Recensione Blasphemous (PS4)

Blasphemous cover

Blasphemous è il risultato di un’interessante campagna Kickstarter cominciata un paio d’anni fa e conclusasi con un grande successo. Lo studio spagnolo The Game Kitchen, forte di qualche centinaio di migliaio di dollari, ha preso molta della storia religiosa della sua Siviglia e l’ha trasformata in un videogiochi mischiando le paure della cristianità alle incursioni islamiche, fondendo il tutto in un videogiochi realizzato in una pixel art strepitosa che strizza più volte gli aocchi ad un sottogenere ormai diventato enorme: quello dei souls like.

Blasphemous, da parte sua, non guarda soltanto alle opere di Hidetaka Miyazaki ma va a ritroso negli anni sino a ripescare il level design dei metroidvania e l’azione dei Castlevania, posizionandosi in una nicchia strana. Il titolo finisce per essere un action adventure game bidimensionale di cappa e spada, senza strani misuratori di stamina pronti a farci salire l’ansia per ogni schivata fatta; al giocatore sarà lasciata la possibilità di contrattaccare o schivare tramite la pressione di appositi tasti e di utilizzare una lunga serie di magie (chiamate per l’occasione preghiere). Le premesse lasciano intuire un videogioco accattivante perennemente sul filo del rasoio tra l’amore e l’odio del giocatore, andiamo a vedere insieme nello specifico di cosa stiamo parlando e perché Blasphemous è uno dei videogiochi indipendenti da giocare assolutamente durante il corso del 2019.

La lunga strada del penitente.

Blasphemous cutscense

Blasphemous mette il giocatore nei panni un personaggio chiamato Penitente (in inglese chiamato Penitent One, un richiamo nemmeno troppo velato all’Ashen One di miyazakiana memoria) nel suo pellegrinaggio per le terre di Cvstodia, una landa in cui il tempo non ha il senso che conosciamo noi nel mondo reale e che richiama a gran voce la storia dell’architettura europea saltando spesso tra le guglie gotiche e le volte a botte di quella romanica; una terra in cui sembra farsi strada ancora l’ombra della terribile inquisizione spagnola che tanto ha fatto parlare di sé nei libri di storia.

Una delle più grandi influenze artistiche che serpeggiano tra i pixel del titolo sono senza dubbio i quadri di Francisco Goya, uno dei più importanti pittori spagnoli di sempre con quadri come saturno che divora i suoi figli o il colosso. L’ispirazione di The Game Kitchen alle opere di Goya sono innegabili, con alcuni fondali che sembrano ripresi di pari piede da determinati quadri e con alcune bossfight che superano i riferimenti spagnoli per rifarsi a qualcosa di, a noi, molto più vicino: la pietà vaticana di Michelangelo. L’immaginario del titolo è pregno di uno studio approfondito del folklore e dell’arte tradizionale cristiana e colpisce nel segno, regalando bossfight visivamente imperdibili (che eviteremo di citare per non spoilerare nulla) con figure religiose spesso traslate in un mondo terribilmente malvagio.

Il mondo di Cvstodia risulta originale ed incredibilmente ben curato, pieno di simbologie alterate ma riconoscibili che richiamano con immensa forza la cultura cultura e che la modificano leggermente, donando un leggero senso di straniamento ogni volta che scopriamo un particolare nascosto o una citazione visiva a qualcosa che abbiamo visto nella nostra vita reale da abitanti del paese più influenzato del mondo da tale religione.

Come Dark Souls ha insegnato, per narrare una storia non c’è bisogno di essere lapalissiani ma basta seminare lunghe file di briciole per portare il giocatore al quadro completo; tale lezione è stata appresa sapientemente e viene reiterata per tutta la durata del gioco, nascondendo tra descrizioni e particolari una narrativa affascinante e piena di misteri. Un simile meccanismo non premia sulla corta durata ma è in grado di cementare una community appassionata dietro la ricostruzione degli eventi, esattamente come è successo per la lore del primo capitolo della saga di Miyazaki; una scelta coraggiosa che va certamente premiata vista la qualità del materiale visibile a schermo.

Atto di dolore.

Il nostro caro penitente, privo di nome, come membro della confraternita dei penitenti silenziosi ha il compito di concludere il suo pellegrinaggio di redenzione superando una serie di prove e compiendo un sacrificio sulla vetta del mondo, al fine di redimersi da un peccato che è nascosto tra le righe della lore e che assume toni biblici. Armato della spada “mea culpa”, pur di raggiungere il suo scopo, il penitente (e noi con lui) dovrà attraversare una vasta gamma di ambientazioni estremamente ben caratterizzate e altrettanto ben realizzato a livello di design, con scorciatoie, arrampicate e porte da aprire in un secondo momento, sancendo ancora di più la sua anima metroidvaniosa.

Le terre di Cvstodia sono inondate del potere della religioni in modo talmente ferale da aver trasformato le genti in in bestie a causa di blasfemie o di adorazioni insufficenti; esse, messaggere dell’era della corruzione, rappresenteranno la carne da macello che andrà a puntellare il percorso del nostro penitente. Queste terre presentano dirupi infiniti, pozze piene di spine, antichi castelli pieni di trappole e minacce in ogni dove. Il sistema di controllo di Blasphemous, per nostra fortuna, è reattivo al punto giusto sia nel comparto platform che in un quello legato ai combattimenti: schivate, salti, parate e attacchi hanno un buon feeling sul giocatore e nel giro di qualche ora si padroneggerà il tutto con maestria e con perizia.

