Destiny: Il re dei corrotti – Recensione

Recensione di Gianluca Arena

Tra i progetti più costosi, attesi e chiacchierati dell’ultimo decennio in ambito videoludico, Destiny è arrivato, esattamente un anno fa, e ha sconvolto le abitudini di milioni di giocatori, rapiti dal suo gameplay ma, nel contempo, indispettiti per una serie di piccole mancanze che ne limitavano le grandi potenzialità.
Se già il Casato dei lupi lasciava intravedere notevoli miglioramenti, il Re dei Corrotti, che inaugura la seconda stagione del MMOFPS di Bungie, può davvero segnare il punto di svolta per questo prodotto, consegnando ai giocatori tutto ciò che chiedevano da dodici mesi a questa parte. O quasi.

Di figlio in padre

La prima delle grandi notizie è che, ne Il re dei corrotti, non solo c’è una storia meno fumosa e meglio scritta di quelle viste precedentemente, ma il modo in cui questa viene narrata è finalmente degno di una produzione multimilionaria qual è lo shooter Bungie: punteggiata da cutscene dal taglio cinematografico, ben realizzate nonostante una certa legnosità dei volti dei protagonisti, la vicenda ruota attorno a due vecchie conoscenze, che i giocatori del primo anno non esiteranno a riconoscere.
Una è Eris Morn, figura chiave già del primo contenuto scaricabile, L’oscurità dal profondo, che vestirà un ruolo fondamentale anche stavolta, e l’altro è Oryx, ovvero il padre di quel Crota che ha movimentato le serate di milioni di giocatori durante l’Anno I.
Per nulla contento del trattamento che i guardiani hanno riservato al figlio, Oryx corrompe ognuna delle specie che abbiamo imparato a conoscere, dai Vex ai Cabal, e ingrossa così le fila del suo esercito, che staziona all’interno dell’Astrocorazzata, enorme nave da guerra che gravita intorno all’orbita di Saturno, nonché unica nuova ambientazione esplorabile di questa espansione.
Più che la storia in sé, interessante ma priva di svolte narrative o colpi di scena degni di nota, è il modo in cui, finalmente, si è deciso di raccontarla a fare la differenza: a costo di sovraesporre ed esagerare con le spiegazioni, Bungie fornisce un quadro preciso degli avvenimenti e di come questi si legano a quelli passati, proponendo vicende appetibili tanto ai neofiti quanto a coloro i quali giocano ininterrottamente da dodici mesi.
Complice il cambio di doppiatore, sono stati registrati nuovi dialoghi anche per tutte le vecchie missioni della storia base del gioco, che i giocatori più hardcore non esiteranno a rivisitare per racimolare qualche punto esperienza aggiuntivo.
Il taglio cinematografico, qualche battuta gustosa, un maggior numero di linee di dialogo doppiate e finanche un abbozzo di narrazione ambientale accompagnano il giocatore lungo le cinque – sei ore necessarie a concludere la campagna principale, che comunque non esaurisce l’offerta ludica del pacchetto, sì costoso ma tutt’altro che avaro in termini quantitativi.

