Dialect | Recensione: un GDR atipico sulla nascita e la morte di un linguaggio

Manuale di Dialect adagiato su un tavolo gremito di carte del gioco, con un portamazzo aperto che lascia uscire i dorsi di altre carte.
Dialect | Recensione: un GDR atipico sulla nascita e la morte di un linguaggio - Player.it

Tra le diverse vicissitudini vissute da Player.it nel corso del tempo, quando la nostra sezione GDR è venuta meno anni fa si erano un po’ persi i contatti con diversi editori, e solo alcuni siamo riusciti a recuperarli in quest’ultimo periodo.

Faccio questa premessa perché spiegarvi come mai vi stiamo parlando di Dialect, GDR masterless portato in Italia intorno al 2019 da Narrattiva. C’entra una chiacchierata avuta con Narrattiva prima del PLAY 2025 di Bologna:

Io: Di solito recensiamo solo le novità perché già ci riesce difficile giocare anche i GDR che compriamo di tasca nostra…
Narrattiva: Dai, vi prepariamo un po’ di GDR da recuperare! Magari preferite GDR più corti?
Io: Mah… A questo punto non è importante la durata. Ci interessa che siano pazzi.

Ecco, Dialect è esattamente questo: pazzo. Un’idea matta che riesce a raccontare in una singola sessione one-shot la nascita e la morte di una comunità isolata, assieme al suo linguaggio. Qualcosa che è impossibile non raccontarvi su queste pagine dopo averlo giocato. E il tutto accade senza troppe meccaniche e senza dadi: bastano dei post-it e il mazzo di carte fornito dal gioco.

Dialect: il lessico segreto delle comunità perdute

La prima cosa che ho pensato dopo aver sentito parlare di Dialect era che fosse un’idea bizzarra, sicuramente da provare, ma che sarebbe stata difficile da associare a un Gioco di Ruolo. Gli stessi autori parlano di storygame, traducibile come gioco-storia o più semplicemente gioco narrativo. Ma devo ammettere che dopo una manciata di partite, sono qui a smentire me stesso e loro: si ruola, e lo si fa fortissimo.

L’idea di un gioco narrativo basato interamente sul creare un linguaggio mi ha intrigato fin da subito, tant’è che la prima cosa che ho fatto, manuale alla mano, è stata cercare di capire come sia stata partorita un’idea simile. La colpa è dello studio indie statunitense Thorny Games di Kathryn Hymes e Hakan Seyalioglu, gente che di suo è già fissata con il linguaggio tanto da creare diversi giochi a tema.

Dialect, infatti, fa parte – al momento – di un trittico di giochi basati proprio sulle lingue, assieme al gioco da tavolo Xenolanguage (Edito da Cranio Creations in Italia) e al LARP Segni (edito da Narrattiva in Italia).

Il manuale si presenta in un bianco elegante, alternato di tanto in tanto con pagine interamente nere o qualche illustrazione caratteristica. Non ho apprezzato particolarmente la copertina, poco leggibile e anche poco evocativa secondo i miei gusti (all’interno ci sono illustrazioni di gran lunga più belle), ma in generale tutto il manuale spiega per bene le modalità di gioco e offre anche spunti su come creare parole.

Illustrazione all'interno del manuale di Dialect che illustra come preparare il tavolo da gioco dividendolo in 3 aree concentriche.

Per giocarci, è sufficiente aggiungere al tavolo carta, penna, le carte di Dialect e ovviamente un briciolo di fantasia. Le carte regolano la casualità degli spunti che i giocatori, di turno in turno, utilizzeranno per forgiare il proprio linguaggio e mettere in scena una vera e propria storia con un inizio e una fine. In più, il manuale offre delle domande guida e tabelle di confronto che aiutano a forgiare di volta in volta lo scenario di gioco.

Dialect è pensato per partite da 3 a 5 giocatori, per sessioni singole da circa 3-4 ore. Idealmente, ogni partita è un’avventura a sé stante divisa in 3 Epoche, ma prima vi è una mezzoretta di confabulazioni per stabilire lo scenario di gioco, rispondendo alle domande del manuale e creando i propri personaggi. L’edizione che ci ha fornito Narrattiva, la terza ristampa, prevede 4 scenari classici e una decina di scenari aggiuntivi creati da altri autori, tra cui figura, per esempio, anche gente come Jason Morningstar (autore di Fiasco con cui abbiamo giocato al PLAY di Bologna).

