Lavorare alle musiche dei videogiochi: Sakimoto e Richter ci spiegano Basiscape | Doppia intervista a Tokyo

Hitoshi Sakimoto e Richter negli studi di Basiscape a Tokyo
Lavorare alle musiche dei videogiochi: Sakimoto e Richter ci spiegano Basiscape | Doppia intervista a Tokyo (Player.it)

Nel mio pellegrinaggio in Giappone, oltre ad aver avuto modo di infiltrarmi al Tokyo Game Show 2025 sono stato ospite nello studio di Hitoshi Sakimoto per una piacevole chiacchierata con lui e Richter, due compositori di colonne sonore dei videogiochi al lavoro da Basiscape, azienda musicale concepita proprio da Sakimoto-san diversi anni fa.

Avevamo intervistato già entrambi proprio a Tokyo, l’anno scorso, ma stavolta, a poche settimane dalla Milan Games Week dove saranno presenti, abbiamo avuto l’opportunità – e il piacere – di scoprire qualcosa in più sul ruolo e la nascita di Basiscape, e su come funzioni il lavoro dietro un’azienda simile. Hitoshi Sakimoto è il fondatore di Basiscape, mentre Richter è l’ultimo talento arrivato al suo cospetto: entrambi con la propria individualità ci hanno offerto prospettive diverse e complementari sul loro mondo lavorativo e sul loro modus operandi.

Ci teniamo a ringraziare per questa intervista Hitoshi Sakimoto per l’ospitalità, la disponibilità e le successive chiacchiere in un izakaya (un tipo di pub giapponese) tra spiedini e birra, Richter per quella che ormai è diventata una grata amicizia, per l’opportunità di intervista e per gli ottimi consigli su dove soggiornare a Tokyo e altre dritte, l’assistente Takako Nakata per la mediazione e la continua gentilezza espressa nelle mail, e infine Alice Massa, traduttrice italiana che vive e lavora in Giappone per Panini e Mondadori, la quale ci ha aiutato in questa intervista come interprete.

Targa di Basiscape fuori dagli uffici dell'azienda a Tokyo

La doppia intervista a Sakimoto e Richter

Sakimoto-san, Richter, che bello vedervi insieme, potreste fare quasi un duetto al volo, no? Scherzi a parte, vi è mai capitato di suonare assieme?

S: Purtroppo no, non sono solito fare performance dal vivo con strumenti, mi dispiace!

Peccato! Meglio partire con questa intervista dalle basi. Sakimoto-san, che cos’è esattamente Basiscape? E che origine ha il suo nome?

S: Basiscape è un’azienda che si occupa di tutti gli aspetti sonori legati al mondo dell’intrattenimento: dalla musica agli effetti audio, fino ai doppiaggi; insomma, tutto ciò che riguardi il suono nei prodotti di intrattenimento. Il nome invece deriva dal mio cognome: Sakimoto si scrive con due kanji: Saki (崎), che significa promontorio, e Moto (元) che significa base. Li ho invertiti e il risultato suonava bene in inglese: Basiscape.

Quando ha creato Basiscape, quali erano le sue aspettative? Si sarebbe mai immaginato una crescita simile della sua azienda e in generale del mercato dei videogiochi?

S: Quando ho fondato Basiscape avevo poco più di trent’anni. Avevo lavorato come freelance per una decina di anni, poi per un paio di anni in Square Enix, e infine ero tornato di nuovo a lavorare da indipendente.

In quel periodo il mercato dei videogiochi stava crescendo davvero molto, e mi rendevo conto che continuare a lavorare da freelance, insieme ad altri freelance ma senza una vera coordinazione o una visione comune, rischiava di farci restare indietro rispetto all’evoluzione dell’industria. È proprio per questo che ho deciso di fondare Basiscape.

Wow! Non solo un creativo, ma anche una mente imprenditoriale lungimirante. In Occidente è strano trovare intere aziende che si occupano di colonne sonore dei videogiochi, è molto più comune trovare compositori freelance esterni oppure team interni alle software house e ai publisher. Ci può spiegare a grandi linee come funziona un’azienda come Basiscape?

