Digitare riff: intervista a Master Boot Record

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Ancora una volta vi racconto di come quei pezzettoni di plastica che stringiamo tra le mani riescano a muovere cuori di metallo, e di nuovo restiamo in Italia, dove ogni tanto qualcosa di bello accade, allora.

Master Boot Record è il nome del trio che sta conquistando l’Europa a forza di riff distorti scritti con la testa ai videogiochi.

La band è l’ampliamento di Victor Love, nerd old school, chitarrista da dress code total black, mente dietro al songwriting del progetto che è stato a lungo un’operazione solitaria, sviluppata attraverso i midi, i synth. Dopo qualche anno l’idea di comporre metal con l’elettronica si è evoluta nella necessità di una macchina ritmica umana, compito eseguito alla perfezione da Giulio Galati, batteraio impossibile, apprezzatissimo per il suo lavoro con Nero Di Marte e Germanotta Youth, per citarne un paio.

I due cominciano a girare il vecchio continente, fino a quando la presenza di una seconda chitarra appare sempre più come un’esigenza: con l’arrivo di Edoardo Taddei ecco formato il trio, consacrato dall’ingaggio con la Metal Blade, una delle etichette simbolo del genere nel mondo.

Il suono di Master Boot Record è un mix di sintesi e metal classico, un culto del Commodore 64, cavalcate di pixel su un drumming stoico, un abuso di assoli, che presenta anche cover di alcuni classici dei videogiochi del secolo scorso.

In occasione della data al sempre carico Freakout di Bologna, ho fatto qualche domanda a Victor.

Intervista a Master Boot Record

Demetrio Scira: Hai detto in altre occasioni di considerarti un hacker della musica.

Master Boot Record: Hacker della musica perché faccio metal con i synth, quindi è un modo di bypassare il normale procedimento e fare qualcosa di metal però con i sintetizzatori.

Scira: Si è venuto a creare un vero e proprio genere musicale intorno al modding, e la chiptune può ormai apparire come un fenomeno certo di nicchia, ma progressivamente modaiolo.

MBR: Non riesco a risponderti perché non so nulla di tutto ciò. Mi piace la chiptune, ma non ne conosco il mondo odierno. Sto in fissa con quella degli anni ’80 e ’90 dei videogame, con gente come Martin Galway e con gli altri mostri sacri del genere, ascolto Dubmood e il giro della Razor 1911, realtà con le quali ho collaborato. Non conosco però la scena moderna, né quella italiana – a parte Kenobit e arottenbit.

Scira: Ripensando alla tua storia, alla tua infanzia, si è sviluppata prima la sensibilità per il gaming o per la musica?

MBR: Sicuramente il gaming, perché mio padre mi portò un Commodore 64 quando avevo 6 anni. Suonavo un po’ il pianoforte perché mi costringevano a prendere lezioni, ma il mio primo vero approccio con la musica è avvenuto attraverso i videogiochi. E poi sempre mio padre aveva un negozio di computer, dove andavo ad aiutarlo.
Ancora prima del metal, ascoltavo la chiptune, ascoltavo la musica dei giochi. I loader in particolare hanno esercitato un forte imprinting su di me. Tra l’altro, l’intro che usiamo per i concerti è il loader di Transformers, che carico direttamente dalla vera cassetta su un Commodore vero.

Scira: C’è il pensiero – giustificato – che gli appassionati di chiptune siano di base dei retrogamer. Allora ti chiedo: c’è qualche gioco contemporaneo o comunque recente che ti ha colpito per la soundtrack?

MBR: Francamente pochi. Moltissimi giochi moderni utilizzano queste robe orchestrali, sinfoniche, che pare piacciano tanto, ma non a me. Mi sembrano tutte molto uguali. La chiptune invece, riducendo il framework in cui puoi lavorare – hai determinati suoni, e quelli puoi usare – spingeva di più alla creatività. Invece adesso hai tutto. Ci sono delle eccezioni, mi piacciono ad esempio le musiche synthwave di Hotline Miami. Ma il grosso dei videogame di oggi ha soundtrack meno caratteristiche di quelle di Doom, Another World, Dune.

Scira: Ti pongo però un caso come quello di Cuphead: videogioco con estetica anni Trenta, soundtrack orchestrale di jazz anni Trenta, assolutamente coerente e soprattutto ispiratissima.

MRB: Certo, in quel caso si lega bene al gioco.

Scira: C’è un gioco del quale vorresti riscrivere le musiche?

MRB: In realtà no, perché i giochi che amo mi piacciono anche per le loro musiche – al massimo potrei farne le cover, come ho già fatto. Non riuscirei a toccarle in altri modi.

Scira: Allora dimmi quali sono le tue musiche videoludiche preferite.

MRB: Allora, sicuramente tutta la soundtrack di Dune – il primo, quello sull’Amiga. Poi ovviamente Doom anche se è un po’ scontato, Command and Conquer, Duke Nukem, Star Wars: X-Wing vs. TIE Fighter.

Scira: Qual è stato il gioco che ha fatto scoccare la scintilla, che ti ha fatto pensare Ok, io con questa cosa avrò a che fare per tutta la vita?

MRB: Il primo gioco a rimanermi veramente impresso è stato forse Rambo 2 First Blood Part II. Ma il mio gioco preferito è Another World. Aspetta: e poi Monkey Island! Come fai a non menzionare Monkey Island? Che poi, il punta e clicca è il mio genere di videogiochi preferito.

Scira: Monkey Island: il primo o il secondo?

MRB: Il primo. È bello anche il sequel, ma il primo è il primo. Ai tempi, mi aiutò anche a imparare l’inglese, insieme a Indiana Jones (ride). Tra l’altro, io ho anche lavorato a un punta e clicca.

Scira: Mi hai menzionato esclusivamente computer: e le console?

MRB: Certo, Nintendo e Super Nintendo, e il SEGA Mega Drive, che soprattutto per la musica spacca. Il Mega Drive è molto metal.

E con questa frase potentissima, m’è parso ineluttabile concludere l’intervista. Trovate i link per ascoltare Master Boot Record qui.