Valiant Hearts: The Great War – Recensione

Recensione di Stefania Sperandio

Con la loro sempre maggiore massificazione e con i limiti imposti dal PEGI che raramente vengono rispettati dai fruitori, siamo oramai tutti consapevoli che i videogiochi hanno un rapporto a dir poco conflittuale con i mass media. Quando il nostro hobby preferito gode di passaggi televisivi – se non pubblicitari – si tratta di citazioni nei fatti di cronaca, dove si associa spiacevolmente questo medium alla sua presunta capacità di rendersi diseducativo per i minori, e di divenire incitazione alla violenza. In questi anni, critica ed appassionati hanno tentato in tutti i modi di far sentire la loro voce, di spiegare ai neofiti e a coloro che guardano con diffidenza verso il mondo del gaming che no – GTA non ci rende delinquenti e Assassin’s Creed non ci rende assassini. 

In aggiunta, anzi, ci sono titoli che possono essere formativi, che possono portare addirittura ad una crescita interiore, all’arricchimento personale.
Ci abbiamo provato in tutti i modi, ma solo qualcuno c’è riuscito, e lo ha fatto nel modo più diretto, ispirato e profondo possibile: quel qualcuno è Ubisoft Montpellier, e il suo contributo alla causa si chiama Valiant Hearts: The Great War.

Giocare la Grande Guerra

Come suggerisce il sottotitolo, l’opera della software house francese ci trascina ai tempi della Prima Guerra Mondiale, e fa del suo meglio per raccontarci lo scorrimento dei veri eventi, battaglia dopo battaglia, trincea su trincea, intrecciandoli a quelli personali dei quattro protagonisti.
Proiettati nel 1914, ci ritroveremo così all’interno di un fronte europeo mai così bello da vedersi, realizzato con un UbiArt Framework che, ancora una volta, si rivela essere un piacere per gli occhi. In due dimensioni e in aree a scorrimento prevalentemente orizzontale, ci ritroveremo così a controllare, uno per volta, i diversi personaggi, ciascuno dotato di abilità particolari e distintive: il francese Emile, ad esempio, può scavare all’interno delle trincee per aprirsi dei passaggi, mentre lo statunitense Freddy può tagliare il filo spinato per attraversarlo. Inoltre, superati i primissimi capitoli, potrete anche contare sull’aiuto del fedele cane Walt, al quale potrete impartire degli ordini.

Così, nei panni di volta in volta dei diversi personaggi, dovrete risolvere dei puzzle ambientali generalmente semplici ma impegnativi quanto basta, che risultano praticamente un pretesto per portare allo scorrimento della storia. Nonostante la facilità di fondo, però – rafforzata anche da un sistema di aiuti che vi propone dei suggerimenti per risolvere i puzzle quando trascorrerete troppo tempo fermi – il gameplay riesce comunque a risultare godibile. Vi ritroverete così a procurarvi oggetti utili ad aprirvi un varco, a lanciare esplosivi per distruggere le barriere nemiche o a sfruttare le carrucole per portare il vostro fidato cagnetto a tirare una leva che vi aprirà il passaggio.
Le fasi puzzle si alternano ad alcune pseudo-stealth dove vi viene richiesto di evitare la sorveglianza nemica o di tramortirla alle spalle, nascondendovi nell’ombra secondo schemi sempre molto semplici, arrivando ad altre ancora nel corso delle quali dovete schivare gli ostacoli mentre fuggite a bordo di un veicolo, fino ad i rari QTE. Completata una determinata sequenza, ogni capitolo propone infine una boss fight, nella quale dovete dare sfogo al vostro ingegno per elaborare una strategia vincente. Anche in questo caso, bisogna sottolinearlo, il livello di difficoltà rimane comunque decisamente basso, e già al primo tentativo potrete avere ragione dell’avversario.

Le esplorazioni e la risoluzione dei puzzle che vi portano a procedere nei quattro capitoli che costituiscono il gioco sono impreziosite dalla raccolta di oggetti segreti sparsi nella mappa, raccogliendo i quali potrete scoprire dettagli sulla vera storia della Grande Guerra: ritroverete così un accendino tale e quale a quelli realmente utilizzati in trincea, scoprirete i segreti che i soldati sfruttavano al fronte per non congelare, apprenderete delle loro lettere inviate alla famiglia e stringerete tra le mani le loro medagliette di riconoscimento. Mentre la Grande Guerra imperversa, e si conta già il prossimo caduto.

Vivere la Grande Guerra

Oltre all’impostazione volutamente leggera del suo gameplay, adatta anche ad un pubblico di giovanissimi, e alla brillantezza dell’engine, il fiore all’occhiello di Valiant Heartsè costituito dalla sua componente culturale: il gioco è stato infatti realizzato in collaborazione con Apocalypse, che ha fornito documentazioni, testimonianze e approfondimenti reali, capaci di rendere le trincee del gioco più vive ed umane che mai. Ecco così che ogni oggetto raccolto per risolvere un puzzle rivela la vita dei soldati, ecco che vi ritroverete a scoprire la vera Storia dietro all’ambientazione che state attraversando – quella con la S maiuscola – ed ogni piccolo dettaglio della Prima Guerra Mondiale si staglierà manifesto davanti ai vostri occhi, così concretamente da poterlo toccare. Il tutto, quasi paradossalmente, mentre siete intenti a giocare ad un titolo così tanto simile ad un cartone animato.

Al contesto storico, introdotto in maniera convincente ed educativa, si affianca la sceneggiatura del gioco, che si regge sulle gambe robuste della semplicità, riuscendo a mostrare del buono anche nello schieramento – quello tedesco – che per larghi tratti avvertirete come antagonista. Si poteva fare qualcosa di più nella caratterizzazione di alcuni nemici, a tratti ritagliati in maniera eccessiva da quelli di un fumetto, ma la sceneggiatura, nel complesso, si amalgama in maniera brillante con lo scorrere degli eventi della Grande Guerra, e riesce a ricordare, riga dopo riga, che quella delle trincee fu una lotta tra uomini strappati alle loro famiglie e spediti al fronte. Armati fino ai denti, distaccati dalla realtà che da sempre conoscevano, lanciati nelle prime linee con l’intento di uccidere – ma uomini e nient’altro.


Conclusioni

Valiant Hearts è un’opera d’arte. In uno schieramento di giochi di guerra che vogliono raccontarvi il conflitto con le sparatorie, il fotorealismo e con il sangue versato, la fatica di Ubisoft Montpelliervi porta a ricordare e onorare le vittime della Grande Guerra vestendone i panni, ma senza mai chiedervi di tirare il grilletto contro qualcuno, nemmeno una volta. Il gameplay si rivela molto molto semplice ma attraente, le meccaniche vengono alternate con un buon ritmo – anche se non sono molto varie e l’esperienza è breve – e la sceneggiatura, seppur senza grandi colpi di scena, è capace di emozionare e lasciarvi qualcosa dentro. È il trionfo dell’atmosfera, della colonna sonora ricercata, di un contesto che, per quanto brutale e crudele, viene reso accessibile anche ai più giovani.

Ed ecco che, infine, si concretizza la tanto attesa risposta: i videogiochi sono diseducativi per le prossime generazioni? Provate a chiederlo a chi ha vissuto Valiant Hearts