Negli USA nasce un Social davvero innovativo | Lo amerete se giocate a carte

claim social network

Un po’ gioco di carte, un po’ social network ecco Claim, un’idea che porta la gamification nello shopping e che ha il potenziale per incasinare ulteriormente le abitudini di noi consumatori.

Un po’ piattaforma un po’ social network, Claim è un nome che difficilmente sentiremo molto circolare in Europa ma che ha le potenzialità per portare qualcosa di “vagamente” nuovo all’interno dell’inflazionato panorama delle piattaforme internettiane.

La start up in questione ha anche ottenuto 4 milioni di dollari in finanziamenti da parte di Sequoia Capital e con questi cercherà di portare avanti la sua mission: rendere la pratica dello shopping divertente e sociale, premiandola nel contempo.

Lanciata durane il corso di gennaio con un sistema a inviti,e unicamente per gli studenti di Boston, Claim è riuscita ad arrivare sana e salva fino alla fine dell’anno grazie a un buon successo (oltre che alla vittoria del solito giro di investimenti con qualche fondo di dimensioni colossali)..

Vediamo più nello specifico di che si tratta.

Cos’è Claim?

Fondata dal CEO Sam Obletz e dal CTO Tap Stephenson durante il corso di Novembre 2021, Claim permette agli utenti e al loro “circolo sociale” di ottenere sotto forma di cashback tutta una serie di premi da poi utilizzare “nel mondo reale” per riscattare ulteriori prodotti. La piattaforma, a differenza di tanti altri nomi che hanno effettivamente già provato la strada della gamificazione del commercio si concentra nell’ offrire premi e ricompense realistiche, unendo a esperienze sociali rilevanti.

CEO e CTO si sono incontrati durante il loro percorso di studio a Yale e hanno insieme forgiato l’idea alla base di Claim durante il successivo percorso alla business chool di Harvard. 

“Quando abbiamo iniziato a ragionare su Claim ci siamo interrogati sul significato di possedere qualcosa in digitale. Abbiamo visto che il web3 iniziava a creare infrastrutture per questo genere di ragionamenti, abbiamo visto il mondo dello sport iniziare a parlare di oggetti da collezione digitali; tutti esempi tangibili di possedere qualcosa in forma digitale senza però avere una struttura generale a cui appoggiarsi. Per questo motivo ci siamo iniziati a chiedere se esistesse una maniera per rimuovere qualsiasi genere di frizione dal possesso online di qualcosa ed è proprio per rispondere a questa domanda che abbiamo iniziato a creare le basi di Claim.

Gotta redeem them all

Tutto è iniziato, in sostanza, con l’idea di una piattaforma dove è possibile guadagnare ricompense utilizzabili nel mondo reale e direttamente collegata alla stessa carta di credito con cui vengono effettuati gli acquisti. L’idea “interessante” è stata poi quella di spostare il focus delle ricompense sulla socialità, spingendo le persone a utilizzarle in compagnia dei propri amici e di creare un “mercato interno” per cui è possibile scambiare tutto con i propri amici. La somma di queste caratteristiche è stato ciò che ha spinto CEO e CTO a capire di poter strutturare ulteriormente la loro esperienze, vista l’assenza di altre proposte di questo genere in circolazione.

Quello che Claim fa, in sostanza, è quello di portare ai consumatori un nuovo genere di esperienza ispirandosi al mondo delle carte collezionabili collegate, però, ai brand realmente esistenti. Pensate a Magic The Gathering per Nike e Adidas e sarete di un pelo più vicini alla realtà.

Se amate un marchio e avete un amico che non lo conosce minimamente, potete regalargli una delle ricompense da riscattare poi direttamente in negozio; le ricompense sono scambiabili o sono esperibili in compagnia, così da ottenere ulteriori ricompense attraverso condizioni di riscatto specifiche, esattamente come nei videogiochi. A questo Claim ha aggiunto poi altre “meccaniche” che sono radicate nel mondo reale, come i drop limitati del mondo streetwear che permettono a determinate ricompense di spawnare rispettando condizioni particolarmente stringenti e soltanto in quantità limitate, generando quindi un mercato secondario che porta ad altro valore. 

Per l’utenza ma anche e sopratutto per le aziende

Claim Social Network

Claim in sostanza si presenta di per sé come una piattaforma, un servizio, che è di beneficio nei confronti dei consumatori ma, in realtà, prevede di fare grandi soldi attraverso la soluzione a un problema: quello della saturazione del mercato della pubblicità. L’azienda, infatti, ha la possibilità di offrire nuovi funnel per marketers e marchi di raggiungere i consumatori senza per forza di cose dover passare attraverso il classico bombardamento di pubblicità attraverso piattaforme come Google, YouTube, Instagram e così via. 

Attraverso il sistema di ricompense, i consumatori possono scoprire nuovi marchi in maniera del tutto sociale e secondo le proiezioni questo genere di pratica è potenzialmente molto più efficace nella conversione dei “metodi tradizionali”. L’idea sembra venir anche apprezzata da molte grande compagnie, specie americane: Claim, infatti, può vantare collaborazioni con diversi nomi delle Fortune 500 ma anche con attività locali. 

I risultati derivanti dalle prime analisi sono promettenti, con tempi per acquisizione clienti dimezzata o percentuali di reiterazioni dell’acquisto aumentate di più di un terzo.

La Gen Z è stanca delle pubblicità tradizionali

Claim, al momento, si sta concentrando nell’avere un utenza quanto più possibile assimilabile alla demografica della Gen Z per delle motivazioni molto semplici: è molto probabile che questo genere di utenza sia già stanca dei metodi pubblicitari tradizionali e dia molto più valore delle altre a concetti come l’autenticità.

Prima di proseguire in un espansione di carattere “nazionale” Claim vuole continuare a concentrarsi sull’area di Boston per capire se è effettivamente possibile scalare in qualche maniera; i finanziamenti ottenuti dai fondi dedicati serviranno all’azienda per ingrandirsi e passare da un team di otto persone a uno molto più grande durante il corso del prossimo anno, iniziando anche ad utilizzare un approccio “ingegneristico” alla questione durante il corso dei prossimi anni, necessario per espandersi in nuovi mercati.

Restano, chiaramente, dei dubbi di carattere etico che è possibile sollevare nei confronti di questo genere di pratica: abbiamo davvero bisogno di continuare ad aumentare i consumi in un mondo già bulimico di prodotti, che non fa altro che vomitare addosso al consumatore un quantitativo esorbitante di cose di cui non ha realmente bisogno?

Probabilmente lo scopriremo durante il corso dei prossimi anni.