Quella volta che ho capito le relazioni umane dopo 7000 ore su un singolo gioco

dota 2

Facciamo un gioco: siamo in una stanza con un campione di moltissimi videogiocatori al suo interno, tutti diversi, tutti caratterizzati da un proprio percorso ludico.

“Alzi la mano chi ha giocato ad un videogioco per più di cinquanta ore.”

Ad alzare le mani sono molti giocatori; alcuni di loro hanno completato The Witcher 3 senza completare tutte le quest secondarie, altri hanno completato Skyrim cercando di concludere un paio di gilde sole invece di tutte. Altri hanno completato un vecchio gioco di ruolo giapponese su Super Nintendo.
Questi videogiocatori hanno scelto di passare una parte importante del loro tempo con un videogioco, magari catturati dalla storia o magari catturati dall’ambientazione.

Alzi la mano ora chi invece ha giocato ad un videogioco per più di duecento ore.

Le mani alzate sono molte meno ed i titoli citati sono diversi. C’è chi ha speso duecento ore cercando di minmaxare il possibile all’interno di strategici come Disgaea 5, chi ha cercato di ottenere il set definitivo su Monster Hunter World ed ha massacrato infinite volte Rathalos e Rajang, chi invece ha rigiocato decine di volte titoli dall’alto grado di personalizzazione come Dark Souls.
Questi giocatori sono innamorati di singole meccaniche, intrappolati nei gameplay loop e continuamente convinti in un fatale eterno ritorno dato dalla varietà di situazioni.

Alzi la mano ora chi invece ha giocato ad un videogioco per almeno ottocento ore

Le mani alzate iniziato a scarseggiare, come iniziano a scarseggiare i videogiochi citati in causa. C’è chi parla di Fortnite, chi parla di Destiny, chi invece parla di un folle gacha game scaricato da uno store non ufficiale perché confinato in Giappone. Nessuno di loro si sarebbe mai sognato di passare con un singolo videogioco così tante ma poi sono arrivati, con i lazi ed i retini, tutti i meccanismi moderni dei games as a service e tutte le gioie del videogiocatore online.
Pochi giocatori citano videogiochi immensamente complessi come Europa Universalis o Stellaris ma lo sappiamo bene: quelli appassionati di grand strategy games sono tipi strani.

Alzi la mano ora chi invece ha giocato ad un videogioco per almeno tremila ore ore

Qualcuno c’è con la mano alzata, gente anche abbastanza insospettabile. I videogiochi citati sono di due categorie: videogiochi con enorme impronta al multiplayer online, magari pure competitivo o videogiochi che si possono speedrunnare con gusto, come Super Mario 64.
Le voci parlano chiaro: c’è chi ha speso le sue migliaia di ore su League Of Legends, cercando di imparare quanti più champ possibili, chi ha usato tutte queste ore della sua vita su Counter Strike: Global Offensive nel tentativo di comprendere lo spread delle varie armi, chi ha passato queste ore su Minecraft costruendo imperi scomparsi con un wipe o con corruzioni strane di file molto preziosi.

C’è anche una persona, barba, occhi stanchi, con la mano alzata che cita Dota 2.
Ah si, quello sono proprio io.

Anima e corpo.

Mi piace pensare al rapporto tra me e Dota 2 come al rapporto amoroso tra due persone che si amano e attraversano varie fasi di una relazione.
No aspettate, forse è ancora peggio.

Tra Dota 2 ed il sottoscritto il rapporto è simile a quello che potrebbe avere un eroinomane con data sostanza; infiniti tentativi di smetterla, infinite ultime volte poi rivelatesi errate in seguito all’uscita di una nuova patch o di un nuovo bilanciamento.

Nel mio periodo di massimo gioco riuscivo ad inanellare (complice anche molto tempo libero) 98 ore bisettimanali di Dota 2, ovvero sette ore al giorno, tutti i giorni e tutte le notte.
Sette partite al giorno, della durata di circa un’ ora, con immensi momenti morti fatti di pause interminabili, di ricerche partita con tempi biblici; oltre cinquemila partite con sconfitte meritate, sconfitte immeritate, vittorie sudate e con un grande, incalcolabile numero di imprecazioni.

Ancora oggi ricordo con un certo affetto quella partita che ho perso perché costretto dalle circostanze ad abbandonare il computer, contro la mia volontà, o quella partita persa perché capitata nel bel mezzo del primo terremoto che ha cambiato per sempre il volto del centro italia durante il 2016 (la mia Drow Ranger ancora ricorda l’armadio che tremava ed il panico generale in Discord).

Seimilaottocento ore di gioco sono davvero tante.
Sono più di tutte quelle che probabilmente ho usato per il resto della mia carriera nel multigiocatore; pur non attaccandomi mai a quei pozzi senza fondo dei MMORPG, durante il mio tragitto ludico ho giocato in maniera assidua ad un sacco di bruttissimi sparatutto in prima persona diversi gratuiti o ad altri videogiochi (tipo Rocket League, comprate Rocket League che è divertente) senza mai però superare qualche centinaio di ore. Il lavoro di Valve è stata la mia eccezione.

Dota 2 è stato un gioco per cui ho dato anima e corpo.
Non ho mai giocato con velleità competitive (anche perché lo skill ceiling è incredibilmente alto e mi sono avviato tardissimo verso la comprensione profonda del gioco) ma ho giocato sempre e solo per due motivazioni: il gusto del gioco ed il gusto dell’avere una squadra.

