Andrea Gatopoulos, regista di “Happy New Year, Jim”, il corto arrivato a Cannes girato dentro RDR2 | #Interview

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Due vecchi amici passano la notte di capodanno a videogiocare mentre conversano tramite chat vocale. Di Jim e Morten possiamo soltanto sentire le voci, calme e annoiate, o vedere lo schermo su cui giocano comodamente seduti ognuno nella propria cameretta. Chiacchierano tra di loro, si confessano dubbi e paure, durante una notte che invece di festeggiamenti e sorrisi porta con se soltanto un’amara e calda alienazione.

Questa è la trama di Happy New Year, Jim, il cortometraggio diretto da Andrea Gatopoulos esordito quest’anno al Festival di Cannes, entrando a far parte della 54° rassegna del Quinzaine des réalisateurs. Un cortometraggio girato quasi interamente all’interno dei videogiochi, utilizzando i mondi virtuali offerti da titoli amatissimi come Red Dead Redemption II.

Official Trailer di Happy New Year, Jim

Realizzato con un budget di soli 500 euro, il corto è stato selezionato da più di una decina di festival sparsi in tutto il mondo, collezionando anche menzioni d’onore e premi in diverse occasioni, dando così inizio ad un record di riconoscimenti destinato ancora ad aumentare.

Nonostante attualmente Gatopoulos sia a San Francisco per lavorare al suo prossimo progetto, sono riuscito ad approfittare della sua disponibilità per intervistarlo e scavare dietro il processo creativo che ha dato vita al fantastico Happy New Year, Jim.

Quella che leggerete di seguito è un’intervista riportata con una precisa intenzione: non alterare la naturalezza e la spontaneità di una delle chiacchierate più interessanti che abbia mai avuto su cinema e videogiochi.

Una delle scene girate dentro Red Dead Redemption II presenti in Happy New Year, Jim.
Una delle scene girate dentro Red Dead Redemption II presenti in Happy New Year, Jim

Quanto è importante per te il medium videogioco?

Ho un rapporto molto conflittuale con i videogiochi. Essendo stato un gamer in passato, fino a quando avevo più o meno 18 anni, per quanto mi riguarda sono come una droga, cerco di starci alla larga il più possibile. Oggi i videogiochi hanno quasi tutte strutture di reward fatte di proposito per tenerti incollato e io lo trovo terrificante.

È una direzione troppo capitalista che sta allontanando il medium dal suo valore artistico. Il 99% dei videogiochi di oggi sono fatti per cercare a tutti i costi di sottrarti soldi, di competere con la tua attenzione e con le tue energie. Forse solo nel panorama indie si trovano delle eccezioni. Insomma, non ho un gran rapporto con il medium. 

Passiamo al tuo ultimo film: come è nato Happy New Year, Jim?

Happy New Year, Jim nasce dal ricordo delle esperienze e delle sensazioni provate mentre giocavo. Da quelle sere in cui invece di uscire preferivo restare a casa e magari mancavo a degli eventi importanti. Non sono mai arrivato ad alienarmi come il protagonista, ma quando ho scritto il corto, ad agosto 2021, ero a Roma da solo. La città era completamente vuota, i miei amici e la mia ragazza erano partiti e faceva troppo caldo, perciò sono rimasto parecchio tempo chiuso in casa. 

A sinistra Andrea Gatopoulos, al centro la locandina di Happy New Year, Jim, a sinistra una delle immagini del film.
A sinistra Andrea Gatopoulos, al centro la locandina di Happy New Year, Jim, a destra il ritaglio di un frame tratto dal film

Mi sono chiuso in una sorta di eremitaggio che ogni tanto mi fa anche bene e ho finito per scrivere il corto abbastanza di getto e senza partire da una particolare ricerca. Tra l’idea e la realizzazione è passata meno di una settimana. Ho fatto tutto in casa, improvvisando molto il processo creativo. Ma dato che il film era un ricordo di esperienze personali è venuto fuori piuttosto facilmente. 

