Resident Evil: Village | Tutti i riferimenti horror del gioco Capcom

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Uno degli elementi che ci ha portato a promuovere Resident Evil: Village è la varietà di situazioni che il giocatore si trova ad affrontare, percorrendo un percorso dell’orrore che cambia di volta in volta in base alla zona esplorata e al Lord incontrato.

L’ottavo capitolo della serie Capcom è pieno di riferimenti e citazioni a opere e personaggi dell’immaginario dell’orrore, è un’antologia che raccoglie storie popolari e archetipi, è una miscela di sottogeneri del cinema, della letteratura e di altri videogiochi horror.

In questo articolo cerchiamo di svelarne molti, provando a dare loro una collocazione precisa nell’avventura di Ethan Winters.

ATTENZIONE: L’ARTICOLO POTREBBE CONTENERE SPOILER

L’archetipo del villaggio

re village, archetipo del villaggio

Non si può non cominciare dal villaggio, il centro nevralgico del peregrinare di Ethan, il punto da cui si ramificano le strade che portano ai quattro Lord. Quella del villaggio non è esattamente una citazione poiché esso rappresenta un archetipo, cioè un riferimento autonomo che da sempre viene preso come punto di partenza di molte storie horror. L’atmosfera che avvolge il luogo si rifà al genere gotico, ma questo perché ognuno reinterpreta il villaggio a modo suo, plasmandolo in virtù della storia che vuole raccontare.

Solitamente, il villaggio è visto come un luogo in cui regnano la superstizione e una visione perversa della religione, in cui vige il patriarcato più violento e autoritario e la ruralità si contrappone alla modernità, divenendo addirittura sinonimo di cultismo e paganesimo. Basti pensare a come Madre Miranda venga venerata dagli abitanti del villaggio e di come l’avvento delle creature venga visto come una punizione a seguito di una possibile mancanza di fede.

Il riferimento che ci sembra più appropriato è The VVitch, film del 2015 di Robert Eggers, in cui una famiglia è disposta a rinnegare i propri figli perché considerati contaminati dal male. Per ambientazione e modo in cui viene rappresentato il folk horror, The VVitch ci appare come l’opera più vicina a RE: Village, ma non possiamo evitare di citare altri titoli in cui l’archetipo del villaggio è presente.

Primo fra tutti, The Village, film del 2004 di M. Night Shyamalan in cui è preponderante una visione fanatica e superstiziosa del mondo sconosciuto. In questo caso, in un villaggio si crede che i boschi siano abitati dalle ‘creature innominabili’ e che queste possano essere tenute a bada non infastidendole penetrando nel loro territorio.

Altre possibili citazioni sono riscontrabili in Il villaggio dei dannati (1960, Wolf Rilla) e Grano rosso sangue (1984, Fritz Kiersch) tratto dal racconto I figli del grano di Stephen King.

Dimitrescu e il genere gotico tra vampiri e licantropi

Quando si pensa ai vampiri, i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Dracula e Nosferatu, personaggi classici che sono diventati negli anni sinonimi del termine vampiro. Dunque il riferimento di RE: Village è presto fatto? Mica tanto, perché per delineare il genere gotico non basta dire che si tratta di storie di vampiri, lupi mannari e altre creature fantastiche ambientate in lugubri castelli.

RE: Village è anche una storia d’amore, quello tra Ethan e Mia, e di un padre nei confronti di una figlia, Rosemary, e proprio il romanzo gotico ha tra gli elementi che lo contraddistinguono l’unione di tematiche orrorifiche e storie d’amore, difatti il gotico, termine che si riferisce allo stile architettonico, scaturisce dal Romanticismo, quindi ad argomenti sovrannaturali e macabri vengono ad aggiungersi anche il conflitto interiore, la perdita e l’amore perduto.

Tutte queste tematiche sono presenti in RE: Village, pertanto il gioco Capcom è gotico anche per quello, non solo per la presenza di vampiri e lycan. Ora, volendo essere un po’ più spicci nell’analisi, possiamo dire che il riferimento più palese riguarda sì un vampiro, ma non di quelli più mainstream. Alcina Dimitrescu è una donna, pertanto ci appare abbastanza ovvio che Capcom abbia voluto strizzare l’occhio alla storia/leggenda di Elizabeth Bathory.

