La Net Neutrality non vuole morire

Net Neutrality

Abbiamo scritto, il 14 Dicembre 2017, che la Net Neutrality era morta.
Non fummo i soli, ovviamente: era davvero data per morta da chiunque.
Se vi siete persi lo scandalo o l’importanza del tutto, non disperate: in Italia la Net Neutrality è ancora in vigore e potrete informarvi cliccando su questo link anche se non avete sottoscritto un qualche pacchetto speciale di servizi con il vostro provider.
Vi garantiamo che il link, infatti, si aprirà in fretta quanto qualsiasi altra pagina web sul vostro computer.

Erano bastati tre voti favorevoli contro due e la Federal Communications Commission degli Stati Uniti aveva buttato alle ortiche il lavoro di tutela che la precedente amministrazione Obama aveva fatto per mantenere la rete, più che “libera”, uno spazio il più orizzontale e democratico possibile. Accessibile, più o meno, a tutti nello stesso modo. C’erano gli inevitabili problemi di copertura, soprattutto in un territorio vasto come quello degli U.S.A. ed esistevano offerte da parte dei provider di connessioni più o meno veloci (ADSL, fibra, ecc.), ma speso il poco necessario ad avere una connessione si aveva la certezza di avere accesso all’intera rete. E, mal funzionamenti a parte, di navigare alla velocità per cui la si stava pagando.
Non sarebbe più stato così.

La libertà di chi?

La FCC aveva, di recente, addirittura anticipato l’ingresso in vigore di quello che era stato chiamato il “Restoring Internet Freedom Order“, dando una data esatta all’esecuzione della condanna che avrebbe portato alla morte della Net Neutrality, prevista per l’imminente 11 Giugno.
Non bisogna lasciarsi ingannare dal nome di tale decreto: quando politici di una determinata risma parlano di “libertà“, infatti, è bene tenere a mente che non si sta mai parlando della libertà del consumatore o del cittadino, ma sempre ed esclusivamente della “libertà del mercato“. Mai della vostra libertà, ma di quella così poco rappresentata delle bisognose ed abbandonate corporazioni multimilionarie.
Nello specifico si sta parlando, ovviamente, dei colossi della comunicazione negli U.S.A.: Verizon, AT&T e Comcast.
Esiste, dunque, chi è convinto che il libero mercato mondiale, la finanza speculativa e l’economia irreale non siano sufficientemente deregolamentate ed abbiano bisogno di qualche ulteriore aiuto per spostare con più facilità il capitale dalle mani di chi ne ha meno, a quelle di chi ne ha già in abbondanza. L’alibi dietro tali manovre è sempre lo stesso: una minor regolamentazione creerebbe una concorrenza più libera (e, verrebbe da dire, più sleale), una miglior competitività e, di conseguenza, servizi migliori che dovrebbero andare a vantaggio del consumatore. Ammesso che il consumatore, nel frattempo, sia ancora in vita e non sia morto di fame.

La psicologia comportamentale e la sociologia hanno dimostrato tempo fa come, sebbene un gruppo di individui difficilmente si batta per ottenere qualcosa di nuovo, è sempre pronto a “combattere” e far sentire la sua voce quando, qualcosa che aveva già, gli viene tolto: la perdita d’una reale libertà della rete a favore della libertà di mercato ha fatto rapidamente notizia, assumendo a tutti gli effetti le sfumature e le suggestioni d’una battaglia per i diritti. Il diritto all’informazione, alla comunicazioni, all’espressione e alla già costantemente minacciata uguaglianza.
Il caso degli U.S.A. è divenuto virale, Ajit Pai (il CEO della FCC) è divenuto un meme vivente di ipocrisia e cattivo gusto, mentre varie campagne per ripristinare la Net Neutrality sono sorte ovunque nel suolo americano.

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Uno dei tanti meme rivolti ad Ajit Pai, il CEO di FCC. Uno dei meno offensivi, tra l’altro.

Il salvataggio dell’ultimo minuto

Accadono belle cose, tuttavia, quando le brave persone decidono di giocare sporco.
Sfruttando l’assenza oramai abituale del senatore Repubblicano John McCain (assenza più che legittima, soffrendo di un tumore al cervello in fase terminale) i Democratici hanno fatto i loro conti.
Potendo contare su 47 senatori del loro partito, due senatori indipendenti ed il sostegno di Susan Collins, una senatrice Repubblicana, i Democratici hanno accarezzato la speranza di avere i numeri (50 contro 49) per poter fermare il Restoring Internet Freedom Order prima che entri in vigore.
Hanno rischiato. Ed hanno vinto.
Ma la battaglia è appena ricominciata.

La contromossa in favore della Net Neutrality, pur tardiva, ha avuto successo ed è stata votata da 52 Senatori contro 47. I due voti non previsti sono stati emessi dal senatore repubblicano John N. Kennedy della Lousiana e dalla senatrice repubblicana Lisa A. Murkowski dell’Alaska. La Lousiana e l’Alaska, infatti, sono due degli Stati degli U.S. con minore copertura di rete. L’elettorato di tali senatori, dunque, non è stato felice di sapere che averebbe dovuto pagare di più per sperare di avere servizi che si erano dimostrati poco funzionanti ed incostanti.
“Quando parliamo di un Internet libero ed aperto”, ha dichiarato il senatore democratico Edward J. Markey “ci riferiamo ad una rete libera dal controllo delle corporazioni” arrivando a definire la vittoria di oggi una vittoria della democrazia e dell’economia (quella vera, fatta dalle tasche e dagli stipendi dei cittadini).

La vittoria di oggi, tuttavia, dovrà ancora rimbalzare nella Camera dei Rappresentati ed, in ultimo, tornare negli uffici della Casa Bianca per trasformarsi in una vittoria completa. La strada è ancora lunga, ma il baratro dell’11 Giugno è stato evitato.