Gli scenari, ovviamene, riguardano tutti degli isolamenti temporanei che coinvolgeranno una piccola comunità: da coloni su Marte a rifugiati dalla peste nel passato, fino a comunità queer autogestite nel presente, passando per branchi di lupi e collettivi di macchine… Insomma, vi è davvero l’imbarazzo della scelta.

Scenari di gioco aggiuntivi riassunti nel manuale di Dialect

Dopo aver stabilito lo scenario e aver posto i suoi 3 Aspetti principali in dei post-it al centro del tavolo, ai giocatori vengono distribuite le Carte Archetipo che determineranno la creazione dei propri personaggi. Dopodiché, si parte con la narrazione: ogni giocatore ha delle Carte Storia che può usare come Spunti da giocare sugli Aspetti al centro del tavolo. Da qui, nasceranno discussioni tra i giocatori che daranno vita a una parola.

Dalle parole si passa ai fatti: si recita una scena in cui utilizzare la parola. Va da sé che col passare del tempo ci saranno sempre più parole con cui arricchire le ruolate, creando in questa maniera un linguaggio sempre più forbito man mano che si delinea una vera e propria storia della comunità inscenata sul tavolo. Preferisco, però, raccontarvi meglio l’esperienza di Dialect attraverso due giocate che ho effettuato.

Operazione Soil: l’isolamento e l’alienazione degli scienziati su Marte

In questa sessione abbiamo giocato online utilizzando la piattaforma Miro, una lavagna virtuale ideale per partite piene di post-it a distanza. Abbiamo scelto come scenario L’Avamposto, ambientato in un vicino futuro dove l’umanità ha appena iniziato la colonizzazione su Marte. Per un motivo ignoto in quel momento a noi giocatori, le comunicazioni con la Terra si sono improvvisamente interrotte per un numero ragguardevole di anni. Da qui, arriva l’isolamento della comunità di coloni marziani.

Abbiamo stabilito che la nostra comunità, l’Operazione Soil, era composta in larghissima parte di scienziati, inviati con le proprio navi-capsule abitative in posti sparsi della superficie di Marte per iniziare le operazioni di ricerca e colonizzazione del territorio. Si trattavano, quindi, di piccole comunità già isolate tra loro, connesse virtualmente solo dall’InterMars, un intranet marziano, prima che le comunicazioni con la Terra svanissero nel nulla.

Per questo motivo abbiamo stabilito che gli Aspetti iniziali della nostra comunità fossero la Ricerca Scientifica, l’InterMars e l’Alienazione. I personaggi in gioco erano un Esploratore di nome Duna Brozovic, alla ricerca del guasto che ha tagliato le comunicazioni con la Terra, una IA autoritaria di nome Friday che gestiva la vita e i database degli scienziati attraverso l’InterMars, e un Parassita sfaticato di nome Josè Ortega, capace di recuperare le risorse di turno con i suoi metodi anticonvenzionali.

Nel corso delle giocate sono nate parole evocative legate ai diversi aspetti della nostra cultura, come per esempio la parola Annobel (Si pronuncia con l’accento sulla o), contrazione di una frase tipica di questi scienziati che originariamente era “Che la tua ricerca ti porti al Nobel“, poi abbreviata in un semplice “Al Nobel“. Annobel è diventato poi un generico augurio di buona fortuna, ma anche una parola comune per ringraziare o salutarsi.

Tavolo di gioco virtuale di Dialect realizzato sulla lavagna virtuale di Miro, con post-it adagiati tra le epoche disegnate da 3 cerchi concentrici.

Nel passaggio tra le epoche di gioco, alcuni aspetti della comunità sono iniziati a cambiare proprio in vista della fine dell’isolamento: sono riprese le comunicazioni con la Terra che a quanto pare erano sparite per dissidi nazionalisti e una guerra mondiale, e si apprende l’arrivo di nuovi coloni nei prossimi anni.

Questo avvenimento ha gettato incertezza tra gli scienziati dell’Operazione Soil, non sapendo cosa aspettarsi dai cambi di governo terrestri, e per questo sono cominciate a sorgere divisioni interne, con interi gruppi di scienziati pessimisti nei confronti dei nuovi coloni in arrivo, intenti a boicottare le ricerche della frangia più ottimista.

È nata così la parola Duston, tra le tante, una contrazione di “Dust On“, in riferimento alla polvere, alla sabbia di Marte che insabbia le ricerche. Duston ha cominciato a significare tanto il verbo boicottare e insabbiare, quanto il termine oppositore.

