C’è un confine sottile, a volte quasi invisibile, che separa il wargame di miniature dal Gioco di Ruolo carta e penna. Nelle fiere, negli hobby, nei videogiochi, spesso e volentieri, wargame e gioco di ruolo sono due cerchi se si intersecano fino a quasi sembrare la stessa figura.
Cinque Leghe dal Confine dipinge quel confine con maestria.
È una terra di nessuno dove la tattica, righelli e misure in pollici si scontrano con la narrazione emergente. Ho passato settimane a esplorare questa terra desolata, armato solo di dadi e meeple, per raccontarvi com’è vivere (o morire male) in Cinque Leghe dal Confine. Perché lasciate ogni High Fantasy o voi che entrate, qui non siamo nel reame degli eroi alla D&D 5e, qui si striscia nel fango.
È un titolo ibrido, un mostro di Frankenstein meraviglioso che fonde lo skirmish wargame (poche miniature, tanta tattica) con la gestione di una campagna GdR profonda, stratificata e dolorosamente punitiva. Ed è giocabile rigorosamente, meravigliosamente, in solitario.
Un mondo fantasy Spada e Fango

Vi conviene non affezionarvi troppo ai vostri personaggi. Cinque Leghe dal Confine mette subito le cose in chiaro con la sua ambientazione low fantasy cruda, a tratti grimdark. Un figlio tra The Witcher 3 e Mordheim, il tutto consegnato con decine di tabelle di generazione procedurale.
Il vero Game Master di Cinque Leghe dal Confine è il caso e il suo avatar altro non è che il dado. Il Gioco è Miniature Agnostic, non gliene frega nulla insomma che miniature state utilizzando, se quelli di Warhammer, tappi di bottiglia, meeple generici o addirittura le miniature del presepe. Il gioco funziona fintantoché saremo capaci di distinguere le miniature l’una dall’altra, facile no?
E se proprio l’impegno di procurarvi dei meeple è eccessivo, esiste sempre la soluzione digitale di qualsiasi VTT o Tabletop Simulator, e dopo averli provati, fidatevi che funziona uguale.
Voi mettete i modelli, il gioco crea il mondo: che siano mappe, insediamenti, minacce, rivali tutto viene generato tramite tabelle che creano le basi rapidamente e di rado sono banali.
La ripetitività del contenuto diventa un problema solo dopo lunghe campagne, ma nulla che realmente pone un ostacolo al divertimento, specialmente perché è sempre possibile per chi gioca inventarsi contenuto una volta che si è familiari col sistema di gioco.
Burocrazia e Adrenalina

Cinque Leghe dal Confine viaggia a due velocità distinte, contenendo in sé un po’ un ossimoro, creando un ritmo a tratti quasi ipnotico.
Il gioco divide il suo gameplay in turni di campagna, a loro volta divisi in fasi. Le fasi le possiamo dividere in due categorie
Da una parte ci sono le Fasi Narrative, la parte più “gioco di ruolo”. Qui è una vera e propria gestione risorse, mantenimento della banda, curare le ferite (che richiedono tempo), fare acquisti al mercato nero e in generale decidere che direzione prendere.
Da un lato è gestionale cartaceo che costringe a fare i conti con la scarsità di risorse, dall’altro è un generatore di avventure e misteri. In questa prima parte ci sono la fase preparatoria e la fase di avventura, che fungono da ingresso e cornice narrativa importante e fondamentale per la seconda parte di un turno di campagna. In queste fasi emerge il Fango, comunicato da tabelle e step burocratici ma necessari a dare ordine.
Dall’altra c’è lo scontro e risoluzione, le fasi “Wargame“, composte da Incontro e Risoluzione. Ora non sempre l’incontro si può trasformare in un combattimento sanguinolento, come non tutti gli incontri sono fatti per essere affrontati e battuti. Il gioco sottolinea più volte che la Fuga non solo è un’opzione, a volte è proprio consigliata.
Qualora i mercenari sono abbastanza sfortunati da incappare in un turno di Battaglia, questa si dirama in ancora più possibilità in una mischia fatta di Scambi, ognuno dei quali a sua volta diviso in passi dall’arma alla risoluzione. I primi scambi risulteranno macchinosi e richiederanno il manuale costantemente aperto alla pagina delle regole, ma col passare delle ore di gioco diverrà sempre più una seconda natura.
Questo è un po’ il “difetto” della maggior parte dei wargame, per avere un valore tattico è necessario un certo grado di complessità, e Cinque Leghe dal Confine non si fa problemi a essere complesso. La fase di risoluzione è un ultimo step burocratico per determinare l’evoluzione della trama e dei personaggi, le risorse perse e acquisite, e un m omento di tregua prima di ricominciare il brivido del rischio.
Il dado scrive la storia

La vera punta di diamante del sistema di gioco è proprio la narrativa emergente: non c’è uno script predefinito di come la storia debba procedere, la storia nasce dalle sfighe e i colpi di fortuna.
Un tiro sfortunato può dar vita a un’imboscata e alla morte di un personaggio. I personaggi guadagnano cicatrici, fobie e rancori. Superati i primi difficili passi, nasce un attaccamento a questi piccoli pezzi di plastica su cui è proiettato un nome. La loro sopravvivenza non è garantita e ogni nuovo turno di campagna il rischio torna più forte di prima.
In Cinque Leghe dal Confine, il dado scrive la storia e noi la raccontiamo.
Nonostante gli sforzi però di accessibilità, di profondità e di immersione fatti dal manuale, l’altra faccia della medaglia è che Cinque Leghe dal Confine è un gioco che richiede un ammontare di bookkeeping pauroso. Note, appunti e mappe. È l’incubo delle persone disordinate.
Intersezioni
Cinque Leghe dal Confine è un gioco che raggiunge il suo obiettivo con maestria, ma non è un gioco per tutti. È un’esperienza solitaria, crudele e a tratti frustrante (come ogni gioco difficile). È per chi ama a le storie che nascono dal fango e sangue, per chi ama vedere un gruppo di disperati plasmarsi in una banda di cinici veterani cicatrizzati. È un gioiello di design che fonde wargame e gioco di ruolo, ma ne eredita anche le difficoltà. Ma se piacciono entrambi, e avete la pazienza di gestire i registri necessari e lo stomaco per accettare le sconfitte, potrebbe diventare la vostra nuova ossessione