Guardando Happy New Year, Jim sembra di vedere un drammatico a metà tra un machinima e uno screen life. Tu come lo definiresti? Sei d’accordo con questa definizione?

Si, assolutamente. Io ho iniziato a fare cinema proprio con i machinima, giocavo e registravo quello che facevo per poi montarlo mettendoci la musica. Seppure amatoriali, quelle sono state le mie prime esperienze con il linguaggio cinematografico. L’avrò fatto dagli 11 ai 15 anni e usavo programmini molto semplici e amatoriali. Rivedere ciò che giravo era una parte molto importante del mio processo di gioco. Quindi si, è un machinima, è un screen life ed è un drammatico proprio come dici tu, ma il motivo per cui ho scelto questo formato è perché non richiede una produzione e potevo realizzarlo completamente da solo. 

Questo ci ricollega alla mia prossima domanda: arriva prima l’esigenza di girarlo con questa forma o la storia e i suoi contenuti?

Arriva prima l’idea di girarlo con queste modalità. Come dicevo prima, ero a casa da solo e avevo davvero un sacco di tempo libero e nessuno con cui uscire, quindi mi son detto “ora provo a tirare davvero una roba così, da solo, e vediamo che cosa esce fuori”. Quindi mi sono messo a scrivere ed è diventato un processo piuttosto spontaneo. Possiamo dire che è arrivato prima l’uovo della gallina.

Frame di una delle scene più spettacolari presenti in Happy New Year, Jim
Frame di una delle scene più spettacolari presenti in Happy New Year, Jim

Quali sono i registi che ti hanno più influenzato durante la realizzazione del corto?

Ad influenzare questo film sono stati tutti registi di cortometraggi. Per esempio i Total Refusal Crew, che poi sono diventati anche dei cari amici. Loro sono una crew molto interessante che gira soltanto cinema nei videogame rielaborandolo sotto un’ottica quasi marxista, analizzando per esempio la rappresentazione dei lavoratori o dei soldati: un po’ essay cinema e un po’ machinima. Un altro regista che mi ha influenzato è Ismael Chandoutis, un ragazzo francese che realizza corti a metà tra video-arte e cinema, utilizzando diversi mezzi tecnologici. 

Sono loro che mi hanno fatto capire che si potevano creare delle immagini sfruttando il mio lato nerd (ride, ndr.). Non c’era bisogno di muovere le montagne per fare dei corti, non sempre è necessario secondo me: il cinema è un mezzo che ti permette di creare un film anche soltanto con la creatività come tutte le altre arti.  

Invece da cosa deriva la scelta di non musicare il film e concentrarsi unicamente su suoni e voci?

Quella è una scelta di forma, il film è molto rigoroso da questo punto di vista. C’è un prologo dove viviamo il punto di vista di Jim mentre gioca a Red Dead Redemption II, mentre il resto è tutto visto dal punto di vista di Morten. Quello che sentiamo è diegetico, se avessi messo la musica avrebbe mandato in tilt questo concetto, al massimo sarebbe dovuta essere una musica che magari si sentiva dalle casse e non direttamente montata sul film. Di solito metto tantissima musica nei miei film ma questa volta sentivo che non serviva.

Andrea Gatopoulos al Sarajevo Film Festival, uno dei tanti festival che ha selezionato Happy New Year, Jim
Andrea Gatopoulos al Sarajevo Film Festival, uno dei tanti festival che ha selezionato Happy New Year, Jim

Nel corto si parla di alienazione, derivata in questo caso dal tempo che passiamo tra le mura e i personaggi digitali dei videogiochi. È una conseguenza che trovi inevitabile per la nostra società e in particolare per i videogiocatori?