In tutto questo contesto di parole che nascono e si modificano, le scenette improvvisate da noi hanno cominciato a delineare una storia anche abbastanza intima e struggente, dove in particolare Duna e José hanno cominciato a collaborare, prima con riluttanza, poi con sempre più affiatamento, per cercare di risolvere i guasti alle comunicazioni, scoprendo entrambi di essere diventati Peerie: un’altra parola inventata in gioco che significa essere “amici fidati“, derivante dalla pratica peer-to-peer delle ricerche scientifiche, ora più che mai centrale nella comunità marziana, date le divisioni.

Carte Storia, ideali per creare Concetti e di conseguenza Parole nel GDR Dialect

Alla fine, con l’arrivo dei nuovi coloni e la moltiplicazione delle persone sulla superficie di Marte, l’Operazione Soil ha perso sempre più i connotati di un isolamento, diventando una comunità vera e propria… Ma mineraria. I dissidenti, o meglio, i Duston, in fin dei conti avevano ragione: i nuovi coloni non sono venuti a salvare la comunità dell’Operazione Soil, ma a schiavizzarla al servizio delle corporazioni minerarie inviate su Marte.

Le restrizioni del nuovo regime e il passaggio del tempo hanno reso desuete – per non dire cringe – parole come Peerie, nonché tabù parole come Duston, ma altre come Annobel e Arest (un tipo di riposo senza sogni che è tipico di Marte, formato dalla parola inglese per riposo, “rest“, e l’affisso privativo “a-“), sono diventate gergo comune della nuova comunità distopica marziana.

A fine partita, riflettendo sulle giocate, abbiamo realizzato di esserci comportati da scienziati snob chiusi nelle proprie torri d’avorio virtuali, incapaci di vedere il pericolo oppressivo in arrivo e di difendere la nostra comunità. Siamo diventati il PD di Marte.

Il Gancio: contrabbando e violenza organizzata a Port Royale nel 1800

Se la partita su Marte è stata molto intima, poetica e disfattista, l’esperienza avuta con un altro scenario, Parole nel Buio è stata un’esperienza molto più caciarona, ricca di risate e momenti esilaranti, ma non per questo meno evocativa.

Lo scenario imponeva di essere una banda criminale che comunicava in segreto tra i moli di un porto del 1834, noi abbiamo scelto di essere una gang violenta di Port Royale, in Giamaica, chiamata “Il Gancio“, dedita a contrabbando e lotta libera per divertissement, il cui scopo ultimo era rovesciare il potere del governatore giamaicano per assestarsi al comando dell’isola.

Al tavolo eravamo il Mago, il Nizzardo, un signorotto emigrato da Nizza, mente criminale dietro l’organizzazione e padrone del bordello La Mazzancolla Spiaggiata di cui eravamo clienti abituali, il Ratto, un contrabbandiere parassita e allibratore delle scommesse, l’Argano, celebrità ed energumeno temuto del Gancio, addetto alle mazzate, e McGuffin, giullare, un irlandese che sull’isola si è reinventato come presentatore di incontri di lotta tanto quanti di… incontri romantici.

Carta Archetipo "Giullare" di Dialect su un tavolo da gioco, attorniata da opst-it

Con un’organizzazione così colorita, è stato sintomatico creare parole altrettanto stravaganti, cafone ma efficaci nel contesto. Per esempio, giocando la carta Nuovo Rituale sull’Aspetto Violenza Organizzata abbiamo creato la parola Glassic, un incrocio tra Glass (bicchiere) e Classic (classico) per identificare un tipo di rissa per cui il Gancio è diventato famoso: spaccare i bicchieri in faccia alle persone.

Da Glassic è nata anche la parola Glassato, dapprima per indicare una persona sfregiata dai vetri di un bicchiere durante i Glassic, poi per indicare in senso lato un morto. Infine, durante la nostra epoca finale, il termine ha ristretto di nuovo il suo significato, andando a identificare i soli morti nelle lotte clandestine organizzate dal Gancio.

Dall’Aspetto del contrabbando, invece, è nata la parola Docko, una storpiatura del termine dock, “molo”, che indica, per estensione, un turno di 10 ore al molo come scaricatore di porto. Nella nostra organizzazione isolata, il Docko è diventato unità di misura per il tempo e per il salario, oltre a diventare anche il termine di riferimento per “lavoro”.