Elizabeth Bathory è sia storia sia leggenda perché la donna è davvero esistita, nel 1500, in Ungheria, e sono oltremodo attestate la sua natura perversa e le sue pratiche sadiche. Non si sa però dove finisca la realtà e inizi la leggenda, alimentata dalla voglia di storie dell’orrore sempre più cruente e terrificanti. La Bathory si aggiudicò il soprannome di Contessa Dracula perché considerata una vera vampira. Di persone ne uccise tante, stando ai suoi diari più di 600, mentre altre fonti si tengono più basse, dalle 100 alle 300 vittime. Questi numeri fanno di lei una serial killer, uno dei più sanguinari e proficui della storia.

Ciò che ha alimentato la leggenda, però, sta nel modo in cui queste vittime vennero straziate. Si narra che, colpita da uno schizzo di sangue, a seguito di uno schiaffo dato a una domestica, Elizabeth rimase convinta che il liquido rosso fosse riuscito a ringiovanire la parte colpita; dal quel momento ebbe inizio una serie di omicidi che la donna portò a compimento per bere il sangue delle vittime.

Leggendo i documenti disseminati nel castello Dimitrescu, il giocatore può rendersi conto del fatto che Alcina e le figlie sono dedite all’uccisione proprio di giovani donne chiamate a prestare servizio nella casa. Esplorando i sotterranei, inoltre, nelle gabbie è possibile vedere strumenti di tortura e quella che sembra essere una vera e propria distillazione del sangue per la produzione del vino Sanguis Verginis.

Per quanto riguarda i licantropi, invece, il riferimento è alla più classica leggenda nord europea. La figura del lupo mannaro, infatti, è rintracciabile già nell’Antico Egitto e fa la sua comparsa anche nelle storie delle tribù galliche, ma è la leggenda nord europea che ha plasmato quella di oggi. Stando alla mitologia norrena, i guerrieri consacrati a Odino chiamati berserkr si trasformavano in orsi, mentre gli ulfheonar in lupi.

Il mannarismo ha avuto un exploit nell’epoca delle epidemie medievali in cui parecchi casi di isteria di massa hanno condotto al rogo persone affette da malattie allora sconosciute o disturbi della mente (basti pensare alla porfiria per il vampirismo). In RE: Village ci sono sia i lupi mannari sia i licantropi, perché non sono la stessa cosa. Stando ad alcune leggende, il lupo mannaro, una volta trasformato, perde la ragione e attacca a prescindere, il licantropo mantiene un barlume di lucidità ed è in grado di ragionare (i lycan base di RE: Village, in pratica).

Casa Beneviento, dove non arriva Konami…

… arriva Capcom. Avete già capito, la citazione è chiara, cristallina, pacifica: il corridoio di casa Beneviento è il corridoio di P.T. come se questi si trovassero in due universi paralleli. Negli anni, si sono susseguiti i tentativi di emulare lo splendido playable teaser di Silent Hills ideato da Kojima, con risultati poche volte lusinghieri (Visage), spesso di livello medio (Infliction), ancora più spesso di livello bassissimo (Evil Inside). Per la sorpresa di tutti, il miglior P.T.-like esce fuori dalle menti di Capcom e proprio in un Resident Evil, rivale degli anni d’oro di Silent Hill.

In questa sezione di gioco abbiamo, dunque, un horror psicologico, una sorta di escape room, in cui il giocatore deve vivisezionare il manichino di Mia, che gioca con la luce e il suo opposto, l’oscurità, sul silenzio e visioni frutto della mente. Paradossalmente, nonostante questa sia la parte più riuscita (alla prima run, almeno), è meno Resident Evil di altre più action. La serie Capcom infatti ha sempre vissuto di questa dualità, tra horror ed action, mentre l’horror psicologico è stata una strada meno battuta.