S: Beh… Basiscape non si occupa solo di videogiochi, ma di tutto ciò che riguarda il mondo dell’intrattenimento. In questo senso, non credo sia un’azienda così rara. All’interno però ci sono io – che sono un game otaku [un fanatico dei videogiochi, NDR] – e avendo già lavorato a molti titoli, è stato naturale che Basiscape continui ancora oggi a occuparsi anche e soprattutto di videogiochi.

Anche in Giappone molte aziende del settore hanno team interni dedicati alla parte sonora. In realtà, noi collaboriamo spesso anche con loro, oltre che con gli altri studi. Lavorare in Basiscape, da questo punto di vista, non è poi così diverso dal far parte di in un team interno a una software house: certo, ci sono delle differenze, ma in fondo il lavoro è più o meno lo stesso.

Richter, tu hai avuto una vita precedente da DJ in giro per il mondo, e sappiamo già dall’intervista scorsa che non era una vita che ti piacesse troppo. Qual è la differenza più grande tra la tua precedente carriera e il tuo attuale lavoro per Basiscape?

R: In realtà ci sono molte differenze, e tutte ottime, grazie al cielo!

La prima è che lavoro con persone – i miei colleghi di Basiscape – molto competenti e talentuose, che sanno quello che fanno. Lavorare con loro mi ha permesso di crescere moltissimo… e anche se non sembra, questa è una differenza enorme. Nel business della musica elettronica, certo, c’erano persone competenti, ma erano soprattutto master engineer, tecnici concentrati sul lato sonoro delle tracce e non veri compositori o artisti. Quindi ero uno dei pochi a saperne qualcosa di composizione musicale…

La seconda differenza, che mi fa sentire non solo felice ma anche rilassato, è l’organizzazione. Qui da Basiscape ognuno sa cosa fare e quando bisogna farlo. Non ci sono mai ritardi o problemi simili. Nella dance music, invece, succedevano situazioni assurde: boss che il lunedì non si presentavano alle videocall perché erano ubriachi dai festini del weekend, o collaboratori che dimenticavano di pagare… e questo accadeva spesso, perché il business della musica elettronica stava scricchiolando, e perfino le grandi etichette facevano fatica a pagare. Qui invece tutti sanno cosa fare e lo fanno nella maniera corretta.

La terza differenza, forse quella più importante, è che questo è il lavoro dei miei sogni. Sono sempre stato un game otaku fin da bambino e ho sempre voluto fare questo lavoro. La musica elettronica è stata un’esperienza iniziata quasi per scherzo, come vi avevo raccontato l’anno scorso, ma non era davvero ciò che ambivo a fare nella vita.

E quali sono invece le differenze maggiori, materialmente, tra comporre musica per videogiocatori e musica per ascoltatori tradizionali?

R: Uhm, quando compongo musica per i videogiochi cerco sempre di mettermi nella mente dei giocatori. Sicuramente è una cosa che facevo anche prima, quando componevo musica elettronica, ma nei videogiochi il punto è che ci sono più sensi coinvolti: non solo l’udito ma anche la vista e il tatto. È un medium molto più immersivo in termini di intrattenimento. Per questo cerco sempre di tenerne conto: quello che il giocatore sta vivendo deve avere senso per i suoi occhi, le orecchie, il cervello e anche le mani, quindi è importante dargli anche del ritmo.

Naturalmente dipende dal tipo di composizione, che sia musica per le battaglie o per la world map… Ma per me comporre per i videogiochi è un’esperienza molto più immersiva perché gli altri media non coinvolgono così tanti sensi. La musica elettronica, per esempio, stimola soprattutto il cervello e il ritmo nelle gambe, i film coinvolgono gli occhi e le orecchie ma non le tue mani…

Sappiamo che di recente c’è stato a Tokyo un gran concerto orchestrale dedicato a Unicorn Overlord. Spero lo portiate anche in Italia prima o poi, ma la domanda che vorrei farti, Richter, è la seguente: quanto è emozionante avere un’intera orchestra suonare tue composizioni? Intendo… dalla tua precedente carriera sai già cosa significa suonare per un pubblico, ma come ci si sente invece ad avere un’intera orchestra suonare per te, circondato dal tuo pubblico?