Secondo me si, parliamo di mezzi che promettono di farti vivere un altro mondo, quindi l’alienazione dalla realtà è la loro sussistenza. Una persona non può considerare di valore un metaverso senza alienarsi un minimo da quello che la realtà può offrire. Però non è sempre una cosa negativa, anche frequentare un cinema richiede una forma di alienazione dalla realtà. Esci dal mondo ed entri in una stanza buia dove vivi una sorta di trance, per dure ore, e quello che succede all’esterno è momentaneamente sospeso. 

Non ricordo quale fosse il titolo, ma ho letto un libro dove c’era un concetto molto interessante: si parlava di come tutte le società hanno la propria forma di trance, tranne la società contemporanea che non l’ha precisamente ancora individuata. Psichedelismo a parte, che però riguarda veramente una minoranza di persone. 

Questo saggista, di cui purtroppo non ricordo il nome, diceva che il cinema era la forma di trance della nostra società. Io rilancio dicendo che, da vent’anni a questa parte, il videogame e la realtà virtuale sono una forma di trance ancora più intensa rispetto al cinema. Inoltre c’è anche un elemento trascendentale. Quante volte abbiamo creato un avatar che esisterà ancora dopo la nostra morte? È un’inclinazione ancora poco esplorata dalla saggistica, ma che secondo me gli esseri umani hanno inconsciamente.

L'iconica schermata di World of Warcraft per la creazione del personaggio.
L’iconica schermata di World of Warcraft per la creazione del personaggio

Quando moriremo dove andranno a finire i nostri personaggi di World of Warcraft con cui abbiamo giocato vent’anni? È una domanda che non si pone nessuno, ma restano comunque fossili, i nostri fossili, e per quanto rappresentazioni parziali di noi sono molto più intensi rispetto magari delle cartoline che conservavano i nostri nonni. Questo è un argomento che sto sviluppando anche nel film su cui sto attualmente lavorando.

Nel corto vediamo il desktop di Morten in cui sono presenti diverse icone di videogiochi, oltre quelli che vediamo giocare dai protagonisti. Titoli come Night in the Woods, Terraria, Rust, Titanfall 2, Slay the spire, Monster Hunter, For Honor, etc. Queste icone, oltre a dimostrare una passione sincera per il mondo videoludico da parte del protagonista, sono state scelte con qualche criterio?

Non tutte. C’è un forum dove diversi gamer condividono il proprio desktop, e dato che non gioco da un po’, per dargli maggiore realismo sono andato a prendere idee da loro. Ho aggiunto qualche icona, giusto dei giochi presenti nel film e alcune altre cosette, ma di base sono desktop di gamers presi un po’ come stock footage, è un aspetto cyber-documentaristico che gli dà realismo. 

Cosa ti ha convinto a girare il corto all’interno di videogiochi come RDR2 o American Truck Simulator? Il terzo gioco che si vede sinceramente non l’ho riconosciuto.

Si chiama Fireworks Simulator(ride, ndr.), è un giochino super-indie che sta su Steam. Red Dead l’ho scelto perché è bello da vedere, ha una luce davvero molto cinematografica e uno spazio dove gli NPC sono parecchio espressivi, in una maniera strana. Se zoomi abbastanza ti rendi conto che hanno sempre gli occhi storti, le teste inclinate in maniera innaturale e delle movenze che sono quasi da disturbi psicosomatici. 

 Alcune scene di Happy New Year, Jim con al centro gli NPC di Red Dead Redemption II.
Alcune scene di Happy New Year, Jim con al centro gli NPC di Red Dead Redemption II

Hanno una “creepiness” molto particolare: sono super realistici e allo stesso tempo non lo sono e questo li rende molto particolari da osservare, come se fossero delle creature, dei batteri di cui puoi osservare i movimenti al microscopio. 

Per quanto riguarda American Truck Simulator, l’ho inserito perchè mi sembra assurdo che una persona giochi a fare il camionista e invece è un gioco con tantissimi utenti che consumano ore su ore a portare pacchi finti, gratis. Mi ha ricordato quella performance stupenda che è Sometimes Making Something Leads to Nothing di Francis Alÿs. 

