Intervista a Matteo Bassini, artista di Ori e Magic: The Gathering | Giffoni Good Games 2023

Tra i tanti ospiti presenti al Giffoni Good Games 2023 (report qui), già in fase di preparazione della nostra visita in fiera ero rimasto incuriosito dalla presenza di Matteo Bassini, talento italiano che si occupa di concept art, environment art e modellazione 3D. Classe ’88, toscano, Matteo Bassini vanta un’esperienza ormai decennale che attraversa il continente europeo, asiatico e americano. La sua esperienza ha donato a noi opere come Ori and the Will of the Wisps, oltre a Godfall e una pletora di carte di Magic: The Gathering che continueranno a saltare fuori anche nei prossimi anni.

Sono riuscito a ottenere una chiacchierata molto amichevole con Matteo Bassini, proprio subito dopo un intenso panel di due ore sulla relazione tra arte e game design, condotto da Francesco Fossetti e Marco Mottura di RoundTwo, con la partecipazione anche di Matteo Corradini in veste di narrative designer. Prima di arrivare alla corposa intervista, preme raccontare parte delle discussioni avute durante questo panel per inquadrare meglio la personalità di Matteo, il suo percorso professionale e in generale per apprezzare pillole provenienti da una personalità del settore molto interessante.

E a proposito di questo, Matteo Bassini sarà anche ospite in una nostra serata da Colpo Critico su Twitch, lunedì 10 luglio alle 21! Non mancate, si parlerà di Ultima Online, World of Warcraft e del declino dei MMORPG assieme a Riccardo Galdieri, ex GM di un server di Ultima, e Diego Del Buono, creator di World of Warcraft.

Arte e Game Design tra Occidente e Oriente

Durante il corso del panel, tenuto in una delle grandi sale messe a disposizione da Giffoni Experience e Giffoni Innovation Hub nella Multimedia Valley di Giffoni, Matteo Bassini ha avuto modo di portare all’attenzione del pubblico l’enorme differenza che passa dalla produzione artistica di videogiochi tra il Giappone e l’Occidente. Per quanto Matteo infatti apprezzi tanto l’arte giapponese e in generale la cultura del posto, professionalmente racconta di essersi trovato in un mondo totalmente alieno.

Di tutta la produzione videoludica giapponese, in Occidente arriverebbe una percentuale molto filtrata. Tranne che per gli studi più in vista e più internazionali, sembrerebbe che il peso della bilancia tra valenza artistica e game design penda più verso il secondo piatto, relegando la grafica a un accessorio, a materiale quasi da manovale.

In altre parole, nell’insieme in Giappone la grafica in un videogioco, e di rimando la maggior parte dei titoli prodotti in loco, non vengono quasi considerati come qualcosa di artistico, ma più come dei passatempi da consumare e basta. Culturalmente per i giapponesi leggere, guardare un film o giocare è intrattenimento usa e getta, non vi è molta differenza. Probabilmente, secondo Matteo, questa distanza produttiva con l’Occidente si è intensificata con il proliferare del mercato mobile, che in Asia è molto molto preponderante.

Motori di gioco più “democratici” come Unity e Unreal sono stati introdotti da poco nelle aziende giapponesi che finora hanno sempre cercato di usare motori interni. Di conseguenza anche i salari in questo campo non sono competitivi come negli studi più grandi, o come in Occidente. Perfino le riviste del settore, come la celebre Famitsu, in fin dei conti pubblicano recensioni che sono letteralmente dettate dalle aziende, non esiste una critica videoludica.

Non esisterebbe nemmeno un mercato indipendente come da noi occidentali! Matteo ci ha raccontato che durante un colloquio ha provato a parlare di giochi indie, ma i suoi interlocutori non sembravano minimamente interessati. Per questi motivi Matteo si è chiesto più volte che senso avesse avuto continuare a lavorare in Giappone per la sua visione artistica sui videogiochi, e per la sua progressione professionale.