R: Oddio, sarei il primo a essere felice se riuscissero a portare l’intera Tokyo Chamber Orchestra in Italia…


Ahahah! Beh, abbiamo orchestre anche in Italia che potrebbero imparare…

R: Ma credimi, la Tokyo Chamber Orchestra è davvero, davvero brava!
Rispondendo alla tua domanda, direi che in questo caso ci si senta… completi. Sentire un’intera orchestra che suona la tua musica è qualcosa di totalmente diverso rispetto ad ascoltarla da speaker o apparecchi elettronici. Riesci a cogliere sfumature e dettagli che altrimenti andrebbero persi. E poi, vedere tutte quelle persone attorno a te che condividono quella musica, quel momento, è semplicemente fantastico!

Soprattutto qui in Giappone, poi, dove il pubblico è già molto abituato a questo tipo di concerti: per loro sono una vera tradizione, li facevano già molto prima che diventassero comuni in Europa. Hanno aspettative e standard precisi nella mente.

E poi, a livello personale,, è stato bellissimo anche perché ho conosciuto tante persone al concerto che mi hanno fatto dei regali! È qualcosa che, sinceramente, non ho mai visto accadere in Europa. C’era una cosplayer che mi ha regalato le sue foto nei panni dei personaggi di Unicorn Overlord, un ragazzo che mi ha portato un pupazzo fatto da lui, altri ancora mi hanno portato caramelle… Sono stati davvero gentili.

S: Vorrei aggiungere che stiamo cercando di organizzare più concerti, sia qui in Giappone che all’estero. Stiamo lavorando proprio ora a dei progetti che, speriamo, daranno a tutti i nostri ascoltatori la possibilità di rivederci presto.

E lei, Sakimoto-san, come si è sentito la prima volta che ha realizzato che milioni di persone la ascoltano? E soprattutto le capita ancora di emozionarsi a questa consapevolezza?

S: Per tanti anni ho lavorato chiuso in uno scantinato come questo studio a comporre e non avevo mai avuto l’occasione di vedere o incontrare le persone che, in teoria, sapevo ascoltassero la mia musica ma… ecco, non ne avevo una percezione diretta.

La prima volta che ho potuto ascoltare un con le mie composizioni eseguite da musicisti talentuosi, mi sono reso conto che là fuori c’erano persone reali che mi ascoltavano, che apprezzavano la mia musica, che andavano apposta a un concerto per sentirla… non la ascoltavano solo durante le loro sessioni di gioco. È stata una sensazione bellissima che mi ha spinto a voler continuare a lavorare con ancora più impegno.

Da quando ho avuto questa epifania, ogni volta che compongo lo faccio pensando a loro. Prima era qualcosa che facevo più per me stesso, ma ora, dopo aver visto le espressioni delle persone che mi ascoltano, compongo con quei volti e quelle emozioni nella mente.

[NDR: il prossimo concerto di Hitoshi Sakimoto in Europa si terrà a Londra il 13 giugno 2026, in occasione del Game Music Festival]

Richter è uno degli ultimi arrivati da Basiscape e ci ha già raccontato di come sia venuto in contatto con lei, Sakimoto-san… ma non sappiamo la sua versione della storia! Lei si è trovato una mail di uno sconosciuto di nome Richter nella casella di posta e poi… che è successo? Era già alla ricerca di un nuovo talento per Basiscape, o l’ha colpita qualcosa in particolare?

S: Ricordo che ci eravamo messi in contatto tramite una conoscenza comune per parlare del mastering di un brano. Poi abbiamo iniziato a scriverci direttamente, e a un certo punto Richter mi ha detto che gli sarebbe piaciuto lavorare con me. Io ero interessato, perché la sua carriera musicale mi era sembrata davvero particolare e interessante; allo stesso tempo, però, ero un po’ preoccupato: abbandonare una carriera già avviata e promettente per dedicarsi a qualcosa di completamente di diverso e di nuovo non è una decisione semplice.

Insomma, c’è un bel passaggio di talenti in questa azienda; Già solo consultando il sito figurano i nomi di Kaneda, Takeda, Fontanarosa, Kaneko… ma come si fa a raccogliere così tanti artisti sotto la bandiera di Basiscape? Intendo al di là di vincoli contrattuali ed economici!