La performance, parte di una serie che si chiama Paradossi della Prassi, consiste in questo tipo che trasporta un blocco di ghiaccio per Città del Messico. Dopo 9 ore il blocco è completamente sciolto e il risultato di quello che ha fatto è fondamentalmente niente. 

Penso sia una metafora molto interessante della società di oggi, è esattamente quello che succede quando giochi a Candy Crush consumando la tua dopamina per ammazzare il tempo. Ovviamente questa straordinaria performance si può leggere in tantissimi modi, però oggi abbiamo veramente dei loop molto strani per consumare la nostra quotidianità. La scelta di American Truck Simulator mi sembrava il modo migliore per esprimere tutto questo.

Una delle scene di Happy New Year, Jim girate all'interno di American Truck Simulator
Una delle scene di Happy New Year, Jim girate all’interno di American Truck Simulator

Invece quali sono i vantaggi e gli svantaggi nel girarlo all’interno di un videogioco? Se ti va iniziamo dagli svantaggi.

Soprattutto se non vuoi rompere la quarta parete è molto difficile impostare una cornice narratologica che funzioni, senza disorientare lo spettatore rispetto a dove si trova, chi sta guardando o di chi è il punto di vista. Nel corto quando si salta da una finestra all’altra vediamo le animazioni di Windows, era l’unico modo per non rompere la forte unità spazio-temporale di un evento a cui assistiamo in tempo reale, caratteristica su cui si reggeva tutta la narrazione. Però questo è ovviamente un falso limite, perché dipende da cosa scrivi. 

Il vantaggio invece risiede nella zona grigia in cui si trova in questi casi il diritto d’autore. Le società che sviluppano videogiochi fortunatamente ci lasciano fare questi film senza scocciature. Un po’ come fanno con gli streamer che giocano in live ai loro titoli, e questo ci permette di girare in una scenografia virtuale già pronta, che nel caso di RDR2 è straordinariamente ben curata. 

Realizzare il tutto in animazione sarebbe stato devastante e non avrebbe avuto lo stesso risultato, perché non avrei avuto a disposizione quelle strane animazioni scriptate che portano gli NPC a storcere gli occhi innaturalmente. 

Un'altra scena tratta da Happy New Year, Jim girata dentro Red Dead Redemption II
Un’altra scena tratta da Happy New Year, Jim girata dentro Red Dead Redemption II

Non penso che farò altri film girati nei videogiochi, magari giusto delle sequenze, ma specificatamente girato dentro un videogioco penso sarà il mio primo e ultimo. Alla fine mi è venuto a noia subito. Quando ho fatto vedere questo film a Werner Herzog, lui mi ha detto: it’s very beautiful and clever, but get out of it as quickly as you can!. Obbedisco. 

Infatti mi stavo chiedendo se il tuo prossimo film stesse seguendo le orme di Happy New Year, Jim.

Su alcune tematiche sicuramente, e ci saranno anche delle scene nei videogame, essendo un documentario è un fenomeno che non puoi ignorare. Ormai esiste e si insinuerà prepotentemente sempre di più nelle nostre abitudini. Non inserirlo sarebbe un po’ come dire “non voglio mettere la tv in un film”. 

Nel cinema ci sono state tante immagini con le televisioni accese con i loro contenuti su schermo, in questo momento le immagini di computer accesi con i loro contenuti videoludici non sono nient’altro che la realtà. Secondo me c’è una sorta di reticenza nei registi nell’includere questa roba, anche se in realtà in media gli europei spendono 11 ore a settimana davanti ai videogiochi. Se si vuole essere realistici ormai è dovuto inserire questa tipologia di immagini. 

Ho due domande ora! Come è stata l’esperienza a Cannes? E come sta andando il corto negli altri festival in cui è stato selezionato?