A volte mi sono chiesto perché continuare la mia esperienza qui? Sto lavorando in uno studio o nell’ufficio di una banca? Mi sentivo uno strumento, un tool che veniva attivato per produrre roba. – Matteo Bassini

Di tutt’altra valenza è stata invece l’esperienza occidentale di Matteo. In particolare, l’artista ha raccontato di come il suo lavoro di composizione dell’environment in Ori sia stato “orgasmico“, strutturato tecnicamente in una maniera esemplare, e tutto realizzato con una versione di Unity completamente moddata da Moon Studios.

Proprio prendendo Ori come esempio, ha spiegato al pubblico come un gioco del genere, se spogliato della sua componente artistica, diventi semplicemente un gioco a piattaforme e nient’altro. In questo senso l’arte si è prestata al game design del gioco per riempire gli spazi tra le piattaforme, facendo diventare l’intero gioco una creatura organica che ha vita propria. Da Moon Studios inoltre Matteo ha affermato che ha sempre avuto libertà totale nella sua creatività, lui così come gli altri artisti.

Moon Studios è libertà totale. Responsabilità artistica in mano agli artisti. Il motivo per cui io adoro lavorare in uno studio del genere è perché loro hanno compreso che l’arte li distingue dagli altri. – Matteo Bassini

Panel Arte VS Game Design al Giffoni Good Games 2023.
Panel Arte VS Game Design al Giffoni Good Games 2023.

L’intervista a Matteo Bassini

Ci racconti il momenti in cui ti sei detto “Ok, voglio fare questo nella vita. Voglio disegnare per giochi e videogiochi.”?

È successo in maniera abbastanza banale, credo sia così un po’ per tutte le persone che lavorano in questo settore: avevo un passione, l’ho seguita. Ora però è leggermente diverso rispetto a 30 anni fa, nel senso che adesso la gente riesce più a inquadrarsi su ciò che vuole fare nella produzione di immagini o comunque di videogiochi. Quando invece io ero piccino non sapevo minimamente come si facessero i videogiochi, non ne avevo idea, pensavo si dovesse programmare e basta, non conoscevo assolutamente tutta la parte di concept art.

E non ho saputo nulla finché non sono andato alla scuola di Comics di Firenze dopo il Liceo. Volevo fare illustrazione ma mi hanno deviato sul fumetto, e lì ho capito che per quanti fumetti leggessi comunque non ero portato per quello stile. Lì però ho scoperto anche che c’era tutta una parte del disegno che a me era sconosciuta, quella della concept art, della produzione di immagini funzionale non solo a illustrazioni ma a anche agli ambienti, ai videogiochi.

C’era internet, non sto parlando di 40 anni fa, ma comunque non erano disponibili tutte le informazioni che ci sono oggi, non c’erano tutti i percorsi di studi sui videogiochi che ci sono ora. Voglio dire che quindi io sono arrivato a lavorare ai videogiochi per vie traverse, passo dopo passo, quasi da outsider. Se vai a una di queste scuole oggi scoprirai che c’è tutto un percorso da seguire, una pipeline da rispettare per arrivare a posizioni come la mia.

Io invece non ho fatto questi passaggi, ci sono arrivato perché secondo me ho avuto un mix tra fortuna e costanza nel fare le cose, oltre ad essermi trovato nel periodo giusto. Io ho uno stile di disegno molto sketchato, di norma i miei lavori finiti sono la base per gli altri lavori di altre persone. Per questo dico che secondo me al di là della fortuna mi sono trovato anche nel periodo storico migliore.

Ma se mi parli di momenti e periodi me la stai buttando sempre sulla casualità, sulla fortuna. Non è possibile che sia solo fortuna, c’è per forza bravura in ciò che fai e si vede.

Sì, non può essere solo fortuna, c’è per forza del talento e lo riconosco. È che, sai… Insomma, so di essere molto critico con me stesso perché non so pormi al livello delle altre persone, quindi oggi riesco a dirmi che.. Ok, sì, sono sicuramente bravo, ma c’è una parte di me che evidentemente soffre di sindrome dell’impostore o chiamala come ti pare!