S: Nella musica ci sono due aspetti fondamentali da tenere a mente: la tecnica e la creatività individuale. La tecnica si può imparare a scuola o, detta in un modo un po’ crudo, anche semplicemente imitando gli altri: prima o poi la si acquisisce. La creatività, invece, è qualcosa che cambia da persona a persona; e proprio come la tecnica, va allenata e coltivata.

Io cerco soprattutto persone che, anche se magari non hanno una tecnica sopraffina, possiedano un tratto distintivo, un carattere, una personalità musicale che abbiano saputo sviluppare. Cerco questo tipo di artisti e poi… li “seduco“, finché non capitolano! *ride*

Probabilmente sono proprio quelli che la pensano come me, e cioè che la creatività personale conti più della tecnica, ad accettare di collaborare. Forse è questa filosofia, più di tutto, ad attirare persone talentuose verso Basiscape.

Richter, dalle nostre parti i giapponesi sono sempre dipinti come stacanovisti a scapito anche della loro salute, ma quando ogni tanto mi parli delle tue vicende nella scena musicale videoludica qui in Giappone, me le descrivi sempre come un ambiente gioviale, una rimpatriata tra amici nonostante le rivalità commerciali. Quindi… ti chiedo, qual è la vera cultura del lavoro in questo ambiente?
R: Stacanovista è proprio una parola orribile per me, perché gli stacanovisti lavorano solo perché devono farlo, senza provarne piacere. È qualcosa che, forse, si adatta più a un ambiente come Milano!

Le persone che ho incontrato qui nell’industria dei videogiochi – e non parlo solo dei miei colleghi di Basiscape ma anche di tanti altri amici – lavorano tutte sodo, ma amano davvero ciò che fanno. Anche quando usciamo a bere o a divertirci, finiamo sempre per parlare del lavoro perché ci piace farlo! Come diceva Confucio: “Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita.” è verissimo! È proprio come mi sento.

Certo, qui si lavora duro e tutti sono molto precisi, ma non ho mai avuto l’impressione che qualcuno si sentisse costretto a farlo. Lavorare da Basiscape, per questa ragione, mi fa davvero stare bene. La grande differenza con l’Europa e con l’America, è che lì mi è capitato spesso di incontrare persone del settore videoludico e pensare: “Ma perché questo tizio fa un lavoro che non gli piace?“. Qui in Giappone, invece, non ho mai avuto quella sensazione.

Com’è, quindi, lavorare con colleghi così creativi e talentuosi? L’avevi già accennato un po’ nella passata intervista, ma mi piacerebbe sapere quanto l’influenza reciproca tra voi possa stimolare la creatività

R: Ci influenziamo tantissimo a vicenda ed è qualcosa di meraviglioso, perché ogni volta ho la sensazione di imparare qualcosa di nuovo. I nostri background sono davvero molto diversi: nel mio caso, come sapete, provengo da una formazione classica, ho studiato composizione e pianoforte; invece Sakimoto-san e anche Kaneda-san, ad esempio, hanno un approccio molto più tecnico. Vedere come affrontano la composizione da prospettive così diverse dalla mia è estremamente stimolante, perché riescono a farmi scoprire lati della musica che non avrei mai potuto notare da solo prima.

Io ragiono ancora con la mente di un musicista classico, con radici profondamente diverse dagli altri, e proprio per questo il confronto con loro mi sta facendo crescere tantissimo come artista. Sto imparando ad ascoltare la musica in modi nuovi. È un’esperienza che da solo non avrei mai potuto vivere, e mi sta arricchendo sotto ogni punto di vista.

In fondo, come dico spesso, non si smette mai di imparare nella musica: finché vivrai, continuerai a imparare. Lavorare e confrontarmi con queste persone dal percorso così diverso dal mio, ma uniti dalla stessa passione e dagli stessi obiettivi, è un modo meraviglioso per crescere. Ne sono davvero grato.

Come funziona l’ideazione di un brano? Immagino sia diverso per ciascuno di voi: partite da un motivetto in mente, dalle direttive del cliente… o magari vi fanno visionare del materiale di gioco da cui trarre ispirazione?

S: Prima di tutto i clienti ci forniscono alcune indicazioni che possono essere generiche tipo “ho bisogno di una musica triste,” oppure molto specifiche come “questo è un gioco alla giapponese ma non vogliamo che vengano usati strumenti tradizionali giapponesi“. Una volta ricevute queste linee guida, ne discutiamo internamente per capire in che direzione muoverci. Dopo aver stabilito l’obiettivo, cominciamo a confrontarci su come arrivarci concretamente… e da lì parte il processo di composizione.