Le sezioni platform scorrono molto bene, grazie al sopracitato buon feeling dei controlli e quando mischiate ai combattimenti aggiungono quel pizzico di pepe in più ad un sistema che in per sé non risulta particolarmente profondo. Diversamente dalla maggiorparte dei metroidvania, Blasphemous ci metterà in mano unicamente la sopracitata spada Mea Culpa che avrà un campionario di mosse non particolarmente vasto; nonostante la spada sia potenziabile mancano tutti quei tocchi di classe che sono derivanti dalla presenza di un vasto arsenale a cui fare affidamento. I combattimenti, nonostante ciò, risultano molto più dinamici della media del genere a causa dell’assenza della stamina e della parata continua: in Blasphemous è necessario attaccare, schivare e parryare (!) i colpi se si vuole superare le sfide proposte.

Come è normale prima o poi si farà il passo più lungo della gamba e si finirà per incorrere nella schermata di game over (esteticamente meravigliosa, tra le altre cose); con la morte, in Blasphemous, si dovrà fare i conti  con un malus: la diminuzione del fervore massimo accumulabile.

A schermo il fervore è una barra presente nelle vicinanze di quella degli HP e rappresenta un po’ il nostro mana, visto che sarà necessario per poter utilizzare le preghiere. Per poter recuperare il fervore perso sarà necessario espiare le proprie colpe raccogliendo i propri resti nel punto in cui si è morti (qualcuno ha detto Dark Souls?) donando al titolo quell’aspetto punitivo che sicuramente abbiamo imparato a conoscere bene negli ultimi cinque/sei anni di game design moderno.

Complicanze.

 

Quello che abbiamo descritto fin’ora è letteralmente il nucleo sanguinolento del gioco. Il titolo non prevede la raccolta di bottini o oggetti consumabili; tutto ciò che sarà possibile trovare tramite l’esplorazione è qualcosa di legato alla lore, alle quest secondarie o al potenziamento del personaggio stesso. I numerosi segreti di cui il gioco si fa portatore sono legati a oggetti che potenziano determinate statistiche o determinate caratteristiche ma che, alla fine dei conti, poco cambiano lo stile di gioco con cui è possibile completare il gioco. Sebbene nelle fasi finali del gioco sia sostanzialmente possibile creare vere e proprie build con tutti gli oggetti raccolti, la potenza irrisoria delle preghiere e l’assenza di vere e proprie alternative non permette alla creatività del giocatore di esprimersi a pieno.

Blasphemous rimane essenzialmente un hack and slash bidimensionale con qualche frammento di gioco di ruolo; un hack and slash estremamente punitivo e che lascia poco spazio all’inventiva nonostante risulti divertente sin dalla prima spadata sferzata. I nemici sono molti e spesso anelano con tutto il cuore alla nostra dipartita, muovendosi con aggressività nei nostri confronti e lasciandoci ben poco spazio di manovra. Qualche problema di bilanciamento, purtroppo, anche nel frangente dedicato al combattimento c’è con dei picchi di difficoltà artificiale dovuti agli avversari che utilizzano la magia, che finiranno per farci maledire il giorno del nostro primo incontro col pad più e più volte.

Blasphemous

Tutto ciò, in ogni caso, finisce in secondo piano rispetto ad un comparto tecnico di primissimo ordine.
Per gli occhi e per le orecchie il titolo di The Game Kitchen è un capolavoro, con una delle migliori pixel art degli ultimi anni ed un artstyle che non ha davvero molti rivali nel mercato. Le ambientazioni trasudano sporcizia e dolore da ogni scorcio mentre le animazioni di personaggi e avversari lasciano spesso sorpresi per la quantità di dettagli presenti, con dei boss che visivamente finiranno per popolare le pagine tumblr o i profili twitter di molti appassionati. Il comparto sonoro è composto da tracce d’ambiente ed effetti sonori di grande qualità che riescono ad immedesimare perfettamente il giocatore nelle ambientazioni impazzite senza risultare iperrealistici; canti gregoriani atonali, archi e clavicembali rinascimentali, organi apocalittici e clangori infernali finiranno per sonorizzare i passi del penitente lungo l’infinito percorso che lo porterà verso quella che crede essere la redenzione definitiva.

The Game Kitchen con tanto impegno ha realizzato un titolo, Blasphemous, che non riscriverà la storia dei videogiochi ma che risulta essere pad alla mano un acqusito estremamente consigliato. Un metroidvania souls-like non particolarmente profondo ma dal fascino indefinibile, con un gameplay imperfetto ma divertente che finirà per ispirare discussioni sul web riguardo un pezzo di lore piuttosto che una build da calcolatrice alla mano. A spiccare su tutto è il comparto tecnico artistico, di pregio praticamente assoluto e che, speriamo, finisca per avere epigoni di simile qualità, anche solo per avere un nuovo wallpaper per il proprio telefono cellulare.