Direi che è andata in maniera molto controversa. Cannes è forse uno dei festival più classisti sulla faccia della terra, appartenendo a una classe sociale bassa non è stato facilissimo convivere con questa sorta di sfarzo perpetuo che poggiava sul nulla. A livello di proiezione è stato pazzesco, avere 800 persone tutte insieme in sala è qualcosa che può accadere soltanto in 2-3 festival al mondo. È stato davvero molto bello e mi ha fatto capire quanto sia potente questo medium quando riesce a radunare tante persone dentro una sala. 

Immagine promozionale del 54° Quinzaine des cinéastes di Cannes 2022
Immagine promozionale del 54° Quinzaine des cinéastes di Cannes 2022

Riguardo agli altri festival, devo dirti la verità… Una cosa su cui rifletto molto ultimamente è l’overdose di competizione che ha colpito il cinema, una competizione molto malsana che crea una sorta di strano baratto nei registi. I festival non pagano i film, soprattutto i cortometraggi, ed è una cosa ridicola perché loro lavorano con il tuo prodotto senza pagarlo, e ti ritrovi a barattare il film con la visibilità che ti offrono. Un baratto esistenziale che trovo parecchio infame. Perché dovrei barattare la mia paura dell’oblio, di sparire, in cambio del mio corto? 

Tolto questo, Happy New Year, Jim ha avuto un successo festivaliero abbastanza unico, credo sia il corto italiano più selezionato in circuiti Oscar/EFA della storia del cinema italiano (11 selezioni). E sinceramente non mi spiego neanche il perché. Ok, è un buon corto, ma al di là della trovata a mio parere ha avuto una risposta forse anche esagerata. Quando vedi accumularsi queste cose ne capisci anche un po’ la vacuità, desideri tanto qualcosa ma poi quando arriva non ti riempie più di tanto. 

È un’esperienza che mi ha aiutato a disintossicarmi dalla voglia di raggiungere certi risultati. Purtroppo c’è questa abitudine nel mettere gli individui in una piramide d’importanza, un’abitudine piuttosto limitante e infame per quanto mi riguarda. Con poche sistemazioni il circuito festivaliero potrebbe essere molto più funzionante. Per esempio, se invece di avere premi da 10.000 euro destinati ad un unico vincitore dividessero la somma per tutti quanti i selezionati, i registi di cortometraggi potrebbero vivere di festival. Sarebbe una soluzione facilissima da attuare. 

Scena tratta dal trailer di Happy New Year, Jim
Scena tratta dal trailer di Happy New Year, Jim

Mentre per i lunghi ti pagano tutti la screening fee e quindi tu incassi qualcosa quando proiettano il tuo lavoro, nei corti prendi l’aereo, vai lì a presentare il tuo film e paghi tutto tu. Non solo il viaggio è già una spesa non indifferente, ma bisogna considerare anche i vestiti, perchè non è che puoi andare a Cannes in ciabatte. È un baratto strano e molto sbilanciato. Non mi va di credere nel mio valore solo in base ai festival che mi selezionano. 

Ci saranno occasioni in futuro per vedere Happy New Year, Jim in Italia?

La prima italiana sarà al Filmmaker Festival il 21 novembre a Milano. Troverete maggiori dettagli sul loro sito web. Seguiranno poi altri festival che non posso ancora annunciare.

Ti va di consigliare qualche film o videogioco ai lettori di Player.it?

Oddio, sui videogiochi non so se sono adatto, perché quasi non ci gioco più. Però ci sono dei film un po’ legati a questo mondo che mi sono piaciuti molto. Uno s’intitola All Light, Everywhere ed è un documentario che attraversa  i tanti aspetti della luce e come entra nelle nostre vite, molto interessante e bello da vedere. 

