The Town of Light – Recensione

Recensione di Gianluca “DottorKillex”Arena

Gli sviluppatori di The Town of Light, i ragazzi di LKA, talentuoso team toscano, si sono affrettati, in fase di presentazione della loro opera prima (in arrivo anche su Xbox one), a specificare che il gioco non conteneva zombie: sagace battuta (l’umorismo toscano mica lo si scopre oggi?) per prendere le distanze dalla marea di titoli in prima persona a sfondo horror che ha invaso il mercato digitale nell’ultimo lustro.
Sebbene sia vero che il titolo non contiene non morti, personalmente ritengo che i mostri di cui racconta siano ben più terrificanti di qualsiasi ammasso di carne putrefatta: parlo dei demoni della mente, della solitudine, del disagio psichico e delle inumane tecniche che la scienza ha utilizzato per “curarle” fino a qualche decennio fa.

Destini segnati

Per raccontare una storia come quella di Reneè, sedicenne affidata alle cure dell’ospedale psichiatrico di Volterra, una struttura che, all’inizio del secolo scorso, era ritenuta all’avanguardia per la cura delle malattie mentali, serve coraggio, e gli sviluppatori ne hanno avuto, non lesinando particolari e scene che mi hanno messo i brividi.
Ma serve coraggio anche per ascoltarla, questa storia, sapendo che è ispirata a fatti realmente accaduti per decenni, senza che nessuno facesse nulla (e anzi, elargendo complimenti e facendo pubblicità alla struttura): The Town of Light è un pugno nello stomaco, un grido sordo di denuncia per qualcosa che ormai non esiste più ma che, fin quando c’è stato, ha dispensato sofferenza per centinaia di povere vittime.

Chiuso nel 1978, in seguito alla legge Basaglia, l’istituto è in stato di abbandono ed è visitabile da chiunque (vandali compresi): il viaggio parte proprio dall’esterno del decadente palazzo, recintato ma facilmente accessibile anche per la nostra protagonista, che, dopo anni, torna sul luogo del delitto, alla ricerca di verità che, forse, avrebbe fatto meglio a lasciare sepolte.

La storia è una di quelle che meritava di essere raccontata, e conferma che il medium videoludico può farsi latore di messaggi che vanno ben oltre “ammazza tutto quello che si muove su schermo” o “segna un goal e personalizza la tua esultanza”.
Il punto è che se narrativamente il titolo rapisce, coinvolge, addolora, a livello ludico si basa su meccaniche assai deboli, in cui l’interazione è minima, la libertà di scelta praticamente nulla e le fasi di esplorazione del tutto assenti.
La storia di Reneè è confusa, dolorosa, segue gli stralci di memoria della protagonista e tiene un registro sempre bilanciato, senza inutili pietismi né enfasi eccessiva: l’empatia scatta immediatamente, il giocatore si ferma e accetta delle convenzioni stampate a fuoco dai titoli esclusivamente narrativi usciti negli ultimi anni, ma, quando l’amara conclusione si dispiega dinanzi ai suoi occhi, si rende conto di non aver veramente interagito, di non aver impiegato il cervello se non per riflettere sulle atrocità mostrate a schermo.
Non che sia poco, intendiamoci, ma probabilmente il veicolo migliore per una siffatta storia sarebbe stato uno scritto, un documentario o un film, perché l’interazione, che è alla base del concetto di videogioco, è davvero ai minimi termini.
Ci sarebbero fiumi di parole da scrivere sulla vicenda della protagonista e di tante donne come lei, straziate nell’animo e nel corpo per buona parte del secolo scorso, tra ricoveri coatti, violenze, abusi, trattamenti medici disumani, ma lo spoiler è sempre dietro l’angolo e,  visto che l’esperienza di The Town of Light si esaurisce tutta con il suo arco narrativo, farei un torto ai lettori a dilungarmi oltre.
Sappiate solo che vi farete un sacco di domande, che cercherete risposte dentro di voi e in rete, e che il vostro punto di vista su certi concetti potrebbe uscire sensibilmente modificato dall’esperienza.

