Dreamfall Chapters – Recensione

Recensione di Gianluca “Dottor Killex” Arena

A tre anni dal lancio del primo episodio, e a circa dieci mesi dalla conclusione della storia, avvenuta con il quinto, Dreamfall Chapters giunge anche su PS4 (versione da noi recensita) e Xbox One, raggruppando in un unico pacchetto tutte le uscite episodiche che ne compongono la trama. Questa complessa ed ambiziosa storia made in Norvegia ha saputo accalappiare milioni di giocatori su PC, una piattaforma che, storicamente, dedica più attenzione alla sceneggiatura e allo sviluppo dei personaggi di quanto non accada su console, dove prodotti con scarso ritmo faticano sempre di più ad imporsi. Sarà andata così anche stavolta?

Un filo spezzato

Dreamfall Chapters è il terzo titolo di una serie iniziata addirittura nel vecchio millennio, più precisamente nel 1999, con The Longest Journey, opera prima del capace sviluppatore norvegese Ragnar Tornquist, e proseguita sette anni dopo con Dreamfall The Longest Journey: come avrete intuito, quindi, la partenza del prodotto è già ad handicap per tutti coloro che non hanno giocato nessuno dei due capitoli precedenti, come il sottoscritto. Questa scelta, che potrebbe anche avere senso per gli appassionati delle due avventure succitate, appare completamente incomprensibile tanto a livello commerciale quanto di opportunità: questo è il primo titolo della serie a sbarcare su console Sony, e dista diciotto anni dal capostipite e quasi undici dal secondo capitolo, motivi più che sufficienti per proporre una collection, che contenesse anche i due predecessori, una trama slegata o, quantomeno, un corposo recap di quanto avvenuto in precedenza. Invece, Dreamfall Chapters parte in medias res, dando per scontata la conoscenza di decine di personaggi, intrecci ed eventi che moltissimi utenti PS4 ignoreranno e che saranno impossibilitati a recuperare se non rivolgendosi a guide esterne e a recap in rete: il rammarico, peraltro, cresce di minuto in minuto, perché è evidente che il lavoro di scrittura e di caratterizzazione dei personaggi che c’è alle spalle del prodotto è di qualità. Dopo questo doveroso avvertimento per tutti i neofiti della saga, passiamo ad analizzare la situazione in cui il giocatore viene gettato al primo avvio: nel giro della prima ora il giocatore fa la conoscenza con i primi due protagonisti, ovvero Zoe Castillo, che, in seguito ai fatti del secondo capitolo, è costretta in un letto di ospedale, in coma, e Kian Alvane, un soldato Azadi che aspetta la sua esecuzione in un carcere di massima sicurezza. Zoe è dotata di poteri sovrannaturali, e può distaccare la coscienza dal suo corpo, così da venire condotta attraverso i sogni della gente, che qualcuno sta manipolando a suo vantaggio; Kian è un soldato che ha scoperto troppo tardi di stare combattendo dalla parte sbagliata, e che è pronto a pagare con la vita la sua diserzione. Nonostante in molte circostanze sia il giocatore a plasmare i comportamenti ed il modo in cui gli NPC vedranno i due protagonisti, questi hanno delle loro personalità ben definite, che si staglieranno in maniera più chiara con il prosieguo dell’avventura. Più avanti, poi, sarà introdotta una terza storyline, con una nuova protagonista, ma per amore della narrazione non sveleremo nulla di questa parte del plot: l’ambizione, i temi di natura spirituale e metafisica, la maturità di molti dei dialoghi, uniti all’assenza di qualsivoglia localizzazione italiana, richiederanno una conoscenza più che buona della lingua inglese per godere del prodotto. Cionondimeno, la sceneggiatura alla base di Dreamfall Chapters, nonostante gli enormi buchi narrativi causati dal non aver giocato i due episodi precedenti, rimane l’aspetto migliore di una produzione carente sotto molti altri punti di vista.

