A tu per tu con Sir Ian Livingstone: dalla fondazione di Games Workshop al sogno di un film per Deathtrap Dungeon | Intervista al Lucca Comics & Games 2025

Ian Livingstone copertina con dietro gli universi a cui ha creato

In un’edizione di Lucca Comics & Games segnata da inevitabili sbavature e persino surreali quasi-incidenti diplomatici, c’è stato il ritorno del leggendario Sir Ian Livingstone.

Per chi non ne cogliesse il peso, non stiamo parlando solo di un ospite importante, ma di una vera e propria leggenda vivente dell’industria del gioco e dello storytelling. Livingstone è il co-fondatore di Games Workshop, l’azienda miliardaria dietro l’universo di Warhammer, e il “padre” di un’intera generazione di avventurieri cresciuti a pane e Fighting Fantasy.

Nato nel Wiltshire, Inghilterra nel 1949, Livingstone è riuscito a trasformare la sua passione in un impero. Assieme a John Peake e Steve Jackson fondarono Games Workshop nel 1975 e furono i primi ad importare le copie di Dungeons & Dragons nel regno unito fondando poi la rivista cult White Dwarf.

L’altro passo enorme della carriera di Livingstone arrivò nel 1982 con Lo Stregone della Montagna Infuocata (The Warlock of Firetop Mountain), il librogame che diede il via alla serie Fighting Fantasy, vendendo milioni di copie e definendo un genere grazie alla sua innovativa fusione di narrativa e meccaniche GdR

Non contento, negli anni ’90 Livingstone fu una figura chiave in Eidos Interactive, supervisionando il lancio di franchise colossali come Tomb Raider e Hitman, guadagnandosi nel 2022 il titolo di Cavaliere (Sir) per i suoi servigi all’industria del gioco.

Oggi è facile guardare a Games Workshop, che celebrava i suoi 50 anni proprio a Lucca con una splendida mostra, e vedere un colosso. Warhammer è ovunque, superando i confini del tavolo da gioco per atterrare nel cinema (con Henry Cavill) e nella cultura pop. Allo stesso tempo, assistiamo a un prepotente ritorno del librogame, un genere che Livingstone stesso ha contribuito a forgiare.

Cogliendo la palla al balzo, non ci siamo lasciati sfuggire l’opportunità di intervistarlo a tu per tu. La nostra chiacchierata è durata 15 minuti ed è andata ben oltre i 50 anni di GW, scavando nelle origini mitiche della compagnia e arrivando fino ai sogni ancora nel cassetto.
Perché uno storyteller come lui non smette mai di sognare.

Intervista a Ian Livingstone

Allora. Prima di tutto, benvenuto a Lucca.

Grazie. Grazie di essere qui.

Se non sbaglio, non è il tuo primo anno qui a Lucca.

No, penso sia decisamente il quarto, forse il quinto.

Ti piace Lucca Comics & Games?

La adoro, perché è una celebrazione di fumetti, giochi, narratori, arte, artisti. È l’intero significato culturale dei fumetti e dei giochi, che apprezzo molto. Voglio dire, ci sono fiere commerciali in tutti i paesi, ma questa celebra la cultura, e penso sia molto importante.

Quest’anno, Lucca Comics & Games ospita una mostra che celebra il 50° anniversario di Games Workshop. E alcuni dei tuoi oggetti e lavori sono esposti. Volevo chiederti, quando hai co-fondato Games Workshop, hai mai pensato o ti sei mai aspettato che crescesse così tanto?

Quando abbiamo avviato Games Workshop nel 1975, non ne avevamo idea. Eravamo solo tre ragazzi, amici di scuola, con lavori noiosi, che giocavano a giochi da tavolo e pensavano: “Potremmo in qualche modo creare un’attività, una piccola impresa da qualcosa che amiamo?” E ci siamo semplicemente buttati, ed è successo. Insomma, c’è stata molta fortuna, ma poi la fortuna te la crei anche da solo. Per esempio, il fatto che ci fu inviata una copia di Dungeons & Dragons da Gary Gygax, che lesse la nostra rivista, Owl and Weasel, e noi ordinammo sei copie di Dungeons & Dragons. Lui ci diede un accordo di distribuzione esclusiva di tre anni. Iniziammo a venderlo per corrispondenza, e così Games Workshop prese il via.

Sembra che oggigiorno, con una transmedialità sempre crescente, la proprietà intellettuale stia diventando sempre più importante nella creatività e nella narrazione. E quanto è cambiata la libertà creativa nel corso degli anni da quando hai iniziato a raccontare storie?