(Slow) Walking simulator

A fronte di una storia scioccante e discretamente narrata, l’aspetto ludico di The Town of Light si rivela debole e ripetitivo: nonostante la definizione di walking simulator contenga un tono dispregiativo che non condivido, attenendosi al solo significato base del lessico, fotografa bene l’esperienza di gioco, visto che la protagonista non dovrà far altro che camminare lungo i tetri corridoi della struttura (e nelle immediate vicinanze), attivando qualche valvola qua e là e un paio di interruttori.
Ciò che non funziona è il fatto che il giocatore sia costretto ad esperire la storia nell’ordine rigidamente prefissato dai programmatori, senza la possibilità di esplorare liberamente: sebbene sia tecnicamente possibile ignorare i suggerimenti ad alta voce della protagonista, e prendere la propria strada, non ci si imbatterà in altro che oggetti con cui non è possibile interagire, porte chiuse e camere desolatamente vuote.
Non c’è alcun incentivo ad immergersi totalmente nel mondo di gioco, né la narrativa ambientale che ha fatto la fortuna di altri titoli, dove particolari spesso anche non secondari potevano essere tralasciati completamente dai giocatori più distratti.
Qui, si prosegue lungo rigidi binari, visitando le ali della struttura nell’ordine prestabilito, sbloccando porte e filmati in una precisa sequenza, leggendo lettere, cartelle cliniche e note d’archivio se e quando il gioco prevede che questo sia possibile.
Parte del fascino di questo tipo di prodotti, a mio avviso, risiede anche nello scoprire da sé dove stia la verità, cosa è successo realmente e in quale ordine, mettendo insieme i pezzi del puzzle e giungendo ad una conclusione plausibile: The Town of Light, invece, si comporta (di nuovo) come un documentario, somministrandoci pezzi di verità al suo ritmo, tenendoci le mani legate mentre apriamo la bocca, come uccellini troppo piccoli.
Si può obiettare sulla reale qualità dei giochi degli ultimi quindici anni, e sul progresso tecnologico applicato ai videogiochi, ma se c’è una cosa che non si può negare, è che la libertà di scelta, di esplorazione e di ragionamento siano tra le conquiste migliori delle ultime due o tre generazioni di console (PC incluso, ovviamente): per questo non capisco la scelta di vincolare così tanto narrazione, esplorazione e ritmi, quasi come se LKA non si fidasse della capacità del giocatore si mettere insieme da solo, e con i suoi tempi e modi, i pezzi del lacerante puzzle che è il loro prodotto.

Il passato ritorna

Il tuffo nel passato, passatemi la metafora, è doloroso non solo per la protagonista, ma anche per il giocatore, e non solo in senso figurato: anche giocato con tutti i dettagli al massimo, il gioco fatica a stupire per la sua cosmesi, e sembra uscito direttamente dalla scorsa generazione di hardware per mole poligonale, pulizia delle texture e livello di dettaglio.
Chiaramente, l’aspetto tecnico è di gran lunga secondario rispetto a quello narrativo, ma una veste grafica maggiormente attraente non avrebbe guastato.
Il sonoro gioca con le orecchie del giocatore, proponendo rumori sordi in sottofondo e un paio di attimi molto intensi, quasi a voler depistare sui reali sviluppi della trama: capita, allora, di sentire dei passi in lontananza, di assistere ad una porta aperta dall’esterno mentre noi siamo rinchiusi dentro, di udire il leggero sibilo di un ruota di una carrozzina che, inspiegabilmente, gira da sola.
Ho apprezzato la regia virtuale, con qualche gioco di camera durante le cutscene che rende benissimo la condizione di impotenza della povera Reneé, molto meno, invece, il rapporto quantità/prezzo: parliamo di due ore e mezzo circa di gioco, peraltro con le numerose limitazioni già menzionate, a fronte di diciannove euro.

Sinceramente troppi.

Commento finale

Sono sinceramente dispiaciuto di non poter promuovere a pieni voti un titolo che mi ha fatto rabbrividire, riflettere e mi ha lasciato tanto amaro in bocca, ma The Town of Light è un prodotto che, a mio modesto parere, ha sbagliato medium di riferimento, configurandosi più come una sorta di documentario (lievemente) interattivo che come un vero e proprio videogioco, con tutto ciò che ne consegue.
Inoltre, la brevità dell’esperienza non giustifica il prezzo richiesto.
Tuttavia, se amate i titoli fortemente basati sulla narrativa e non vi spaventano tematiche impegnative, al primo sconto su Steam potreste farci un pensierino.