Frame tratto da  A Glitch in the Matrix.
Frame tratto da A Glitch in the Matrix

C’è ne è un altro che mi è piaciuto molto che si chiama A Glitch in the Matrix, parla delle teorie della simulazione intervistando un sacco di gente che crede di vivere in una simulazione tecnologica, e rientra in quel mondo dove il virtuale interagisce con il reale in maniera un po’ creepy. 

C’è anche un film su Netflix molto bello che si chiama The Social Dilemma, è il classico talking-heads con le interviste dalla forma molto banale, ma è incentrato tutto su figure importanti che si sono dimesse dalle grandi aziende di social media e che spiegano come queste società capitalizzano la nostra attenzione. Lottano nel mercato con il tuo tempo libero, cercando di rosicchiarlo il più possibile: è una cosa che trovo proprio cattiva e che puoi percepire in maniera piuttosto automatica semplicemente utilizzando queste applicazioni. 

Invece qual è l’ultimo videogioco su cui hai messo le mani?

Io gioco principalmente a giochi vecchi, quelli che facevo da bambino, e ora sto giocando a Gothic 2. Mi piacciono molto questi giochi fantasy tutti squadrettati, anche perchè prima erano parecchio difficili, non c’erano bussole e non sapevi dove andare, infatti il mio gioco preferito è Morrowind (The Elder Scrolls III). Avendo delle grafiche molto minimal, low poly, la fantasia entra in gioco ed è come se completassi tu quello che manca, sensazione che con l’avvento dell’iper-realismo è venuta a mancare.

Screen tratto dal videogioco preferito di Andrea Gatopoulos: The Elder Scrolls III: Morrowind.
Screen tratto dal videogioco preferito di Andrea Gatopoulos: The Elder Scrolls III: Morrowind

Ultima domanda, cosa ne pensi dell’influenza a catena che si sta creando tra cinema e videogiochi?

La trovo interessante, per fare un parallelismo secondo me è molto simile all’influenza avvenuta con l’avvento di internet, al di là dei videogame. Internet ha portato non solo la sua estetica nel cinema ma anche i suoi argomenti. Sicuramente il cinema si ritroverà nei prossimi anni anche a lottare con i videogiochi, per contendersi gli utenti. E magari non subito, ma tra qualche anno anche il videogioco, a sua volta, si ritroverà a lottare con qualche altro medium ancora più potente. Ora giocano sullo stesso territorio, quello del tempo libero, e magari non si contendono il tempo con il tennis, ma quando si torna a casa dal lavoro nello stesso range di attività e tempo ci sono cinema e videogame. 

Tornando più sulla domanda, una coesistenza dei due può essere sicuramente interessante, però tipo gli esperimenti di Netflix con i film interattivi li trovo davvero idioti, una cosa da boomer. Il cinema rimarrà cinema e le persone continueranno a guardarlo per quello che è: un’esperienza visiva che ti fai somministrare.  

Andrea Gatopoulos al Talent Demo organizzato dall'International Film Festival Toruń
Andrea Gatopoulos al Talent Demo organizzato dall’International Film Festival Toruń

Oggi gli spettatori sono aumentati tantissimo, solo che non vanno in sala, ma se contiamo quanti film guarda una persona in media sono tipo 10 volte rispetto a quelli di 5 anni fa. La domanda dell’audiovisivo è aumentata a dismisura, proprio come è aumentata quella dei videogiochi. La gente si sta immergendo molto negli schermi e questo è un po’ allarmante ma è anche qualcosa con cui faranno i conti entrambi i medium.

Grazie Andrea per il tempo che ci hai concesso, è stata davvero una piacevole e interessantissima chiacchierata. Non vedo l’ora di vedere il prossimo film a cui stai lavorando! Un saluto e buona fortuna per tutto, anche se sono sicuro che non ne avrai bisogno.  

Grazie mille a te a tutta la redazione di Player.it per avermi invitato e per avermi concesso tutto questo spazio! E grazie a chi vorrà leggere la nostra intervista!