Però davvero, c’è comunque da considerare un fattore temporale perché se avessi fatto questa roba 10 anni prima non avrei avuto gli stessi risultati probabilmente. Ora lo stile sketchato, lo stile rough, va tanto! Vedi l’ultimo Spiderman, vedi Arcane… hanno questo stile molto graffiato, scarabocchiato da concept. Io mi ci sono ritrovato nel mezzo perché era proprio quello che facevo.

Però riesco a dire di positivo su di me che so far uscire fuori bene quello che mi piace fare, perché ho sempre fatto questo. Secondo me è ciò che dovrebbero fare anche le altre persone… Ti spiego meglio cosa intendo: tante volte si cerca di trovare un stile, si cerca di emulare questo o quell’artista. Io invece penso che lo stile salti fuori quando si smette di cercarlo, e quando ti lasci andare a quello che ti viene meglio.

Tante volte ho visto persone sforzarsi pur di far uscire uno stile, le ho viste copiare senza rielaborare, e alla fine il lavoro risultante si vede che è forzato e non è granché. Bisogna sempre puntare su quello che si sa fare, avere carta bianca per far emergere il proprio stile.

Durante il Panel sulla relazione tra Arte e Game Design ci hai parlato della tua esperienza in Giappone. Purtroppo i ragazzi di RoundTwo mi hanno rubato la domanda sulla differenza artistica che hai trovato tra l’Occidente e il Giappone, mannaggia…

Sì però non vorrei che sembrasse che io detesti il Giappone! Vi giuro è un mondo bellissimo, lo adoro! Ci sono ancora attaccato, mi piace. Però, ecco, un conto è andarci per turismo, un altro è viverci. Purtroppo il Giappone è proprio il posto in cui mi sono sentito più solo al mondo, nonostante ci fossi andato con mia moglie.

Anzi, è proprio l’essere andato a viverci in coppia che secondo me ci ha isolati ancora di più, perché eravamo inquadrati come “la coppia di stranieri“, il che forse è peggio di essere un semplice gaijin, uno straniero singolo in Giappone. Facevamo tranquillamente conoscenze in coppia eh, ma le persone che ci vanno da sole, può sembrare una baggianata, loro riescono più facilmente a trovare legami. Io e mia moglie avevamo già il nostro legame, e quindi eravamo la coppia di stranieri.

Le amicizie che abbiamo fatto lì nel giro di 3 anni le posso contare sulle dita di una mano, si tratta sempre di rapporti molto superficiali. Diciamo che dopo 1 anno e mezzo di sogno è subentrata la routine, sono subentrate tante cose brutte e alla fine avevamo deciso che non valeva più la pena stare lì.

Me ne sono andato con un visto di 5 anni ancora attivo, pensa! Tanti mi guardano come un co***one perché è difficilissimo ottenere quel visto, ed era più difficile tanti anni fa che oggi. Dovevo dimostrare di avere una carriera di almeno 10 anni attiva nel settore in cui andavo a specializzarmi… E insomma, ho praticamente buttato via qualcosa che la gente si strapperebbe i capelli per avere.

E invece che differenze ci sono tra la produzione da Moon Studios, che è comunque uno studio relativamente piccolo, e Wizards of the Coast, che invece è un agglomerato internazionale molto più esteso?

Beh, la produzione e il livello di cose che ti vengono richieste varia tantissimo. Da una parte c’è Moon che comunque, anche per la posizione che ho e per ciò che sono chiamato a fare, ha molta parte tecnica. Io mi occupo anche di modelli 3D, ma roba che però un normale modellatore che fa solo modelli e basta avrebbe difficoltà a fare.