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Enigmatico incedere

Nonostante il passaggio alle tre dimensioni, il gameplay alla base di Dreamfall Chapters rimane, fondamentalmente, quello che ha contraddistinto i primi due capitoli della serie, ovvero quello di un’avventura punta e clicca alla vecchia maniera, in cui dialogare con i personaggi non giocanti, guardarsi attentamente intorno, rinvenire oggetti all’interno dello scenario ed utilizzarli (magari dopo averli combinati tra loro nei modi più eccentrici) per risolvere una serie di puzzle al fine di progredire. Abbiamo trovato altalenante la qualità dei rompicapo proposti: talvolta la soluzione è fin troppo evidente, sbattuta sotto gli occhi del giocatore quasi in maniera offensiva per la sua intelligenza, talaltra, invece, è necessario riflettere parecchio e tentare anche le soluzioni più improbabili per giungere a qualche risultato. Il passaggio alle tre dimensioni, peraltro, non ha lenito uno dei problemi più annosi di questa tipologia di prodotti, ovvero le fasi di eccessivo pixel hunting, in cui per progredire è necessario battere le ambientazioni palmo a palmo alla ricerca di un dato oggetto: in più di un’occasione, ci siamo bloccati solamente perché avevamo mancato un particolare interagibile dello scenario, o un oggetto di piccole dimensioni lasciato in terra. Altro elemento discutibile è dato dal fatto che la soluzione dei puzzle sia una e solo una, peraltro scandita da un rigido ordine temporale: già in una delle prime fasi dell’avventura, durante la fuga di Kian dalla torre carceraria, non è possibile interagire con un fazzoletto ed una candela che sono posti in bella vista, evidentemente utili alla risoluzione di un puzzle, se non dopo aver prima rinvenuto un altro oggetto. Solo a quel punto, con una soluzione un po’ antiquata, avvicinandosi ai due oggetti sopra citati sarà possibile interagirvi: questa rigidità mal si confà ai ritmi delle produzioni odierne, e denuncia, al di là della svecchiata grafica, l’età del prodotto ed alcuni suoi limiti concettuali. Su console, poi, a queste problematiche si aggiungono quelle relative al sistema di controllo, che, orfano dell’accoppiata mouse/tastiera, si rivela decisamente più ingessato (sebbene non ingiocabile, sia chiaro), finendo con l’appesantire le fasi di esplorazione e di risoluzione degli enigmi. Con l’eccezione di un paio di situazioni sinceramente ben congegnate, insomma, le fasi prettamente ludiche di Dreamfall Chapters svolgono più che altro il ruolo di intermezzi tra una sezione narrativa e la successiva, non aggiungendo più di tanto all’esperienza di gioco e rallentando piuttosto l’avanzamento lungo la dozzina scarsa di capitoli in cui è suddivisa l’avventura.

Ingessato

Anche a livello tecnico la creatura di Ragnar Tornquist non convince: il passaggio ad Unity 5, la versione più aggiornata del motore grafico preferito dagli sviluppatori indie, ha giovato alla modellazione poligonale ma non alla sensazione di grande legnosità restituita dalle animazioni dei personaggi, alla pochezza della conta poligonale e al caricamento leggermente ritardato di alcune texture. Nonostante scorci intriganti, soprattutto grazie ad un’art design peculiare e fortemente caratterizzante, Dreamfall Chapters sfigura nel confronto diretto con altri titoli simili già disponibili per l’ammiraglia Sony, perdendosi anche nei dettagli, che avrebbero potuto parzialmente risollevarne le sorti: il labiale è costantemente fuori sincrono, le espressioni facciali totalmente inespressive, i movimenti dei personaggi innaturali. Ci sono anche aspetti positivi, tra cui un buon doppiaggio in lingua inglese, con un discreto livello recitativo, e una serie di soluzioni stilistiche che raramente abbiamo visto in altre saghe (e videogiochiamo da trent’anni…), ma probabilmente non abbastanza da controbilanciare quelli negativi, che finiscono con il prevalere. Non che ci aspettassimo l’avanguardia visiva da un titolo finanziato tramite Kickstarter, ma crediamo che, dopo anni di sviluppo, sotto questo punto di vista si potesse fare meglio.

Commento finale

Siamo sinceramente dispiaciuti di non poter assegnare più di una meritata sufficienza a Dreamfall Chapters, perché, tra le mille problematiche del titolo, si intravedono comunque la passione e l’impegno di chi l’ha sviluppato. Cionondimeno, è impossibile soprassedere sulle carenze tecniche, sull’altalenante qualità degli enigmi proposti e, soprattutto, sulla scelta di proporre un sequel diretto a distanza di così tanti anni dal secondo capitolo, senza preoccuparsi del fatto che le ultime due generazioni di videogiocatori potrebbero non aver mai nemmeno sentito nominare gli episodi precedenti. Fateci un pensierino solamente se adorate le avventure punta e clicca vecchio stile ed intendete recuperare gli arretrati: in tutti gli altri casi, esistono prodotti similari ma qualitativamente migliori su PS4.