Col passare delle epoche, l’isolamento dal resto della comunità ha cominciato a venire meno: il Gancio si è alleato con una gang rivale rastafariana per produrre quantità esorbitanti di rum attraverso la creazione in comune di una grande distilleria, facendo diventare gli esponenti della banda criminale sempre più ricchi fino a soppiantare il governatore locale e insediarsi al suo posto.

Un caotico tavolo da gioco di Dialect, ricco di post-it e bevande consumate
Tavolo di gioco molto caotico per una sessione di Dialect molto caotica

In questo contesto, mentre si cercava di collaborare coi rivali di sempre all’interno della distilleria, è nata la parola Drippare, dal gocciolio dei fluidi nello stabile, per indicare l’attesa e la pazienza che, goccia dopo goccia, si deposita fino a formare un bel bicchiere pieno. A fine partita, Port Royale ne è uscita trasformata con noi e con il nostro linguaggio, diventando un centro di smistamento alcolico importante e perdendo per sempre la sua criminalità violenta.

Per tutta la partita hanno fatto da cornice le nostre ruolate tra scenette di affidamento di lavori loschi, risse e persone glassate. Le giocate hanno dato luogo a conversazioni esilaranti ma anche momenti toccanti, con i termini da noi inventati che hanno arricchito di senso e di significato ogni momento, dal più stupido al più poetico… producendo anche massime e proverbi come il seguente:

Chi non drippa, non docka
Il Ratto, Port Royale, 1834

Inventare parole per scoprire sé stessi: giocare a Dialect

Di tutto quello che ho esperito dalle mie partite a Dialect è stato impressionante come con così poche meccaniche e in così poco tempo, si sia riusciti a inscenare una storia completa, ricca di vicissitudini, colpi di scena e momenti di tutti i tipi, in grado di toccare qualsiasi punto della sfera emotiva.

Tra le tante cose che mi hanno colpito del gioco, impazzisco per il fatto che l’intero game design di Dialect riesca a comunicare un messaggio tanto semplice quanto potente e rivelativo: la lingua non è solo un sistema di comunicazione, ma è identità, cultura e appartenenza. Farselo dire da un GDR è pura poesia.

Dall’invenzione di parole legate ad aspetti sono scaturite giocate epiche, grazie alla fantasia dei giocatori ma soprattutto grazie agli spunti offerti dalle carte stesse. Ogni carta Storia, per esempio, può avere anche più modi di lasciar agire il giocatore nella creazione di parole, e offre anche una direttiva per le scene da portare al tavolo.

Carte Azione, utilizzabili per modificare Concetti e Parole già esistenti in gioco in Dialect
Inventare parole per scoprire sé stessi: giocare a Dialect – Player.it

Alcune Carte Storia, denominate Azioni, permettono anche e soprattutto di influire su parole già esistenti, o addirittura sugli altri giocatori. Nella giocata su Marte, per esempio, abbiamo fatto diventare desueta la parola Peerie tramite una di queste carte, mentre a Port Royale un giocatore ha cambiato il soprannome del giocatore Il Ratto in Il Presutt.

Si tratta di un termine dialettale napoletano per indicare Prosciutto, in riferimento a una persona credulona, perché in una scena precedente il Ratto si era fidato del piano di un signore del crimine che sembrava troppo inverosimile – e infatti è andato male. Nel contesto della giocata, però, Presutt è stata presentata come una storpiatura di Pursued, termine inglese per perseguito, che stava anche benone nel contesto del piano fallito per colpa di un chiacchierone.

In entrambe le partite, i linguaggi che abbiamo inventato hanno continuato a persistere anche fuori da Dialect. Spesso ci salutiamo con un Annobel o parliamo di Docki per riferirci a spostamenti temporali o a situazioni lavorative. Credo sia impossibile non alzarsi da un tavolo di Dialect senza portarsi dentro l’esperienza appena vissuta, in parole ed emozioni.

Una lingua da inventare, una storia da vivere

Dialect è un GDR o gioco narrativo, a seconda di come vogliate chiamarlo, che con poche regole e tanta immaginazione riesce a costruire mondi vividi e linguaggi che sembrano respirare da soli. Dialect è un invito a raccontare storie intime e potenti attraverso la generazione di parole, quelle inventate e quelle che ci inventano come persone. Se cercate qualcosa che esca dagli schemi tradizionali e che vi lasci addosso un senso dolceamaro di nostalgia per una comunità mai esistita, Dialect è senza ombra di dubbio una di quelle follie da provare almeno una volta.