Il fenomeno dei “demake” spiegato bene – #Glossary

In un mondo in cui la tecnologia avanza rapidamente, è facile dimenticare tempi più “umili” in cui le console per videogiochi non erano ancora oggetti di consumo per la massa e i computer erano accrocchi dalle dimensioni disumane e dalle prestazioni che oggi risulterebbero risibili. Non da poco c’è stata una rinascita dell’interesse per ciò che fu, attenzione che si traduce nel retrogaming, un costume più ampio di quanto si possa immaginare. Rientra nel concetto di retrogaming, infatti, anche uno dei fenomeni più recenti che guardano al passato: quello dei “demake”, ovvero giochi moderni che ritornano alle origini traendo ispirazione da tecnologie più vecchie.

Questi demake sono spesso creati da sviluppatori indipendenti e modder, e offrono una combinazione unica di nostalgia e meccaniche di gioco moderne. Ma da dove nasce questa tendenza? In questo articolo esploreremo le origini e l’evoluzione dei demake, un fenomeno abbastanza recente, ma che ha avuto in realtà una genesi che parte da più lontano. Si tratta di un viaggio nel passato alla scoperta del low-tech che sta facendo ritorno nel mondo dei videogiochi.

I demake sono giochi che, come il nome suggerisce, sono il contrario di un remake. Mentre i remake cercano di migliorare la grafica e le meccaniche di gioco di un titolo vecchio, i demake cercano di riprodurre un gioco moderno utilizzando tecnologie vecchie o obsolete. Questa pratica può sembrare controintuitiva, ma ha un fascino unico che attrae sia i vecchi giocatori che i nuovi appassionati di videogiochi.

Derivazione e origine del termine demake

L’etimologia del termine demake è molto semplice e intuitiva, in realtà. Si tratta, come nel caso della parola remake, dell’utilizzo di un prefisso prima del verbo inglese to make. Sia in inglese sia in italiano, il prefisso re- esprime per lo più il ripetersi di un’azione nello stesso senso o in senso contrario (Treccani):

agire —> reagire

affirm —> reaffirm

In demake il prefisso che fa assumere un nuovo significato al verbo principale è de-, di derivazione latina, indica perlopiù separazionesottrazione, infatti, la sua funzione è privativa o sottrattiva. Questo accade sia in inglese sia in italiano:

contestualizzare —> decontestualizzare

activate —> deactivate

Il demake, per definizione, è un processo creativo che sottrae qualcosa da un’opera originale. Il videogioco viene rifatto, ma eliminando tutto ciò che può risultare moderno per tornare alla sua forma più pura. Ciò si nota soprattutto dal punto di vista grafico/estetico, con giochi di nuova generazione rivestiti di una grafica retrò, in pixel art.

Ma da dove nasce il termine? Nonostante venga utilizzato in modo massivo da tempi relativamente recenti, il vocabolo viene da un po’ più lontano. Il portale Knowyourmeme, che spiega le origini di contenuti web solitamente divertenti e ironici, ci dice che il 20 agosto 2007, un utente di TIG Forums, forum del portale TIG Source, una community di sviluppatori e giocatori di giochi indipendenti, pubblicò il thread intitolato “de-make”. Nel post si descrive il termine in questo modo:

“giochi 3D relativamente nuovi che vengono rifatti per piattaforme minori. Come quel tizio che ha fatto il porting di Ocarina of time su SNES, o che ha trasformato Doom in un RPG per cellulari”.

Il 1° agosto 2008, sempre il sito web TIG Source ha indetto un concorso di “demake”, chiedendo ai partecipanti di presentare i propri lavori. Il termine “demake” è stato probabilmente coniato da un certo Phil Fish, per descrivere il remake di un gioco su hardware di vecchia generazione. Per tale utente, “il demake più ovvio è, ovviamente, quello che fa passare un gioco 3D al 2D”.

Demake, però, non ha sempre significato in modo specifico il regresso di un titolo preesistente a una sua versione più obsoleta. Ci sono stati casi in cui per demake si è voluto identificare la riproposizione di vecchie glorie videoludiche, in forma ufficiale e non, su sistemi dichiarati morti perché non più in commercio o supportati dalle aziende produttrici.

Un esempio abbastanza famoso nel mondo del gaming è Princess Rescue, del 2012 uscito per Atari 2600, console che fu messa in commercio nel 1977 per poi essere dismessa nel 1992. Creato da Chris Spry, Princess Rescue era il demake di Super Mario Bros. per NES, ma diffuso con un titolo alternativo per non incappare nella protezione dei diritti d’autore di Nintendo.

Un altro esempio ci è dato da un gioco ufficiale, ovvero Resident Evil Gaiden, titolo non conosciutissimo della serie di Capcom che uscì nel 2001 su Game Boy Color. Il gioco in questione viene considerato da alcuni come un vero e proprio demake di Resident Evil perché nel 2001 fu pubblicato Code Veronica che fu già un bel passo in avanti tecnologico rispetto alla trilogia classica. Gaiden invece riportò grafica e meccaniche indietro nel tempo su una console che, per ovvie ragioni, non poteva raggiungere gli standard delle console all’epoca sul mercato.

