale in periodo estivo. Anche questa volta il motore grafico è il buon Snowdrop Engine, in grado di gestire grandi ambienti pieni di elementi dettagliati. Sebbene come setting preferisca la gelida New York (a mio parere si addice di più alla natura del gioco) devo dire che in ambito di level design è stato fatto un ottimo lavoro: la città sembra viva, piena di vegetazione e animali (selvatici e non) che si aggirano per le strade. Nelle missioni poi, ogni arena è differente dalle altre ed è estremamente curata nei dettagli. Passeremo da cantieri, a osservatori, dai musei ai tetti dei palazzi. La varietà non manca davvero!

Certo, non tutte le versioni del gioco sono ottimizzate a dovere: giocando su PlayStation 4, la versione utilizzata per la recensione, ho notato alcuni popup degli oggetti, diversi bug grafici e texture caricate più lentamente. Niente di troppo grave, tuttavia. L’esperienza rimane comunque godibile. Inoltre, se consideriamo la grandezza e il dettaglio dei particolari del mondo di gioco, sono errori che si lasciano perdonare.

Comparto sonoro nella norma e doppiaggio privo di mordente

La colonna sonora che accompagna le nostre battaglie è in perfetta sincronia con il gioco. Non aspettatevi, tuttavia, niente di eccezionale. Dal punto di vista del doppiaggio in italiano si poteva fare forse qualcosa in più. Talvolta è sottotono e privo di mordente. Peccato.

 

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Una trama in secondo piano, a vantaggio del puro gameplay

Dal punto di vista narrativo, come nel predecessore si è scelto di mettere la trama in secondo piano, in nome del gameplay e della progressione. Non che non esista una trama, c’è ma è la solita storia dei buoni che vogliono rifondare la società contro i cattivoni che vogliono abusare del disordine sociale per prendere potere, insomma, niente di così originale. Nel caso in cui ci interessi approfondirla, appureremo varie, frammentarie, informazioni durante le missioni o raccogliendo collezionabili.

Finalmente un endgame degno di questo nome!

Come detto a inizio recensione, nel primo capitolo mancava un vero e proprio endgame e questo era un vero peccato. In The Division 2 non è stato commesso lo stesso errore, anzi, si può dire che il gioco vero e proprio inizia con l’endgame. Una volta raggiunto il level cap, infatti, (livello 30) e completate tutte le missioni principali, sconfiggendo le tre fazioni nemiche ci sarà un inaspettato colpo di scena: la città verrà invasa da un nuovo temibile nemico: i Black Tusk.

L’arrivo di questa fazione darà inizio all’endgame. Dovremo rifare tutto da capo: liberare i quartieri, gli insediamenti, gli avamposti e altre attività con un livello di difficoltà ben più elevato. A questo punto non ci saranno più i livelli, ma i “Punti Armatura”, ovvero, la potenza del personaggio sarà determinata dagli elementi del suo equipaggiamento.

Ed è proprio qui che entrano in gioco le specializzazioni: se fino ad ora tutti gli agenti erano abbastanza simili, in questa fase sbloccheremo elementi in base al nostro stile di gioco, specializzandoci in ruoli diversi e andando così a caratterizzare classi differenti. Sarà necessario affrontare le missioni con agenti di classi diverse per avere successo contro il nemico!

Per sintetizzare, possiamo paragonare la bipartizione di The Division 2 alle carte francesi. È composto da due mazzi: il primo blu, che riguarda la prima parte del gioco, con il level cap. La seconda parte, il mazzo rosso, è invece, l’endgame e lo scontro con i temibili Black Task. Sono rimasto piacevolmente colpito da questa scelta.

In conclusione

The Division 2 ripropone tutto quel che c’è di buono nel primo capitolo e lo raffina, migliorandolo e introducendo piccole novità. Un prodotto consigliato sia a chi si è aggirato per le fredde strade di New York che ai novizi. Non è perfetto: una narrativa più approfondita lo avrebbe reso un titolo più interessante, ma se gli unici aspetti che cercate in gioco online sono azione e divertimento, è un acquisto da fare ad occhi chiusi. Infine, un applauso alla Massive e gli altri studi per aver finalmente realizzato un end game degno di questo nome, che sarà la base dei futuri aggiornamenti previsti per il gioco. Anche The Division 2, infatti dovrebbe avere delle seasons, o meglio, degli “anni” come Rainbow Six: Siege e altri titoli di Ubisoft. Sono curioso di vedere come si evolverà nel tempo questo prodotto.

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