Moon Studios infatti ha sempre difficoltà a trovare modellatori 3D proprio perché non cercano una figura da modellatore base, ma qualcuno che sappia anche il fatto suo come artista, che sappia fare le texture in una certa maniera, eccetera. Non vogliono texture alla World of Warcraft per farti un esempio, ma vogliono che dietro ci sia una sorta di pittura ad olio, robe stilistiche del genere. E il tutto poi è condito con una buona dose di parte tecnica.

Dall’altra parte invece Wizards of the Coast tratta gli artisti liberamente. È proprio la forza del loro gioco di carte, Magic: The Gathering. Ho cominciato a lavorare con Magic dall’espansione Zendikar Rising. Con Wizards of the Coast lavoro da ormai 3 anni, e c’è una progettazione molto vasta e duratura. Attualmente pensa che mi sono uscite solo 2 carte per Zendikar Rising, 4 per New Capenna e poche altre… poi dovrebbero uscirmene altre ancora fino ai prossimi 2 anni! Ho realizzato anche carte per dei crossover, ma non so bene ancora quando salteranno fuori.

C’è un piano di Magic su cui ti piacerebbe di più mettere le mani?

Magic: The Gathering è un gioco della madonna, io ho iniziato a giocarci chissà quanti anni fa e poi ho smesso dopo l’espansione di Mirrodin. Ho iniziato con un mazzo mono-bianco, poi sono passato a un aggro nero-rosso. Ho sempre guardato con grande rispetto i mazzi tramp verdi, mi piace che menino mazzate con tutta quella forza, ma non li ho mai provati.

Se devo essere sincero, mi piacerebbe sicuramente lavorare a Mirrodin, è lì che ho lasciato il cuore quando ho smesso di giocare. Tutto ciò comunque è buffo perché ho sempre apprezzato Magic, ma non avrei mai immaginato di lavorarci prima. Infatti quando ho ricevuto una mail di collaborazione da Wizards of the Coast pensavo fosse uno scam, una trollata.

*risate*

Davvero? Sono stati loro a venire da te? Deve essere stata una bella soddisfazione per te da ex giocatore di Magic trovarti una proposta del genere nelle mail.

Esatto, sono venuti loro! Ma, guarda, non so se è un buon momento per rivelare questa cosa al mondo, però io in realtà ho una storia professionale un po’ particolare. Nel senso che io… Io non ho mai… Io sono sempre stato fuori da queste cose, non ho mai inviato nulla a nessuno! Non ho mai cercato un lavoro, sono sempre stati gli altri a cercare me. Non me ne sto vantando eh! È che anche per me è strano, lo so che sono strano.

L’unico lavoro che ho cercato è stato il primo, quando ho cominciato il mio impiego in Francia nel mondo del fumetto. Quella è stata l’unica e ultima volta. Poi dopo in Giappone ci sono andato perché mi hanno cercato loro. Counterplay Games mi ha chiamato, Moon Studios mi ha chiamato, Wizards of the Coast mi ha chiamato… non ho mai cercato nulla.

Ora non ti viene da dire “ma che culo!“?

Ancora con ‘sta storia della fortuna? Ma no, anzi al contrario mi viene da dire “ca**o che BRAVO”. Passando ad altro, qual è per te la ricetta segreta per valorizzare un ambiente di gioco attraverso l’arte?

La chiave è sicuramente non forzare la mano. Fare un bell’ambiente per quel che mi riguarda è un po’ un insieme di cose da comporre, e io sono molto fissato con la composizione. Un ambiente asettico può diventare incredibile se fai la composizione giusta, che vada anche a braccetto con la giusta colorazione.

Ori per esempio, per quel che mi riguarda, è bello ma è un po’ barocco per quello che intendo. Non do al significato di barocco solo una valenza critica, anzi, perché ci vuole bravura anche nell’utilizzare molti elementi. È che a volte c’è veramente troppa roba e si esce un po’ dal mio gusto personale.