Beh, penso che gli accordi… Tu parli di proprietà intellettuale, uhm… Ovviamente c’è molta più importanza nel proteggere la proprietà intellettuale. Non dai pirati, ma da altre persone che la usano o quando non sono autorizzate a usarla senza licenza. Quindi c’è stato molto di più… Era molto più “libero” a quei tempi, quindi era più facile fare affari con artisti, con narratori e distributori. Si faceva tutto, non su una stretta di mano, ma era meno formale stringere gli accordi. Quindi rendeva la vita più facile. Meno avvocati nella tua vita.

Alcune delle scatole dei prodotti storici presenti nella mostra Forging the Myth al Lucca Comics and Games 2025
Alcuni dei prodotti presenti alla mostra

Pensi che questo abbia avuto un impatto su quanto fosse facile iniziare o raggiungere il successo all’ora’epoca?

Sì, beh, la concorrenza ora è enorme. Sai, giochi di ruolo, giochi da tavolo, librogame, videogiochi sono un’industria molto competitiva. E quando abbiamo iniziato noi, non c’era praticamente concorrenza. Quindi, potevamo fare molti errori e non essere puniti. Siamo sopravvissuti perché non c’era nessuno in competizione con noi. Ma era anche molto difficile raccogliere finanziamenti per un’industria, perché non c’era un’industria.

Quindi andavi da un direttore di banca, cosa che facemmo nei primi giorni di Workshop, e chiedevi prestiti per finanziare la nostra attività, e loro ci dicevano di andarcene. Così dovemmo vivere in un furgone per 3 mesi, uhm… affittammo una stanzetta nel retro di un’agenzia immobiliare per fare le nostre vendite per corrispondenza, ci iscrivemmo a un club di squash per poterci fare la barba e una doccia al mattino. Quindi crescemmo molto lentamente. ma se avessimo avuto investimenti da un prestito bancario o da investitori, avremmo potuto far crescere quell’azienda molto più velocemente. Ci volle molto tempo, qualche anno, per raggiungere dimensioni decenti.

Sei stato una parte fondamentale nell’evoluzione della narrazione e specialmente dei librogame nel corso degli anni. Cosa pensi della loro evoluzione, e dove pensi che evolveranno in futuro?

Beh, è fantastico vedere che c’è stata una rinascita dei librogame. Voglio dire, c’è stata una rinascita del “fisico” in generale, nei giochi. Si vede la rinascita dei giochi da tavolo, si vede la rinascita dei dischi in vinile. Sembra ci siano molte persone che vogliono qualcosa di un po’ più fisico nei loro mondi, oltre al semplice intrattenimento digitale. Uhm, si sta vedendo l’ascesa dei libri fisici, e ovviamente, di Fighting Fantasy.

Ma il formato base rimane lo stesso. È un libro in cui tu, il lettore, sei l’eroe. Ne sto scrivendo uno nuovo ora perché c’è una richiesta crescente, e i fan vogliono solo continuare ad andare all’avventura, esplorare dungeon, trovare tesori e uccidere mostri. E sono molto felice di continuare a scriverli. Ma il formato cambierà, nel senso che ci sono versioni videoludiche di Fighting Fantasy e altri librogame. Potrebbe arrivare il cinema interattivo. Quindi, sai, Fighting Fantasy è stato una specie di punto di partenza per molti sistemi di gioco a narrativa ramificata e si sta muovendo verso altri tipi di media, il che è fantastico. Ma forse l’IA lo porterà da qualche altra parte.

A questo proposito, quale pensi sarà l’impatto dell’IA sulla narrazione e sulla creatività in generale?

Beh, non penso si possa mai rimpiazzare la creatività umana. Tutto ciò che può fare è ricostruire materiale già noto. Ma migliorerà. E spero che l’industria la usi in modo positivo, come strumento. Nei videogiochi, si può fare testing, si può fare prototipazione, si possono fare grafiche di basso livello. Quindi il ruolo dell’artista potrebbe cambiare, ma i giochi sono diventati così costosi da realizzare, e abbiamo visto che c’è stata una sorta di correzione nel mercato della creazione di contenuti. Non un cambiamento tanto nella domanda. Penso che l’industria continuerà a crescere. Quindi dovrebbe essere vista in senso positivo, come uno strumento per la creatività, ma mai per sostituire la creatività.

