Recensione Detroit: Become Human

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L’ultima fatica di David Cage è finalmente tra noi. Sarà libera finalmente o ancora schiava delle critiche degli hardcore gamer?

Progetto “Kara”

Era il lontano 2012 quando fu mostrato il teaser “Kara”. La tech demo girava su Playstation 3 e mostrava l’assemblaggio di un androide dalle sembianze femminili che diventava senziente. Il robot provava emozioni ed aveva “paura” di essere smontato perché ritenuto “anomalo”.

Il progetto di QuanticDream fu messo in secondo piano in vista dell’uscita di Beyond: Two Souls nel 2013 che si rivelò eccezionale dal punto di vista tecnico ma fallimentare in quello narrativo. Il che fu abbastanza deludente se pensiamo che i titoli della casa francese sono i diretti eredi delle avventure grafiche, ibridi tra videogiochi e film. Due anni più tardi, all’E3 fu annunciato Detroit: Become Human, nome definitivo del progetto “Kara”, come esclusiva per Ps4.

Il focus del gioco di David Cage sarebbe stato la stesso del teaser: l’essere artificiale che acquista coscienza di se stesso e le implicazioni socio-politiche che ne conseguono, una tematica già abusata in libri, film, fumetti e videogiochi. Basti pensare a Terminator, Blade Runner, il recente Westworld o anche all’I.A. GW di Metal Gear Solid. Ci si aspetta, dunque, un lavoro curato ed originale per quanto riguarda lo storytelling in modo da trattare un tema di fondo ormai abbastanza banale nel miglior modo possibile.

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Un prodotto “ibrido”

Pad alla mano, ci ritroviamo in un prologo (la stessa sequenza della demo) che funge da tutorial. Il sistema di controllo è il medesimo dei predecessori (spirituali) Heavy Rain e Beyond: ci si muove con gli analogici ma non esistono azioni predefinite per saltare, sparare o quant’altro: i vari tasti assumeranno funzioni diverse per ogni contesto. In poche parole, il gameplay consiste in una serie concatenata di quick time event ed enigmi da risolvere.

La componente ludica vera e propria è relativa alla possibilità di far proseguire gli eventi in maniera diversa in base alle azioni e le scelte compiute. Che queste siano successo o fallimento non si andrà incontro a vittoria o game over ma semplicemente a linee narrative differenti. Ramificazioni che vengono, alla fine di ogni capitolo, riportate in un diagramma ad albero che mostra in quanti altri modi sarebbe potuta andare la vicenda. Inoltre, strade diverse non portano necessariamente a destinazioni diverse. L’esito di una scelta può essere “corretto” e riportato alla timeline originale oppure a una molto simile con piccole sfumature diverse.

Tra le tante variabili ci sono anche da considerare le relazioni tra i tre androidi protagonisti Connor, Kara e Marcus con gli altri personaggi. Essere amico o ostile di una determinata persona (o robot) aprirà possibilità differenti sviluppo dell’intreccio. Fortunatamente in Detroit non sono stati commessi gli stessi errori di Beyond: la storia in ogni sua ramificazione procede in modo coerente ed è priva di plot hole. La tematica dei robot che si ribellano dalla schiavitù è trattata in maniera originale, forse anche meglio di molti film moderni. Ci affezioneremo ad ogni personaggio ed è facile immedesimarsi nella loro situazione. Sebbene non ci siano particolari colpi di scena molte scene sono parecchio suggestive, complice anche la regia, impeccabile come in ogni titolo di Cage.

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Sembra che sia davvero vivo

La grafica è un altro punto di forza del gioco. Il motore grafico è ottimizzato al meglio sia su Ps4 che Ps4 Pro, sebbene sulla prima ci sia qualche sporadico rallentamento. Il render è quasi fotorealistico e dinamico (in alcune scene la differenza con la realtà è davvero impercettibile). Questo è possibile grazie alla maestria degli sviluppatori che sono riusciti a dare l’impressione di trovarsi in ambienti vasti e aperti mentre in realtà le aree sono molto piccole.

Unica nota negativa è il pop-up di qualche texture che si nota ogni tanto ma in un gioco privo di caricamenti (tranne quello iniziale), la cosa può essere perdonata. Il comparto audio non è da meno: la colonna sonora è molto piacevole e si adatta ad ogni momento. Il doppiaggio in Italiano è buono, tranne per pochi personaggi. Il lipsync ogni tanto fa cilecca ma alla fine niente di troppo grave. Il gioco dura tra le 10 e le 12 ore ma la rigiocabilità è davvero elevata. Parecchie volte ho avuto la curiosità di vedere cosa sarebbe successo se avessi fatto una scelta diversa. Se non volete rigiocare l’avventura è possibile selezionare i singoli capitoli e giocarli separatamente. La presenza di due livelli di difficoltà è abbastanza inutile dato che le differenze riguardano solo la reazione ai quick time event, ma è davvero minima.

Una nuova “linea evolutiva”

Dopo Havy Rain, carino ma non perfetto e Beyond da dimenticare, con Detroit sono più che soddisfatto. Si vede che il team ha imparato dai suoi errori ed è riuscito a sfornare un ottimo prodotto senza ricorrere a rischiose rivoluzioni di game design. Sì perché, alla fine con Become Human rispetto ai precedenti lavori non abbiamo avuto una rivoluzione ma un’evoluzione delle meccaniche.

Conclusione

Questo ibrido tra gioco e film è un esperienza che consiglierei di provare a tutti. Sia agli hardcore che ai casual e perché no, anche a chi è estraneo al mondo del gaming. Così come per Havy Rain che per Beyond la critica più comune è proprio l’interattività limitata: “È un film, non un gioco” dicono in molti. Il mercato videoludico è sempre più ampio ed è necessario creare prodotti appetibili ad un pubblico vasto. Personalmente sono dell’opinione che non sia una brutta cosa se riusciamo a preservare sia i giochi “classici” che questa nuova “linea evolutiva del gaming”.