Più la potenza dei processori che sfruttano l’IA aumenta, più sarà necessario creare nuovi meccanismi di raffreddamento, sempre più performanti. Questi peculiari blocchi d’acqua, potrebbero essere la risposta.
L’incedere delle intelligenze artificiali, la vera tecnologia identitaria dei nostri anni, pare inevitabilmente legata all’acqua. Già mesi fa, si parlava di come, per ottenere una computazione tramite IA testuale (banalmente, far scrivere una mail a ChatGPT), fosse necessario un quantitativo d’acqua non indifferente, per riuscire a raffreddare i server entro cui i computer che controllavano le IA lavoravano.

Non è poi così difficile immaginare che, da una dimensione “macro” si possa passare a una “micro”, più casalinga ma non per questo meno bisognosa di acqua e di refrigerazione sempre più potente e performante. D’altronde, fino a pochi anni fa, CPU e GPU riuscivano a funzionare anche con un utilizzo contenuto di energia, mentre oggi, anche per via dell’integrazione di IA nei processori, la richiesta di energia da produrre e quindi da calore da dissipare, è aumentata a dismisura. E di conseguenza, nuove tecnologie stanno nascendo.
Il nuovo sistema di Alloy Enterprises
Proprio per andare incontro alle sfide del futuro, sono diverse le aziende che stanno cercando nuovi e fantasiosi metodi per creare prodotti abbastanza facili da fabbricare e altrettanto funzionali. Uno degli esempi migliori, arriva proprio da Alloy Enterprises, che negli ultimi tempi, ha sperimentato delle nuove lastre di liquido, pensate appositamente per il super chip AI di Nvidia, l’H100.
A rendere interessante il tutto, è il processo con cui le piastre sono state ottenute. I “blocchi d’acqua” o piastre che dir si voglia, solitamente vengono realizzati tramite la macinazione di diversi ciocchi di metallo che vengono imbullonati tra loro, fino a creare una sorta di camera. L’idea di Alloy invece, richiedeva una modellazione precisa, per cui si sono avvalsi di nTop, che sfrutta i più recenti software di modellazione.

Tramite nTop, hanno dunque progettato la forma e il percorso che il liquido avrebbe dovuto seguire. Alloy ha dunque proceduto a creare una versione in 3D dell’intero progetto. Il problema nasceva però dai limiti delle stampe 3D: non si poteva costruire il modello come un unico blocco. Sono stati dunque creati vari strati, poi intagliati al laser.
Dopodiché, i fogliettini ottenuti, venivano trattati e sottoposti a un processo che avrebbe dovuto unirli. Applicando un importante quantità di calore e di pressione, per un periodo prolungato di tempo, i vari strati hanno finito per fondersi tra loro fino a formarsi un unico, inestricabile blocco di metallo. Quella di Aloy non è certo l’unica soluzione, attualmente, in sperimentazione ma di certo, è quella più fantasiosa. Sarà però sostenibile nel lungo periodo?