Dota 2 è stato per me un modo per socializzare, per arricchire amicizie e per trovare strumenti relazionali/sociali con cui guardare il mondo da prospettive diverse.

Il senso del tempo speso.

Capiamoci, questo discorso riguarda la mia esperienza in quel MOBA ma è virtualmente valido per tutte le tipologie di videogiochi che comprendono competizione, gioco di squadra e spirito competitivo.

Che cosa puoi imparare in seimila ore di calcio?
Puoi imparare a tirare palloni, a pararli, a fare passaggi, a capire cosa vuole il tuo allenatore ma più di tutti puoi capire chi hai intorno e come ci si comporta con loro.
Un discorso praticamente identico lo si può fare anche per moltissimi dei videogiochi online di cui sopra, specie (di nuovo) per quelli dall’aspetto competitivo e dall’anima esportiva.

L’avere seimila diverse ore di studio della personalità umana applicata ai videogiochi ti permette di comprendere che gli avatar possono essere prolungamenti di tratti reali della propria personalità. In giochi dove non è assolutamente necessaria la riscrittura della propria persona junghiana (scartiamo quindi giochi di ruolo con immedesimazione), i giocatori possono davvero trasportare il loro carattere all’interno di azioni ludiche.

La riprova, per me, viene dall’esperienza personale tutti gli amici che mi hanno accompagnato in questo percorso (che forse leggeranno e sicuramente rideranno di certi riferimenti) nel gioco hanno mostrato impronte simili a quelle che nella vita di tutti i giorni dimostrano.

Chi nella vita si è sempre dichiarato insoddisfatto nel gioco ha sempre avuto la tendenza alla lamentela improduttiva, chi nella vita ha sempre pensato fuori dagli schemi ha sviluppato in gioco strategia fuori da ogni senso logico (che sono riuscite alle volte a funzionare), chi nella vita si è sempre dimostrato competitivo è stato sempre poco in grado di accettare la sconfitta e le ingiustizie in gioco.
Chi nella vita ha imparato a rialzarsi e a combattere in partita ha dato spesso dimostrazione di avere il giusto polso per delle ripartenze.

I videogames possono diventare una lente d’ingrandimento sul carattere delle persone e possono essere uno strumento per analizzare lo spettro emotivo delle persone. Non tutti reagiscono allo stesso modo ad una vittoria, non tutti reagiscono allo stesso modo ad una sconfitta, nessuno di noi è perfettamente speculare nell’impostare una strategia e siamo tutti soggetti delle circostanze che accompagnano il nostro quotidiano anche nel gioco.

Le mie ore nei videogiochi multigiocatore mi hanno permesso di ottenere un piccolo breviario sul come riconoscere e associare una persona fisica ad una virtuale, sul come si gestiscono i rapporti interpersonali in determinate situazioni e sul come certi rapporti mutano in base al tuo sistema di approccio.

Il rapporto tra supporto e carry, il rapporto tra il capitano ed il sottoposto, il rapporto d’amicizia che si incrina (esageriamo) per una sconfitta sono situazioni quasi speculari a molte cose che possiamo ritrovare nella vita vissuta di ogni giorno.

La chiusura del cerchio.

Non so se aver usato così tante ore su di un videogioco online sia stata la scelta giusta per la mia vita. A pensarci bene 6800 ore di chitarra elettrica avrebbero potuto mettermi in una posizione diversa nella vita e magari ora starei tentando di scalare le classifiche del Djent Metal invece di scrivere di videogiochi sulla rete.

Tipico esempio di cose che si possono imparare videogiocando

Non divaghiamo.
A parere di chi scrive molti degli insegnamenti legati alle ore di gioco spese online su videogiochi con specifiche velleità sono sovrapponibili a quelli che si sarebbero ottenuti con la pratica sportiva o con delle sane relazioni sociali.

Quando si pensa alle ore spese nel tentativo di raggiungere la più alta divisione possibile nelle partite ranked, proviamo a pensare a cosa abbiamo imparato su di noi e sugli altri. Applichiamo la lente del videogioco per oltrepassare le timidezze e le incertezze nella vita di tutti i giorni, per scoprire dove siamo riusciti ad arrivare con le nostre gambe e cosa abbiamo dimostrato a chi ci è stato vicino.

Una sola immagine, tanti ricordi.

Questo genere di videogiochi possono essere splendide occasioni per imparare tutte le parolacce di una data lingua o per apprendere come si ride in tutte quante le nazioni del mondo, possono dare opportunità lavorative a chi ci crede davvero ed ha le giuste capacità, possono aiutare il giocatore a superare i momenti più tristi delle proprie giornate offrendo almeno una singola ora di sfida, divertimento e sentimenti bollenti.

Poiché i videogiochi possono anche sostituirsi alla vita vera, alla fine dei conti ci si ritrova con ricordi vividi e con momenti di intensa tenerezza; dell’ansia pre partita importante o di quella volta che mentre si sta giocando si lascia perdere tutto perché, nel mondo reale, è arrivata una buona notizia.

Sapete che potete dire alla gente che vi dice che avete sprecato il vostro tempo?
Che nelle foto le cose belle non sono sempre quelle in primo piano ma che si nascondono sullo sfondo, dove c’è bisogno di pazienza e voglia di cercare per vederle.