Personalmente quando devo pensare a una melodia, ripercorro le conversazioni con il cliente o con il direttore artistico del gioco, o magari la sceneggiatura che mi hanno fatto leggere. Poi mi metto davanti alla tastiera e… aspetto. Le note arriveranno da sole.

R: Nel mio caso è un po’ diverso. Io, sinceramente, non cerco mai l’ispirazione: è lei che trova me, nei momenti più impensati, magari anche mentre sono in metropolitana. Per questo porto sempre con me della carta pentagrammata: quando un’idea arriva, la devo subito trascrivere. A volte la gente mi vede scribacchiare come un matto e sicuramente si chiederà: “chissà che combina quel tizio strambo!”

Quindi non è che segua particolari rituali per comporre. Certo, durante le riunioni ascolto con attenzione le direttive del cliente, ma quando si tratta di creare, lascio semplicemente che la musica fluisca e mi trovi; ormai lo fa anche facilmente, è un processo naturale. Se invece provo a forzare l’ispirazione sedendomi al pianoforte, non arriva niente. Devo solo aspettare… prima o poi arriva.

Vi capita mai di lavorare a più progetti contemporaneamente? E in questi casi come funziona senza rischiare di impazzire?

R: Certo che capita! E, almeno per me, è molto stimolante. Lavorare su più progetti allo stesso tempo mi permette di far circolare le idee: magari qualcosa che non funziona per un gioco trova la sua forma perfetta in un altro.. È come avere uno scambio continuo di ispirazioni dentro la testa, ed è davvero arricchente. Succede spesso a dir la verità, e ogni volta è una bella esperienza.

Anche perché i direttori musicali non sono sempre gli stessi: magari per un progetto può esserci Sakimoto-san, per un altro Kaneda-san, e questo ti costringe a cambiare prospettiva, ad adattarti, a pensare veloce. È un buon modo per crescere e migliorarsi.

S: Sì, i progetti si sovrappongono sempre. Nel mondo dei videogiochi lo sviluppo può durare tanti anni, quindi se avessimo un solo progetto alla volta… mi preoccuperei per la salute dell’azienda e della mia! È normale che alcuni lavori vadano avanti mentre altri restino momentaneamente in pausa, o vengano sospesi e poi ripresi. È un flusso continuo, e ormai è l’unico modo di lavorare che conosco.

So che ogni compositore ha le sue preferenze di DAW [Digital Audio Workstation, i software utilizzati per la composizione musicale, NDR], funziona così anche in Basiscape o vi uniformate tutti allo stesso software?

R: No, usiamo tutti software diversi! Ognuno ha le proprie abitudini e preferenze. Io e Kaneda, per esempio, lavoriamo con Studio One, mentre Sakimoto-san usa Cubase, Takeda preferisce Logic

E tu usavi Studio One anche nella tua precedente carriera musicale?

R: In realtà no. All’inizio ho usato Cubase e Logic, poi per un periodo sono passato a Nuendo, e solo dopo ho trovato in Studio One il mio equilibrio.

E per quel che riguarda controller MIDI e strumentazione musicale che usate per comporre? Avrete preferenze diverse anche in questo caso, immagino

S: *si gira indietro guardando l’immensa tastiera musicale che straborda dalla scrivania della sua postazione di lavoro*
Mi basta una tastiera. Se ho una tastiera, so cosa fare. Inoltre è facile da sistemare sulla scrivania perché ha tutto lo spazio di cui ho bisogno.

R: Nel mio caso… Ho avuto due fasi nella mia carriera. Quando ero adolescente e suonavo musica classica, avevo anche una band e mi circondavo di tastiere. Ma quando ho iniziato a produrre musica, ho iniziato a odiare i cavi. Li detesto ancora oggi. Non voglio vederne nemmeno uno nella mia stanza, mi mandano nel panico! Adesso nel mio studio ho un pianoforte a coda, ma per la produzione vera e propria mi bastano una tastiera MIDI come quella di Sakimoto-san, un computer e tutti i miei VST [Virtual Studio Technology, plugin audio che aggiunge funzionalità e sonorità ai DAW, NDR]. Basta cavi!