Io in realtà sono innamorato della parte visiva di giochi tipo Journey. Io adoro queste lande minimal e desolate. Journey è un gioco che avrei tanto voluto disegnare io, sono letteralmente fissato con ambientazioni molto grandi, titaniche, mastodontiche ma vuote. Io sbrodolo per questa roba qui, infatti cerco sempre di portarla dentro i miei lavori per Magic, cerco sempre di ficcarcela anche quando non dovrebbe entrarci nulla.

Journey
Come fare a non sbrodolare davanti alle ambientazioni di Journey?

Infatti una delle cose che adoro di Wizards of the Coast è proprio che ci lasciano davvero piena libertà interpretativa delle istruzioni che ci danno per ogni carta. In New Capenna ho inserito spesso queste grandi verticalità. Mi piace quando c’è un tipo di immagine molto descrittiva, ma con pochi elementi in cui spaziare.

Ori inserisce tanti elementi a schermo, e per carità Ori lo fa bene. Ma secondo me in questo settore, soprattutto nelle concept art e soprattutto quando cominci a lavorare agli inizi, si dà molta importanza a buttare tante e tante informazioni nelle immagini, in lavori che sembrano molto rifiniti ed estremamente elaborati. In realtà più ci sei dentro in questi lavori, più ti accorgi che inserire tante informazioni è la parte facile! Quello che è difficile è avere lo stesso effetto ma con meno elementi. Il difficile sta nel togliere.

Se riesci a fare qualcosa in cui hai tolto tanto ma resta comunque qualcosa di interessante e bello da vedere, vuol dire che hai fatto centro. Vuol dire che hai dosato bene le poche cose che avevi a disposizione. Si dice less is more, ok, ma per arrivare a un certo tipo di less non è semplice, c’è tanta strada da fare.

Durante il panel e lungo la nostra passeggiata verso la Sala Stampa hai parlato più volte di Ultima Online. Abbiamo convenuto che per entrambi è stato un gioco incredibile e che il suo gameplay, la sua essenza, è difficile ritrovarla nel mondo di oggi, negli MMORPG moderni. Tu come riporteresti Ultima oggi?

Oddio! Allora… Ci sono cose che non ti posso dire.

*in questo momento sto guardando Matteo con un misto tra curiosità e perplessità*

Facciamo così. Il nuovo gioco di Moon Studios… non ti posso dire nulla, ma ovviamente non ha lo stile di Ultima Online.

*sono ancora più perplesso*

Quello che si sa già e che si può dire è che questo nuovo gioco sarà un action RPG e che ha un’ambientazione dark fantasy. Non posso rivelarti altro, è ancora in sviluppo e sicuramente verranno implementate o tolte cose nel corso del tempo. Ti posso dire però che noi che abbiamo passato tanti anni su Ultima Online potremmo trovare dettaglini simili, elementi che non ti posso assolutamente rivelare, e che non ti dirò se sono nell’arte, nel gameplay, nella parte tecnica, nelle meccaniche o nelle dinamiche di gioco… Insomma, ci sono cosine che secondo me, a persone come noi potrebbero far pensare a cose che abbiamo visto in Ultima.

Ultima Online
Negli anni 2000 ci divertivamo così

Per quel che riguarda Ultima Online in generale invece credo che non vedremo mai più un gioco simile. Certo mi piacerebbe vederne un nuovo capitolo ma non so se avrebbe lo stesso successo. Sono sicuro che venderebbe soprattutto a noi nostalgici ma non solo, credo ci saranno nuove leve incuriosite. Il difficile però è trovare una quadra con il genere MMO che si è standardizzato oggi.

Non voglio fare quei discorsi del ca**o da boomer dove tutto era sempre meglio prima, è che Ultima Online fu rilasciato in un periodo ben particolare a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, e giochi come Final Fantasy XI e World of Warcraft sono partiti proprio da lì. Per non parlare di tutta la mandata dei Lineage e dei giochi MMO coreani…

Ultima Online per me però era l’MMORPG vero, anche più di World of Warcraft. Aveva un tipo di interazione tra i personaggi molto particolare dove ognuno era specializzato in determinate abilità, e quindi per ottenere qualcosa bisognava per forza passare dalle altre persone, si creavano economie interne, gerarchie, storie.