Altro riferimento che secondo noi è presente in questa sezione riguarda Annabelle, la bambola demoniaca antagonista nella serie cinematografica The Conjuring. Angie, la bambola controllata da Donna Beneviento attraverso il Cadou, ci sembra un rimando proprio al giocattolo posseduto. Ciò che molti non sanno è che la bambola esiste davvero ed è stata oggetto di studio da parte di due famosi demonologi, Ed e Lorraine Warren.

Moreau e il body horror

Salvatore Moreau è il terzo Lord, la sua sezione di gioco rappresenta un esempio di body horror. Con questo termine si definisce un sottogenere dell’horror in cui la paura dello spettatore scaturisce dalla visione di mutilazioni, corpi deformi, mutazioni genetiche e comportamenti anomali del corpo umano.

Uno dei più famosi esempi del body horror è Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, ma abbiamo un illustre esponente del genere anche nel mondo del fumetto, dei manga per la precisione, Junji Ito. Moreau è a tutti gli effetti il più mostruoso dei Lord, non per il comportamento, ma proprio dal punto di vista estetico.

Il corpo di Salvatore Moreau, infettato dal Cadou, è diventato deforme, inguardabile, dalla sua schiena fuoriescono i tentacoli del parassita, la sua condizione lo porta anche a un malessere fisico (i continui conati di vomito). Il suo aspetto da ibrido metà pesce e metà uomo richiama il cult degli anni 50 Il mostro della laguna nera, film in cui è presente la figura di Gill-Man, una creatura che si aggira in una palude intorno al Rio delle Amazzoni.

C’è un riferimento anche nel suo nome, infatti esiste un film del 1977 che si intitola L’isola del dr. Moreau (tratto dal romanzo di H.G. Wells), nel quale il protagonista, a seguito di un naufragio, si ritrova su un’isola abitata da indigeni il cui corpo presenta tracce di esperimenti. Il dr. Moreau ha creato degli ibridi, metà uomini metà animali selvatici, la cui natura ferale verrà fuori in tutta la sua violenza e ferocia.

Heisenberg e l’industrial horror

La sezione di Heisenberg appartiene all’industral horror, cioè un sottogenere ambientato in fabbriche ed edifici diroccati in cui le macchine e la tecnologia (solitamente non avanzatissima) hanno preso il sopravvento, tanto da fondersi con l’uomo (in questi casi avviene una fusione tra industrial e body horror).

Il primo riferimento che può venire in mente è in realtà quello più superficiale, cioè Terminator. Nello specifico, la colorazione rossa di alcuni ambienti può ricordare la scena della fornace di Terminator 2: Il giorno del giudizio, ma le citazioni più importanti riguardano opere maggiormente di nicchia.

La principale è senza dubbio Frankenstein’s Army, film del 2013 di Richard Raaphorst girato nello stile found footage. Un gruppo di soldati sovietici, durante la Seconda Guerra Mondiale, andando alla ricerca di una squadra dispersa, fa una scoperta terrificante. In un villaggio, c’è una struttura in cui i soldati nazisti deceduti vengono riportati in vita e trasformati in mostri metallici. L’artefice di questi abomini è un discendente del dr. Frankenstein, colui che creò il mostro nato dalla penna di Mary Shelley.

Il film è un susseguirsi di inseguimenti in stretti cunicoli di aberranti mostruosità, degli agglomerati di carne e metallo con lame al posto delle braccia e corpi mutilati riempiti di ferraglia. I soldat creati da Heisenberg e le loro varianti più forti – il Panzer e lo Sturm – sono una citazione evidente del film.

Altro riferimento è Tetsuo – L’uomo di ferro, film giapponese del 1989 diretto da Shin’ya Tsukamoto. La trama racconta di un uomo che per provare piacere si autoimpianta oggetti di metallo nel corpo; questi un giorno, in preda al delirio, viene investito da un’auto guidata da un uomo e la sua fidanzata. Successivamente, il pirata della strada si rende conto che anche sul suo corpo iniziano a crescere parti metalliche, sempre più grandi ed evidenti. La trasformazione finale di Heisenberg è molto simile a quella che avviene al protagonista e all’uomo investito nella scena conclusiva del film.


Questi sono i riferimenti al genere horror che abbiamo trovato noi in Resident Evil: Village. Voi ne avete scovati altri?