Sakimoto-san, la musica dei videogiochi si è evoluta col tempo di pari passo con la tecnologia, e lei nella sua carriera ne avrà già viste tante di queste evoluzioni. Quindi, volevo sapere, dall’alto della sua esperienza, che cosa si aspetta dal futuro della musica dei videogiochi?

S: Quando il mercato dei videogiochi ha iniziato a svilupparsi negli anni ’80, le cose possibilità musicali erano molto limitate. Oggi le opzioni sono certamente aumentate, ma l’obiettivo finale della musica e degli effetti sonori nei videogiochi è rimasto lo stesso: suscitare emozioni nel giocatore. Questo è sempre stato lo scopo, sia quando i suoni disponibili erano pochi, sia oggi, con infinite possibilità a disposizione. Cambieranno i modi in cui possiamo comporre musica per i videogiochi, ma mai l’obiettivo finale.

Cosa ne pensa, quindi, dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa in campo musicale?

S: Con questo tipo di tecnologia adesso si può arrivare a creare musiche di un livello più o meno standard, fino a qui: *fa segno con una mano alzata fino al ginocchio*

Quello che garantisce l’intelligenza artificiale generativa è economicità e buona qualità. Tutti quelli che finora lavoravano a questo livello rischiano di perdere il lavoro, e questa è una cosa che, purtroppo, dobbiamo accettare. Ma tutto ciò che va oltre questo livello – ciò che fa il compositore, che non scrive solo note ma mette dentro la sua individualità creativa – crea qualcosa di originale, di unico. Questo non è cambiato e non credo cambierà nemmeno in futuro.

Anche se un giorno l’IA generativa riuscisse a raggiungere un livello qualitativo che oggi non riesco nemmeno a immaginare, allora quel giorno dovremo trovare il modo di superarla. Se arrivasse a un livello insuperabile per noi e per le nostre capacità, allora bisognerebbe capire come usarla a nostro vantaggio. L’importante è non perdere mai di vista l’obiettivo finale del nostro lavoro: stimolare le emozioni dei giocatori.

Richter, so che sei un po’ “darkettone”, vai a feste goth, ascolti tanto post-punk e new wave e la tua band preferita sono i The Cure…

R: Non più…

Ma come? Giusto allo scorso Napoli Comicon mi avevi detto che i The Cure erano la tua band preferita!

R: *ride* È che non ho propriamente una band preferita! Dipende un po’ dal periodo!

Ah ecco, ha senso! Comunque, la domanda che volevo farti era, quanto le tue abitudini musicali di ascolto influenzano la tua composizione? Consapevolmente e/o inconsapevolmente

R: Non saprei, sai… Credo che ogni compositore sia influenzato, almeno in parte, da ciò che ascolta. Come artisti assorbiamo sempre un po’ di quello che ci passa per le orecchie, ma è qualcosa di inconscio, di involontario.

Nel mio ci sono generi e musiche che mi piacciono più di altri, ma cerco sempre di pensare con la mia testa quando compongo. Poi non so se ciò che ascolto influenzi inconsciamente ciò che scrivo… è possibile. Perfino Mozart e Beethoven sono stati influenzati nella loro carriera, figurati io! Ma credo sia qualcosa di inconscio e mai chiaro.

Tra l’altro, all’inizio della mia precedente carriera, ho sempre cercato di sviluppare un linguaggio musicale personale. Quando facevo musica elettronica, le etichette volevano solo pezzi ritmici da ballare, mentre io cercavo di costruire melodie più complesse. All’inizio litigavamo spesso, perché non erano abituati a questo approccio… Ma poi, per fortuna, hanno cominciato ad accettarlo. Questo per dire che ho sempre cercato la mia strada personale, pur sapendo di essere inevitabilmente influenzato da ciò che ascolto, anche se in modo inconscio.

È lo stesso anche per lei, Sakimoto-san?

S: Sicuramente ciò che ascolto mi influenza, ma soprattutto la musica che mi piaceva da bambino penso sia diventata un po’ come le mie radici. Allo stesso tempo ascolto moltissimi generi diversi, quindi non sento di appartenere a una corrente precisa: cerco di non avere indicazioni rigide nella usica che compongo.