Pian piano secondo me si è persa questa cosa, si è perso un po’ il senso dei MMORPG con un gameplay più votato all’azione e basta. World of Warcraft all’inizio aveva un gameplay caruccio, ma espansione dopo espansione se lo sono mangiato. Ora in WoW l’importante è arrivare al level cap e poi da lì inizia il vero gioco. Il “vero gioco” poi non è altro che una gara a chi butta prima giù il boss… non mi piace.

Peccato perché all’inizio lo stesso WoW ammiccava molto a Ultima Online. Io lo provai appena uscì al lancio, ma dopo due giorni ero già tornato su Ultima Online. Poi più in là negli anni me lo son fatto piacere a forza e ci ho giocato molto, perché comunque aveva le sue cose interessanti… il grifone con cui andare in giro, tutte le cosine messe nei posti giusti nel mondo… Ma più continuavo a giocarci più mi ripetevo “Bello eh, ma non è Ultima“.

Poi sì, sicuramente c’è una componente nostalgica che tende ad amplificare il mio legame con Ultima Online, ma Ultima davvero aveva qualcosa che oggi non ha più nessun gioco. Io ci ho passato serate intere a giocare a scacchi in taverna senza fare un ca**o!

Qualche partita a scacchi su Ultima forse l’ho fatta anch’io, ma io di Ultima i bei ricordi li ho sul server The Miracle, dove passavo intere serate a ruolare e basta, cavolo! Era anche questo il divertimento, starsene DAVVERO con amici in game e passare così il tempo senza farmare o senza andare a combattere.

Sì esatto! Anch’io sono stato su The Miracle, ma principalmente UODreams! Avevo un mercante e avevo i miei venditori dove andavo a prendere le mille cose che mi servivano per fare le pozioni da vendere, poi c’erano i Game Master che creavano eventi, cose incredibili.

Ca**o io mi sono sposato su Ultima Online con un personaggio! Mi sono sposato in gioco con quella che poi è diventata la mia ragazza nella realtà ed oggi è mia moglie. Pensa, saranno passati 20 anni!

Ultima domanda: cosa suggeriresti a chi vorrebbe intraprendere il tuo stesso percorso?

Ah beh te l’ho detto che il mio è un percorso un po’ strano.

*risate*

Scherzi a parte, credo sia fondamentale inquadrarsi bene per emergere dalla massa, ma con i social oggi è un po’ difficile. Io tutto quello che ho fatto lo devo tantissimo ad Art Station come visibilità online, ma se oggi parli con gli artisti emergenti ti faranno vedere il loro Instagram. Poi magari gli consigli di aprirsi Art Station, magari lo fanno, ma lo lasciano buttato lì.

È comprensibile perché Instagram è un social network, mentre Art Station no; e al mondo d’oggi tutto si muove sui social. Questo va bene, però mi da un po’ fastidio che ciò costringe gli artisti a cercare di inseguire un algoritmo, che è una cosa che non si sposa bene con la creatività. “Ah devo fare un post al giorno, inserire gli hastag giusti“, è una roba che può funzionare se mantieni sempre uno standard di qualità e ci picchi sempre il capo, sei coerente e continuativo in quello che fai.

Ma questo livello di costanza e qualità non tutti lo sanno mantenere, soprattutto se sei agli esordi, e succede che tutti fanno tutto velocemente, arronzando… Non va bene perché questo è un lavoro che richiede anche tanta pazienza e tanti tentativi, per non parlare del fatto che c’è anche tanta concorrenza. Il difficile in questo lavoro è proprio uscire, mettere la testina fuori dalla massa.