Rivoluzione

Preceduto da una patch sostanziosa (nell’ordine dei diciotto giga su PS4, la console di riferimento su cui sono stati svolti i test), Il re dei corrotti rappresenta, per moltissimi versi, un nuovo inizio per Destiny, visto che va a toccare una miriade di aspetti perfettibili, meno uno, ovvero il gunplay, che era poi la scintilla che ha fatto scoccare l’amore in milioni di giocatori.
Il level cap, innalzato a quaranta, è ora raggiungibile tramite un normale avanzamento basato sui punti esperienza, sulla falsariga di un qualsiasi gioco di ruolo, in luogo dell’inutilmente complicato sistema basato sui punti luce che ha fatto ammattire i neofiti solamente dodici mesi fa.
Il senso di progressione è adesso costante, e gratifica maggiormente l’utente, che intraprende più volentieri quest secondarie (presenti in buon numero) e taglie anche ripetitive, con la prospettiva di avanzare di livello indipendentemente dall’equipaggiamento indossato.
La luce rimane un indicatore della validità dell’equipaggiamento del giocatore, un coefficiente che prende in considerazione i valori di attacco e difesa, così da condensare, in una sola cifra, la bontà delle nuove armi rinvenute, aiutando anche i meno esperti nella scelta dell’armamentario.
Per ognuna delle tre classi, poi, è stata aggiunta nuova sottoclasse, che amplia lo spettro di possibilità a disposizione, favorendo un approccio radicalmente diverso anche a missioni già portate a termine, così come una ventata di aria fresca la porta il nuovo sistema di loot, che, pur lontano dalle vette di titoli come Diablo III, adesso ricompensa i giocatori in maniera più cospicua e molto meno casuale che in passato.
Permangono idiosincrasie peculiari, tali che vi troverete a ricevere un engramma leggendario da un nemico comune e magari solo delle munizioni dopo aver sanguinosamente abbattuto un boss alto quanto un palazzo. Tant’è.
In ogni caso, parliamo di quisquilie rispetto all’oscuro sistema che governava il loot durante la prima stagione, e adesso non sarà poi così raro trovare che una normale arma non comune (di colore verde) si riveli più valida della leggendaria che ci si porta dietro dagli assalti dell’Anno I.
A proposito di assalti, ne sono stati aggiunti altri quattro, uno dei quali al momento esclusivo per Playstation 4, che si distinguono per la varietà delle situazioni proposte rispetto a quelli, ormai familiari, cui i veterani erano abituati.
Decine di ulteriori modifiche comprendono la presenza di un quest log efficiente (la schermata delle Imprese) che racchiude tutte le missioni e le Taglie intraprese, con la gradita possibilità di riscattarle senza passare dalla Torre, la possibilità di saltare i filmati d’intermezzo, Pattuglie sui pianeti ravvivate da orde di nemici e tanto altro ancora: la notizia più confortante, per chi si è innamorato della precisione e della finezza del gameplay, è che le sparatorie sono rimaste identiche (erano d’altronde già virtualmente perfette, a parere di chi scrive), tanto da farvi pronunciare la fatidica frase “un’altra taglia e poi smetto”.

Da soli e in compagnia

Le aggiunte e le modifiche al pacchetto, tutte per il meglio, hanno l’effetto di rendere molto più godibile l’esperienza di gioco anche per i lupi solitari, sebbene il focus di un titolo come Destiny rimanga il multigiocatore: i server sembrano aver retto più che bene i primi giorni dopo il rilascio, che, come molti titoli contemporanei sanno bene, sono sempre i più complicati da gestire.
C’è, tra tante migliorie, qualcosa che non è piaciuta? Certo che c’è, sebbene, rispetto al recente passato, l’onda lunga delle cose a cui si è posto rimedio nasconde, in gran parte, quelle che ancora sono migliorabili.
Su tutte i tempi di caricamento, ancora oltremodo estesi anche su console current gen, la scelta di poggiarsi a brevi (e inconsistenti) sequenze platform durante alcune missioni della storia (già viste nella missione finale del precedente DLC), la mancanza di matchmaking in tutte le modalità online, il costo del pacchetto, non certo dei più economici, e il costante riciclo di ambienti e nemici, nonostante, grazie alla corruzione, i pattern dei vecchi avversari siano stati modificati e resi decisamente più pericolosi.
In più punti della campagna, Bungie sembra aver pescato a piene mani dal suo glorioso passato, riproponendo, nella dualità tra Corrotti e nemici comuni, quella tra Flood e Covenant vista in Halo 3, con risultati altrettanto lusinghieri.
C’è, insomma, ancora margine di miglioramento, ma il balzo in avanti, in termini di user experience e di appetibilità del pacchetto, è davvero consistente rispetto al recente passato, e ne va dato atto alla software house americana, che sembra aver prestato orecchio alle richieste della sua appassionatissima community.

Commento finale

Un anno fa, Destiny era un embrione di gioco, un gameplay stratosferico contornato da troppe mancanze e troppe scelte di game design discutibili. Oggi, con Il re dei corrotti, la produzione Activision si candida al ruolo di acquisto praticamente obbligato per tutti gli amanti degli FPS, degli MMO e, in misura minore, anche dei giochi di ruolo.
Merito di Bungie, che si è rimboccata le maniche e ha smussato tutti gli angoli acuti della sua creatura, ma anche di una community appassionata e numerosa, che ha dato fiducia al prodotto anche quando le promesse non collimavano con la realtà dei fatti, come invece succede adesso.