Hai pubblicato un libro sull’arte di Fighting Fantasy e un altro sul primo decennio di Games Workshop. C’è qualcos’altro che vorresti raccontare della tua poliedrica carriera?

Uh, beh, potrei scriverne uno, ma non credo lo farò, sui primi anni dei videogiochi. Ma, sai, penso il mio cuore appartenga davvero ai primi, primissimi anni della mia carriera. Quindi, sai, gli anni ’70 con Workshop e anche gli anni ’80. E poi, ovviamente, Fighting Fantasy negli anni ’80 e ’90. È lì che ho messo molta più creatività personale. E volevo raccontare la storia delle origini di entrambi quegli aspetti. Quindi, non penso ci saranno altri libri in quanto tali. Ma scriverò un altro librogame di Fighting Fantasy perché… ho già iniziato.

C’è qualcosa che avresti voluto fare ma non ne hai mai avuto l’occasione? Magari qualcosa che era in cima alla tua lista ed era il tuo sogno da realizzare, ma non ne hai avuto la possibilità?

Sì, ho sempre voluto fare un film di Deathtrap Dungeon. Sono state scritte un paio di sceneggiature, ma non è mai successo. Penso che potrebbe venirne fuori un film fantastico. Voglio dire, ci sono state cose simili da allora, tipo… Si potrebbe dire che Hunger Games abbia lo stesso fascino, e ovviamente Stranger Things è basato sul concept e lo stile di Dungeons & Dragons.

Senza Dungeons & Dragons, non credo che Stranger Things sarebbe quello che è oggi. E poi c’è stato il film di D&D stesso, ma io vorrei farne uno di Deathtrap Dungeon, un film davvero, davvero cruento, un film gruesome. Abbastanza… sì, abbastanza scioccante. E poi specialmente quando, sai, incontri anche Throm, il tuo amico, con cui devi combattere… Penso che potrebbe venirne fuori un film bello, forte, emozionante.

Altri manuali degli storici prodotti di Games Workshop

Beh, mai dire mai.

Mai dire mai. Il sogno continua.

Guardando indietro, hai contribuito molto alla narrazione nel suo complesso. E sei soddisfatto in generale di tutto ciò che hai fatto? Cambieresti qualcosa se potessi tornare indietro?

Beh, penso che non si sia mai completamente soddisfatti di ciò che si fa. È per questo che scrivo ancora. (ride)

Capisco (ride). Hai menzionato prima che c’è una rinascita di persone che vogliono giocare ai librogame e vogliono esplorare dungeon. C’è un motivo, secondo te, per cui è proprio ora il momento in cui sta crescendo particolarmente? E perché le persone investono in giochi di ruolo, fantasy e sci-fi?

Uhm… Voglio dire, alle persone piace fuggire in mondi dove possono divertirsi insieme e vivere avventure eroiche. L’umanità ha sempre amato le fiabe, i libri fantasy e i libri di fantascienza. Quindi, i mondi dell’immaginazione sono molto potenti. E il mondo reale oggi non è un granché per molte persone. Quindi, fuggire in questi mondi fantastici è una vera liberazione, penso, per molti di noi. E farlo con i propri amici, vivere queste avventure eroiche, è molto divertente.

Nemmeno quei mondi sono esattamente un granché.

No, ma puoi essere un eroe in quei mondi.

C’è qualcosa… Forse, il tuo, diciamo, “figlio preferito”? La tua creazione preferita, qualcosa di cui, nonostante quello che hai detto prima (sul non essere mai soddisfatto) dici: “Beh, di questo particolare figlio, sono particolarmente soddisfatto”?

Beh, io… ho quattro figli. Quindi non puoi avere un preferito assoluto. O meglio, almeno, non lo ammetteresti, comunque. (ride) Quindi, sai, penso che Fighting Fantasy sia stato qualcosa di cui eravamo molto orgogliosi. Ma qual è il tuo libro preferito? Beh, per la stessa ragione, non puoi avere un preferito. Potrei sicuramente dartene quattro, come i quattro figli.

Si potrebbe dire The Warlock of Firetop Mountain perché è stato il primo che abbiamo scritto con Steve Jackson. È stato un momento di grande orgoglio quando abbiamo visto per la prima volta un libro in libreria, e non avevamo idea che sarebbe diventato un successo globale, cosa che è successa. E poi Deathtrap Dungeon, City of Thieves e Forest of Doom. Sono i miei quattro preferiti, e hanno resistito alla prova del tempo, sono ancora in stampa oggi, e ne sono molto orgoglioso.

