Games & Books – Blood, Sweat, and Pixels: The Triumphant, Turbulent Stories Behind How Video Games Are Made di Jason Schreier

Blood Sweat & Pixels

Games & Books è una rubrica settimanale di Player.it in cui andiamo a farci una chiacchierata su quali siano i libri più interessanti sull’argomento videoludico nel suo complesso, andando a spiegare perché determinati scritti siano meritevoli del vostro tempo.

Per questa seconda puntata andremo a prendere in esempio un libro col titolo talmente lungo e incasinato che è impossibile scriverlo correttamente al primo colpo e pertanto è bisognoso di copia/incolla: Blood, Sweat, and Pixels: The Triumphant, Turbulent Stories Behind How Video Games Are Made di Jason Schreier.

“Blood, Sweat and Pixels”, ovvero quanti sforzi si fanno per tirare fuori un bel videogioco?

Blood Sweat and Pixels

Blood, Sweat, and Pixels: The Triumphant, Turbulent Stories Behind How Video Games Are Made è un libro che parla di sofferenze e di sforzi, è una piccola cronistoria che cerca di portare alla luce i complessi processi produttivi che si trovano dietro i videogiochi che tutti noi amiamo e che qualche volta finiamo pure per odiare.

All’interno del libro di Jason Schreier trovano voce le difficoltà produttive che si sono celati dietro titoli mai usciti (come Star Wars 1313) o dietro titoli che poi si sono rivelati essere degli incredibili capolavori (come The Witcher 3); un titolo che parla di colossi come Naughty Dog/Bungie con i loro Uncharted 4 e Destiny ma che non ignora titoli molto molto più piccoli, sviluppati quasi in solitario come Shovel Knight o Stardew Valley.

Tutte queste storie sono raccontate attraverso l’interposta persona di Jason Schreier, news editor per Kotaku e veterano dell’editoria videoludica.

Jason ha raccolto per noi stralci di interviste, suoi ricordi personali, dichiarazioni e notizie per mettere insieme i periodi che hanno caratterizzato in positivo e negativo lo sviluppo di determinati videogiochi.

Il libro si presenta scritto in uno stile molto semplice che evidenzia, rigo dopo rigo, come dietro i nostri titoli preferiti ci siano persone esattamente come noi alla mercé di qualcuno. Il concetto che serpeggia e ricorre in tutti i dieci capitoli che compongono l’opera è il crunch time, ovvero il periodo di tempo in cui gli sviluppatori cercano di mettere il massimo possibile del loro impegno e della loro energia per completare in tempo un progetto.

Sviluppare è soffrire?

Blood Sweat and Pixels

Questi crunch times sono momenti ricorrenti che tutti gli sviluppatori di videogiochi ben conoscono e hanno imparato a odiare con tutto il cuore: la creazione di un trailer, il rilascio di una demo giocabile per una fiera, la finalizzazione di alcune deadlines. Questi periodi di tempo sono il sale nella vita di ogni sviluppatore di videogioco e che avvengono continuamente, a prescindere da come si sia sviluppata la pre-produzione di un titolo.

Ogni capitolo del libro finisce per trattare aspetti differenti di ciò che può andare storto (virtualmente tutto) all’interno della produzione di un qualche videogioco. Ecco alcuni simpatici mini-riassunti realizzati per l’occasione per farvi invogliare alla lettura.

  • Abbiamo storie di sviluppatori costretti a lavorare con un engine inadatto al prodotto che stanno sviluppando, cioè la storia di Bioware e della sofferenza che hanno dovuto patire per tirare fuori Dragon Age: Inquisition.Blood Sweat and Pixels
  • La storia di come Star Wars 1313 sia stato cancellato a causa dell’acquisizione di Lucasarts da parte della Disney; una storia estremamente triste che ha visto il lavoro di decine di sviluppatori e artisti cancellato a causa di differenti idee aziendali per quanto riguarda il comparto videoludico; uno dei capitoli più interessanti dell’interno libro.Blood Sweat and Pixels
  • Cosa vuol dire produrre un videogioco incredibilmente grande come The Witcher 3 ? Cosa vuol dire lavorare su una quantità di materiale molto molto più grande di quella che si è solitamente portati ad avere all’interno di un videogioco?
  • Sapevate che agli sviluppatori può capitare di dover lavorare completamente contro-voglia su franchise non di loro competenza? Pensate a quanto ha dovuto piangere Ensemble Studios per realizzare Halo Wars quando volevano semplicemente realizzare una IP tutta loro.

Questo è, però, solo la punta dell’iceberg.
Ogni storia è infarcita di considerazioni utili al fine di comprendere l’ecosistema relazionale che vige all’interno degli studi di sviluppo e dei publisher; all’interno dei vari capitoli vengono raccontati meeting, tentati ammutinamenti, conferenze e partecipazioni all’E3 con un pizzico di nostalgia e di gioia nel poterle narrare al resto del mondo, grazie al sapore quasi storico delle parole.

Blood, Sweat and Pixels è la storia di tutti i videogiochi del mondo.

Se pensate di leggere una storia avete sbagliato testo, Blood, Sweat and Pixels non pretende di narrare e non ne ha alcuna intenzione. Il libro di Schreier è una raccolta di interviste e di informazioni legate da un rosso filo logico. Nella sua pulizia stilistica e nel suo impilare storie e nomi che magari non si conoscono l’autore sceglie la via della chiarezza per cercare di non andare mai oltre il seminato.

Le dieci storie hanno il pregio di scorrere via facendo riflettere e facendo appassionare al mondo dello sviluppo videoludico; riesce ad informare e a far comprendere a tutti cos’è una fase di pre-produzione, cosa vuol dire essere un art-director e cosa vuol dire essere cento umani fragili al lavoro dieci ore al giorno per settimane e settimane quando si hanno moglie e figli.

Il peccato vero è che il libro finisca subito, senza continuare a raccontarci in modo indefinito le altre storie interessanti del mondo dei videogiochi: di materiale, ora come ora, ce ne sarebbe anche troppo; dai Duke Nukem Forever, a Starcraft Ghost, alla nascita e al successo dietro PUBG o Fortnite.

“Blood, Sweat and Pixels” è un libro di trecento pagina non disponibile in lingua italiana; l’inglese con cui è scritto è comunque di facile comprensione e non è un reale ostacolo per il lettore un minimo avvezzo alla lingua di Albione. Il comparto grafico presente all’interno del libro è nella media e non presenta ne virtuosismi ne demeriti di sorta, lasciando alla lettura il compito di fare da traino per chi acquista il libro.

Nota di merito per la splendida copertina realizzata da Milan Bozic.
Al momento non è prevista una traduzione italiana.

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