Ma è addirittura negli anni ’90 che i demake iniziarono a farsi largo con prodotti molto più coerenti con il termine stesso e più vicini a ciò che sono i demake oggi: in Cina, Hong Kong e Taiwan, gli sviluppatori del mercato nero crearono adattamenti non autorizzati di giochi moderni, all’epoca, come Street Fighter II, Mortal Kombat, Final Fantasy VII o Tekken per NES. Questi hanno goduto di una notevole popolarità nelle regioni asiatiche a causa della scarsa disponibilità di sistemi originali. Con questo sotterfugio, invece, era possibile giocare a questi titoli su sistemi a basso costo.

Perché si fanno i demake: tra nostalgia e contro-tendenza

Tornando al fenomeno odierno, oggi per demake si intende un processo creativo specifico: demake non significa far uscire un gioco nuovo su un vecchio hardware, il demake esiste in quanto “declassamento” tecnico di un gioco preesistente. Si prende, dunque, un videogioco di una generazione recente, ottava e nona in particolar modo, e si modifica esteticamente e nelle meccaniche per farlo sembrare un gioco per PS1. La prima console Sony è difatti la piattaforma a cui si guarda quando si crea un demake.

C’è da chiarire, inoltre, che i demake non sono videogiochi in grado di girare sulle console a cui vorrebbero fare riferimento. Bloodborne per PS1 non gira su PS1, per dire, ma solo su PC. Questo processo è svolto per ragioni creative, pertanto è il PC il sistema principale, perché può accogliere su svariate piattaforme dedicate al modding e ai titoli amatoriali, lavori di sviluppatori in erba. Per sviluppare sulle vecchie console originali si necessiterebbe dei dev kit appropriati.

I demake sono emersi per due ragioni: una è senza dubbio la nostalgia del retrogamer, tuttavia la motivazione più consistente sta nel voler rappresentare una risposta in contro-tendenza ai remake. Il fenomeno ha preso piede quando l’industria ufficiale ha iniziato a proporre con continuità al pubblico remaster e remake. Le prime spesso sono state considerate dall’utenza “operazioni spillasoldi”, con le quali fare leva sulla nostalgia del giocatore romantico, mentre i remake per un periodo non sono stati ben visti perché additati come una perdita di tempo e risorse, spendibili invece in nuove IP.

Le più recenti uscite hanno attenuato questo pensiero, visto che i remake di Dead Space (leggi la nostra recensione) e Resident Evil 4 (qui la nostra recensione) sono stati così acclamati da critica e pubblico, tanto da venire considerati da taluni superiori alle loro versioni originali. In questo scenario, i demake non appaiono propriamente come un “movimento di protesta” nei confronti dei remake, ma tutt’al più come una risposta goliardica che poi è stata approfondita, visto il suo successo.

Il successo dei demake si spiega anche per la facilità di fruizione. Il fenomeno nasce su YouTube con dei fake trailer/gameplay di pochi secondi che mostrano giochi mainstream nella loro versione più povera di dettaglio grafico. Il demake odierno si è generato, pertanto, possiamo dire, come una sorta di meme che si propaga a macchia d’olio attraverso la condivisione. Più recentemente, invece, modder e sviluppatori indipendenti hanno pubblicato gratuitamente giochi completi.

Per completi non si intende che i giochi originali siano stati rifatti in versione demake dall’inizio alla fine, si tratta di un lavoro che richiederebbe molto più tempo e personale. Il demake di Bloodborne dura circa un’ora e mezzo/due ore, stessa cosa dicasi per Dead Space che si termina in un’ora.

Gli indie sono demake?

Una domanda che potrebbe suonare strana, ma che merita qualche riga di risposta. Abbiamo detto che il demake oggi è l’invecchiamento tecnico e ludico di un’opera preesistente, cosa che escluderebbe gli indie. Gli indie spesso e volentieri riprendono l’estetica dell’era 8 bit, ma sono comunque nuove IP che utilizzano la tecnica della pixel art per ragioni estetiche e di scarsa disponibilità di risorse economiche e umane.

Dal punto di vista del mercato e del modello di business, pertanto, gli indie non potrebbero essere considerati dei demake, ma da quello concettuale e inerente agli intenti dello sviluppatore in quanto creativo, sì. Quando un indie non attinge da un genere o da un’era in modo generalista e lo fa prendendo ispirazione da un’opera specifica allora possiamo effettivamente parlare di demake che parte da una nuova base.

Un esempio che può spiegare meglio il concetto è Signalis (qui la nostra recensione), survival horror di Rose-engine Games che prende tutto ciò che era presente nel primo capitolo di Resident Evil e lo ripropone cambiando titolo e contesto. Se si amplia il significato di demake, Signalis può essere considerato tale. Gli indie possono essere anche uno strumento per fare retrogaming.


Leggi per approfondire l’argomento: Si può fare retrogaming grazie agli indie


I demake più famosi

Qui di seguito, potete vedere qualche esempio di demake per come vengono intesi oggi.

The Last of Us

Assassin’s Creed

Cyberpunk 2077

Control

Caso particolare. Questo demake è stato creato proprio da Remedy in occasione del primo aprile.

God of War Ragnarok

Bloodborne

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Dead Space

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