Recensione: KHOLAT

Unione Sovietica, Gennaio 1959. Un gruppo di dieci studenti dell’Istituto Politecnico degli Urali parte per un’escursione di 350 chilometri, diretti verso il monte Otorten. Tutti esperti montanari e con alle spalle numerose escursioni anche molto difficili, guidati da Igor Dyatlov lasciano il piccolo paesino di Vizhai il 25 Gennaio.

Non sanno che soltanto uno di loro scenderà da quella montagna sulle proprie gambe doloranti. Gli altri escursionisti, dopo settimane di attesa e preoccupazione da parte dei familiari, verranno ritrovati morti, sparsi per un’area piuttosto ampia sul monte Kholat Syakhl, letteralmente “Montagna Morta” nella lingua della popolazione locale. La tenda nella quale dormivano verrà ritrovata semi sepolta dalla neve e con un lungo squarcio fatto con un coltello dall’interno della tenda, ed i corpi dei giovani studenti verranno scoperti semi svestiti, come se fossero scappati dalla tenda in stato di panico nel bel mezzo della notte.

Alcuni dei corpi porteranno i segni del passaggio di animali, o dei tentativi fallimentari di trovare rifugio da un pericolo in cima ad un albero. Secondo alcune indiscrezioni del tempo, la cute dei corpi aveva una strana tinta arancione, e secondo altre fonti, da alcuni esami effettuati sui resti sarebbero state trovate tracce di materiale radioattivo sui corpi e sugli abiti.

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La tenda dei giovani escursionisti come fu trovata dai soccorritori

Detta così sembra una storia inventata, un racconto dell’orrore scritto ad arte per spaventare degli adolescenti, no?

Sfortunatamente, non è questo il caso. Vi abbiamo solo riassunto in poche righe il famoso “Incidente del Passo Dyatlov”. Una storia vera, mai risolta, su cui sono state fatte tante ipotesi fattibili, come una valanga o il “undressing paradossale” causato dall’ipotermia, ma soprattutto vi sono state ricamate tante teorie del complotto, da alieni a esperimenti su armi non convenzionali da parte dei Sovietici. In fondo eravamo nel bel mezzo della Guerra Fredda, perché no?

Cos’è successo su quel monte, nella notte tra l’1 e il 2 Febbraio 1959? Questa è la premessa di KHOLAT, horror survival sviluppato dai polacchi IMGN.PRO. Scopriamolo insieme.

Un take diverso della formula di Slenderman

KHOLAT è un titolo molto semplice. Non è nient’altro che il sistema di gioco di Slenderman (quello originale) applicato ad un survival horror basato su una storia vera.

Invece che scoprire le origini del mostro senza lineamenti verremo messi nei panni di un narratore (in origine doppiato da Sean Bean) alla ricerca della verità sull’accaduto. Dovremo seguire i passi dei nove ragazzi e degli investigatori, braccati da un essere invisibile che lascia impronte fiammeggianti nella neve, e cercare dei documenti che cercheranno di far luce sull’incidente.

Armati solo di una torcia, una mappa e una bussola, dovremo orientarci utilizzando questi pochi mezzi a nostra disposizione facendo riferimento all’ambiente intorno a noi, per capire dove ci troviamo e dove andare. Il tutto senza HUD, senza marker sulla mappa se non delle coordinate GPS e senza possibilità di impostare dei waypoint, in una situazione quanto più realistica possibile, se non contiamo il fatto che nonostante ci troviamo su un monte al centro della catena montuosa degli Urali in Russia, non avremo problemi di freddo.

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Nel corso della nostra esplorazione troveremo fittizi diari dei giovani coinvolti nell’incidente che narreranno un resoconto inventato degli eventi e documenti ufficiali dei soccorritori giunti a cercarli, tutto scritto sia in russo che in inglese e poi narrato da attori. Ma non preoccupatevi, non vi ritroverete a giocare ad un walking simulator come The Long Dark o un “horror” dove di fatto succede poco o nulla come l’italiano The Town Of Light, ci saranno momenti più concitati con la “creatura” che ci insegue o strani luoghi fuori dallo spaziotempo dove l’adrenalina andrà su e il gioco vi terrà discretamente sulle spine.

Buon comparto tecnico, con qualche riserva

Per essere un’opera prima, si può dire che è fatto molto bene, soprattutto per quanto riguarda grafica e audio. Il comparto grafico, per quanto nella media, si difende molto bene soprattutto su PC high end mentre su quelli di fascia un po’ più bassa non rende per niente, in quanto bella pesantuccia e a impostazioni più basse non ci si gode appieno i piccoli dettagli che questo titolo offre, soprattutto i 60 FPS fissi e stabili. Bellissimi gli ambienti, molto dettagliati.

L‘audio invece, soprattutto se usufruito tramite speaker di buona qualità o ancor meglio, un buon headset 7.1, risulta essere la carta vincente di KHOLAT, soprattutto per il grado di immersività che offre. Ogni scricchiolio, ogni fischio del vento tra le montagne ed ogni sussurro spettrale vi daranno l’idea di non essere nella vostra stanzetta davanti al vostro computer, ma proprio sul monte assieme al protagonista.

kholat campo base

Abbiamo qualche perplessità sui comandi, semplicistici a dir poco e decisamente limitati, ma soprattutto sulla scelta alquanto strana di aver reso impossibile al giocatore di saltare o quanto meno di scavalcare ostacoli anche molto bassi, tipo tronchi d’albero che arrivano al ginocchio o muretti ed ostacoli naturali che arrivano al massimo all’anca del protagonista.

La storia si rivela un po’ noiosa, con un plot twist neanche particolarmente eccitante, scarna e ridotta all’osso. Partire da un evento realmente accaduto poteva essere un’ottima partenza per sviluppare una storia molto più intricata di quello che si rivela poi essere la trama di KHOLAT, riassumibile rapidamente con un “eh, carina” ma niente di più. Giunge a noia anche relativamente in fretta, soprattutto se mancate di pazienza.

KHOLAT è un titolo fatto bene ma che poteva essere fatto meglio. La durata non è eccessiva e il valore di rigiocabilità abbastanza ridotto, oltre ad una singola playthrough è difficile che si possa voler andare. Tecnicamente molto valido, KHOLAT arranca sul fattore narrativa e zoppica con dei comandi eccessivamente grossolani. Non è un brutto titolo, per niente. Se vi piacciono gli horror vi godrete un paio d’ore in tensione in mezzo alla neve, ma il potenziale per essere meglio c’era. Godibile, ma non imprescindibile.