Tutto poi cambia quando entri in un posto professionale adeguato. Ovviamente dipende dai casi eh, però diciamo che quando ricopri il tuo incarico importante all’interno di uno studio di diciamo 50 persone, e di queste un giorno 10 vanno via in altri posti di lavoro, vuol dire che quando le loro aziende avranno bisogno di personale magari terranno in conto anche te. Networking.

In sostanza quello che vedo è che tante persone sui social cercano di forzarsi a fare qualcosa che in realtà non è ciò che li diverte. Invece io credo che in questa fase della loro carriera devono proprio approcciarsi con divertimento, prima di farlo diventare un vero e proprio lavoro.

Voi mi direte “ok, parli tu che fai questo lavoro con Ori e Magic, che bello“. Eh sì, che bello, però c’è sempre un però. Far diventare tutto questo un lavoro un po’ ti mangia dentro perché è vero che non sono un manovale, però comunque devo starci davvero tanto sopra e soprattutto è un lavoro in cui bisogna produrre delle cose anche nei giorni che sono NO. Come tanti altri lavori eh! Però se non lo affronti già ora questo lavoro con divertimento, secondo me non vai da nessuna parte.

Un’altra cosa da evitare secondo me è quella di piegarsi, di fare qualunque cosa pur di essere versatile, quando invece bisognerebbe trovare la propria strada: se fai quello che ti piace fare divertendoti, lo fai sicuramente meglio di altre cose, ed è solo così che può uscire fuori il tuo vero stile.

Se guardate il mio Art Station per esempio, io praticamente faccio uno showreel di roccette che volano! Mi auto-prendo per il c**o su questa cosa, però se guardi sono tutte roccette lunghe, no? È quello che mi piace fare, non riesco a considerarlo mero lavoro, è proprio roba mia personale. Quando lavoro a queste cose mi voglio divertire, mi rilasso. E quando mi rilasso faccio le roccette, mi escono bene, coerenti con quello stile. Quando qualcuno viene a cercarmi, trova quelle 40 roccette virtuali. E siccome mi sono divertito un sacco a farle, notano che c’è dell’atmosfera, c’è un dettaglio curato, c’è del gusto, ma soprattutto nulla è forzato, è tutto naturale.

Panorami mozzafiato disegnati da Matteo Bassini
Lo “showreel di roccette” di Matteo Bassini, potete trovarne altre sul suo Art Station

Quindi il mio consiglio è di concentrarsi su una sola cosa. Sembra stupido da dire, ma in Italia in particolare si tende sempre a cercare di fare di tutto un po’ perché “tutto fa brodo“. Nella realtà però non è così, quello del disegno e dei videogiochi sono mercati che diventano sempre più tecnici e specializzati. Di solito in questi campi trovi un solo tecnico che fa una sola cosa, non 20. O meglio, ne puoi anche fare 20 perché sapere cose in più è pur sempre un bonus, però ci deve essere quell’unica cosa che deve essere di qualità. La tua expertise.

Un sacco di persone che finiscono a fare i tuttofare, non tutti ovviamente, finiscono quasi per diventare degli hikikomori, dei disadattati sociali. C’è bisogno di bilanciamento, e per arrivare a questo equilibrio bisogna avere tranquillità. Quindi insomma, bisogna essere costanti e non cercare scorciatoie. Come ho fatto io, se vi diverte fare qualcosa continuate a farla, portatela avanti. Per me fare queste “roccette” mi ha contraddistinto. Ovviamente non è che mi chiamano per fare le rocce, però capisci che intendo? Le rocce sono state un’escamotage, un pretesto per esprimere il mio stile, per contrassegnare i miei lavori con la giusta atmosfera, per creare qualcosa che si distingue dagli altri.

Questa ridondanza del proprio approccio funziona sempre, resta in testa a chi guarda i vostri lavori. Anche io, per esempio, se vado a cercare qualcuno su Art Station e trovo una pagina di un artista dove mi metti un environemnt, un modello 3D, un character design, tante cose diverse… non ti c**o nemmeno perché poi non mi sembri professionale, ecco.