Spotify dice basta al rumore bianco e agli streaming fasulli: più soldi per gli artisti veri

Spotify contro il white noise

Secondo Spotify grazie al nuovo sistema per la spartizione dei diritti d’autore nel corso dei prossimi cinque anni gli artisti finiranno per ricevere fino a un miliardo di dollari in più in ricavi.

Nel mondo dello streaming audio ci sono diversi nomi ma nessuno ha la fetta di mercato che può vantare Spotify, per molti un compagno inseparabile nelle giornate di pioggia, di sole e in generale nella vita. Le motivazioni sono presto dette: quanto è più comodo poter ascoltare quello che si vuole quando si vuole senza limitazioni di alcun tipo se non quelle dettate dalla propria connessione a internet?

Per gli artisti, però, il discorso leggermente diverso: Spotify non sembra pagare granché, e anzi, nel corso degli ultimi due anni ha dimostrato di avere diversi cavilli che permettono ad affaristi sconsiderati di sfruttare delle debolezze della piattaforma per accumulare sempre più denaro.

Per ovviare a questo problema è arrivato finalmente un cambio di normativa legato alla ripartizione delle royalties che, a detta di Spotify stessa e dei suoi portavoce, farà guadagnare fino a un miliardo di dollari in più agli artisti più popolari nel corso dei prossimi cinque anni, portando più soldi nelle casse di etichette discografiche e musicisti.

Secondo quanto dichiarato dalla compagnia, le modifiche da lei apportate al modello di retribuzione farà guadagnare di più all’azienda bensì ridistribuirà in maniera vantaggiosa per grandi artisti e grandi etichette dei ricavi. 

Questi saranno tolti a due tipologie di contenuti presenti sulla piattaforma: le canzoni che finivano al centro di pratiche di streaming artificiale e le canzoni all’interno di categorie come il rumore bianco che intasavano le playlist degli appassionati ASMR. 

Oltre a questo la compagnia ha spiegato che alzerà le soglie minime di parametri da soddisfare per poter ricevere pagamenti legati alla musica da ascoltare. Secondo la compagnia soltanto in questa maniera sarà possibile riottenere decine di milioni di dollari invece di distribuirli attraverso micropagamenti che si possono contare nell’ordine dei centesimi o del dollaro. 

Punto primo: redistribuire i ricavi

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A favore di questa scelta ci sono i dati: sulla piattaforma complessivamente ci sono circa 100 milioni di canzoni; di queste decine di milioni sono state riprodotte tra l’1 e le 1000 volte durante il corso dei passati anni, generando in media ricavi nell’ordine dei tre centesimi di dollaro per mese. Stavolta sarà necessario raggiungere almeno 1000 stream durante il corso dei precedenti 12 mesi per poter ottenere, a partire dall’anno successi, ricavi derivanti dal diritto d’autore.

Dietro questa scelta, apparentemente impopolare dal punto di vista del musicista, ci sono motivazioni di carattere pragmatico legate al funzionamento dell’industria musicale. I distributori musicali e le etichette, solitamente, richiedono a chi crea la musica di prelevare un importo minimo; la transazione poi passa nelle mani delle banche che, per funzionare, applicano i loro costi; questo significa che i musicisti dagli importi minori vedono sostanzialmente buona parte dei soldi guadagnati con la musica semplicemente non arrivare loro.  Sempre nel loro blogpost si legge che la somma di tutti questi pagamenti, una volta aggregati, si aggirano intorno ai quaranta milioni di dollaro per anno.

Poiché la stragrande maggioranza delle canzoni presenti su spotify supera le 1000 stream annuali, con questo metodo è possibile permettere agli artisti con un minimo di successo di guadagnare di più.

Non solo redistribuzione dei ricavi ma anche lotta attiva alle pratiche scorrette.

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Le playlist ufficiali di Spotify anche oggi fortunatamente saltano a pié pari il problema della durata delle canzoni

Spotify attraverso questa tecnica vuole anche limitare una pratica da sempre poco apprezzata: la possibilità di generare centesimi da moltiplicare per migliaia e migliaia di canzoni, riprodotte poco (ma costantemente e in maniera artificiale), abbastanza da generare dei ricavi in maniera illegittima. Questi streaming artificiali attraverso l’aumento della soglia minima per il pagamento verrebbero sostanzialmente resi inutili.

Non è tutto: per ovviare ulteriormente a questo problema e rendere la pratica fraudolenta ancora più difficile da portare a termine, Spotify potrà sostanzialmente multare etichette e distributori se ci sono solide basi per portare avanti accuse di utilizzo di strategie fraudolente.

C’è poi tutto l’universo del mondo ASMR, che è lo specchietto per le allodole dietro cui si nascondono degli affaristi con scarso senso etico. Per massimizzare i ricavi questi non fanno altro che generare tantissimi brani, anche di pochi secondi; Spotify per cercare di ovviare al problema vuole obbligare questi creatori a uploadare canzoni che durano minimo due minuti, riducendo il quantitativo di ricavi che è possibile generare con questa tecnica.

Un futuro complesso e ancora incerto

I musicisti che non sopportano le canzoni lunghe, però, non si devono preoccupare: Spotify considera il rumore bianco un tipo di contenuto staccato dalla musica canonica, motivo per cui i Napalm Death, le scene Grindcore, Goregrind, Cybergrind o tutta la musica un po’ zoomer che tende a essere più corta di quanto canonicamente intendiamo è al sicuro.

Restano comunque molti dubbi al riguardo: il primo è legato a quanto poco effettivamente pagherà Spotify anche dopo questa redistribuzione dei profitti; il secondo è invece legato a quanto potrà fare tira e molla con i vari enti statali per la gestione del diritto d’autore, visto che molto recentemente la piattaforma ha dichiarato di non poter più funzionare in maniera finanziariamente sostenibile all’interno, ad esempio, del territorio dell’Uruguay.

Certo, la situazione è un po’ più complessa di così (vi rimandiamo all’ottimo articolo del sempre ottimo Post sul tema) ma il cardine del discorso rimane attivo: per vivere di musica nel 2023 è necessario fare centinaia di migliaia di streaming al giorno, fare tour lunghissimi e massacranti o sperare in una migliore redistribuzione degli utili? Ai posteri l’ardua sentenza.