E, naturalmente, sai, Games Workshop nel suo complesso, ciò che è diventata ora… Non siamo più associati all’azienda, ma chi l’avrebbe mai detto? Voglio dire, chi avrebbe mai pensato che sarebbe diventata quello che è? Un’azienda quotata alla Borsa di Londra che vale, sai, quasi 5 miliardi di sterline.

Quale pensi sia stato il segreto dietro a tutto questo? Dietro quel successo, quella mole di successo?

Penso che fossimo fedeli a noi stessi. Volevamo fare giochi a cui noi volevamo giocare, piuttosto che pensare: “Ora, a cosa vorrebbe giocare quella persona? Faremo qualcosa per lei”. Se piace a te, e si dà il caso che ad altre persone piaccia quello che piace a te, questa è una ricetta per il successo. Non stai cercando di indovinare cosa potrebbe piacere a qualcun altro. Perché è molto… Stavamo solo facendo… È auto-indulgente. Erano giochi per noi.

Immagino ci fosse una componente di divertimento nella creazione stessa dei giochi.

Amavamo quello che facevamo.

Ti farò un’altra domanda difficile sul “figlio preferito”, ovvero: se dovessi scegliere un solo medium narrativo, che siano librogame o videogiochi o giochi di ruolo da tavolo, quale sceglieresti?

Beh, come giocatore, penso sarebbero i giochi di ruolo. Come creatore (sospira) probabilmente i librogame Fighting Fantasy perché sono stati una cosa così personale per me per oltre 40 anni. Mi è piaciuto fare videogiochi, ma lì sei parte di una squadra. Un librogame Fighting Fantasy, è molto più personale. Stai lavorando, stai scrivendo tutto da solo, e poi lavori con un artista che immagina il mondo che stai creando, e poi lo mostra al lettore.

Ian Livingstone and Steve Jackson alla fondazione di Games Workshop
Ian Livingstone e Steve Jackson

Se dovessi, um, dare un singolo consiglio a chiunque là fuori voglia intraprendere una carriera simile nella narrazione, forse, e voglia fare della narrazione un mestiere, cosa gli diresti?

Devi essere fedele a te stesso. Quando le persone mi hanno chiesto di pubblicare uno dei loro giochi o un loro libro, a volte lo paragonano, “Oh, è un po’ come Tomb Raider ma con questo”. E io penso… dico a loro: “Riesci a descrivere qualcosa che hai nel cuore, piuttosto che re-immaginare il lavoro di qualcun altro?” E se quella prima cosa che fanno fallisce, non importa. Hai imparato qualcosa di importante, il perché ha fallito, e poi ricominci e vai avanti. Ma cerca solo di essere di nuovo fedele a te stesso. Trova il tuo pubblico, come abbiamo fatto noi. E buttati.

Voglio dire, e che pubblico! Continua a crescere.

Non ne avevamo idea. Non sapevamo di avere un pubblico finché, tipo, tre anni dopo aver avviato Workshop. Finché non abbiamo aperto il nostro primo negozio al dettaglio nel 1978 e abbiamo visto quella coda enorme di persone fuori. E allora siamo diventati… allora siamo diventati “credenti“.

E come descriveresti quel momento? Sai, quando leggo le storie di come tutto ciò che è grande oggi è nato, leggo sempre di questo momento molto specifico in cui le persone hanno capito: “Oh Dio… ce l’abbiamo fatta”.

Sì, è quel 1° aprile 1978. Andai al negozio, e c’era già una coda di persone ore prima dell’apertura.

Qual è stata la prima cosa che hai pensato in quel momento quando hai visto la coda?

Ero solo sollevato e felice in egual misura. Voglio dire, se non ci fosse stato nessuno, avremmo pensato: “Oh mio Dio, e ora cosa facciamo?”. Ci ha dato fiducia. Prima di allora, facevamo tutto per corrispondenza… e poi all’improvviso vedi le persone e…

È diventato improvvisamente reale.

Sì. Sì.

Per concludere, qual è la tua cosa preferita della narrazione? Cioè, perché… perché la narrazione?

Beh, io… amo leggere. Amo ascoltare storie. E so che altre persone… Tutti amano ascoltare una bella storia. E se puoi dare gioia a qualcuno attraverso la narrazione, è molto, molto gratificante e ti fa sentire umile. È connettersi con le persone, che è una cosa umana fondamentale.

Grazie per il tuo tempo.

Piacere mio.