Quando avevo circa 20 anni ho lavorato con Kōichi Sugiyama [compositore delle colonne sonore di Dragon Quest, NDR]. Dovevo ricopiare le sue melodie su dei supporti ma, quando cercavo di comporre qualcosa di mio, uscivano fuori solo brutte versioni dei brani di Sugiyama-san, perché ovviamente non ero Sugiyama.san e i risultati erano inevitabilmente scarsi. In quei momenti ho capito che mi stavo concentrando troppo su una singola cosa, quando invece dovevo un po’ spaziare ed esplorare altri generi.

Ma visto che dite di essere game otaku, riuscite ancora oggi a giocare a qualcosa quando avete tempo?

S: Gioco a giochi mobile tutti i giorni… almeno il login riesco a farlo!

Assurdo! Ma quindi… adesso a cosa sta giocando?

S: Black Desert su mobile. Ah, e poi due settimane fa io e la mia famiglia abbiamo preso il PSVR2 con l’esperienza VR di Horizon e un altro gioco di cui non ricordo il titolo, dove si usa una spada, molto molto divertente. Purtroppo, però, dopo circa un’ora mi viene la nausea e devo smettere.

E tu, Richter?

R: Cerco sempre di ritagliarmi un po’ di tempo per giocare perché sono un game otaku e mi rilassa, mi rende felice. Ho anche una bella collezione, compro spesso le collector’s edition e mi piace collezionare giochi. Nel frattempo ho appena finito Donkey Kong Bananza l’ho adorato. Fantastico, davvero. Ho comprato una Switch 2, ovviamente, e sto giocando anche il nuovo Mario Kart – devo dire che la colonna sonora è incredibile, davvero bella!

Siamo a pochi giorni dal Tokyo Game Show 2025, che è qui di casa, e a poche settimane dalla Milan Games Week 2025 dove sarete ospiti. Potreste anticiparci un po’ cosa avrete in programma…?

S: Per il TGS non ho nulla di specifico in programma, per la MGW invece… preferirei non dare anticipazioni, così da non rovinare eventuali sorprese ai visitatori. In generale, però, sono molto contento di tornare in Italia perché è un paese che mi piace, si mangia bene e le persone sono sempre disponibili e di buon carattere! E poi le città sono veramente belle.

R: Al TGS incontrerò amici e girerò un po’ con loro. Non vedo l’ora di essere alla MGW, soprattutto per Sakimoto-san che ha avuto poche opportunità di esplorare Milano l’ultima volta che è stato in Italia. Lo porterò un po’ in giro!

Ultimissima domanda per entrambi: cosa consigliereste a giovani che vogliano seguire la vostra stessa carriera?

S: Se qualcuno volesse comporre musica, il mio consiglio è di comporre il più possibile. Ho un amico che, per esempio, quando era giovane aveva deciso di comporre un brano al giorno. Mi sembra un’ottima idea: ogni brano è un’opportunità per capire cosa funziona e cosa no, e di imparare per il giorno successivo. In sostanza, comporre il più possibile è il modo migliore per crescere.

R: Concordo pienamente con Sakimoto-san, ma aggiungerei due punti. Il primo è di studiare e continuare a studiare. In particolare, consiglio di approfondire l’orchestrazione moderna, non solo quella classica. Molti si concentrano troppo sull’arte classica che, sì, va studiata perché sono le nostre radici ed è importante conoscerle, ma è altrettanto fondamentale capire come pensano e orchestrano i compositori moderni. Non per copiare e imitare, ma per imparare tecniche e approcci più aggiornati.

Il secondo consiglio è mantenere la mente aperta e ascoltare ogni tipo di musica senza pregiudizi. Io per esempio non sono un grande fan dell’hip-hop o dell’R&B, eppure riesco a trovare brani che adoro. È fondamentale non chiudersi dicendo “questo genere non fa per me” perché non sai mai da dove puoi imparare qualcosa di nuovo. C’è sempre qualcosa da imparare in ogni tipo di musica.

Arigatou gozaimasu! [“Grazie mille” in giapponese, NDR] Abbiamo finito!

S: Perfetto! Andiamo a bere?

Dobbiamo!