Avete mai pensato a quanto sia difficile giocare di ruolo in ambientazioni storiche, o anche soltanto progettare un modo efficace di farlo? Non mi riferisco alla difficoltà di fare una buona ricerca storica e poi scrivere un gioco dalla lore basata su basi certe, ma di creare un sistema di gioco in grado di trasmettere i temi fondamentali di un’epoca e della sua mentalità.
Ebbene, se siete appassionati di giochi di questo tipo, e in particolare di giochi che permettano di immergerci in uno scenario da opera di fiction storica (e in particolare, in questo caso, di gialli storici), Rosewood Abbey, scritto da Kalum e pubblicato dai ragazzi di Grumpy Bear, è davvero un’occasione da non lasciarsi sfuggire.
Scropriamolo insieme nella nostra recensione.

Tra i misteri dell’abbazia
Giocare a Rosewood Abbey è una di quelle poche esperienze di gioco di ruolo basato sulla fiction storica in grado di trasportarti davvero in un altro mondo.
Ispirato alle atmosfere dei gialli ad ambientazione medievale, ma anche alla grottesca iconografia del folklore dell’Europa centro-occidentale (l’autore, Kalum, è di origine francese), il gioco pubblicato da Grumpy si basa su un sistema di regole powered by Brindlewood che non permette soltanto di inscenare una perfetta detective story in salsa monastica sul modello de Il Nome della Rosa o del ciclo di fratello Cadfael della britannica Ellis Peters e, soprattutto, di immergerci nella mentalità di un monaco di quell’epoca mediante poche ma semplici linee guida.
Le campagne di Rosewood Abbey si basano sulle indagini dei frates herodoti, un gruppo di monaci che ha fatto della ricerca della verità la loro ragione di vita. All’interno dell’Abbazia di Palissandro, ambiente “topico” che nelle sue caratteristiche riflette la più classica delle location monastiche, i frates dovranno mettere alla prova il loro talento investigativo e la loro arguzia per fare luce su misteri all’apparenza sembrano ammantati di contorni quasi soprannaturali, ma che spesso viceversa possono nascondere soluzioni molto logiche.

Un pio confratello viene ritrovato senza vita in un punto irraggiungibile dell’abbazia? Non può che essere opera del Diavolo (quando invece ragionare sulla presenza di un passaggio segreto può spiegare l’accaduto).
Nell’acquasantiera della chiesa sboccia una pianta in maniera del tutto assurda? Benedizione divina (oppure, molto probabilmente, una cospirazione messa su da qualche monaco o visitatore, magari per far clamore).
Il fatto però è che siamo nel Medioevo, e le convizioni/convezioni dell’epoca (la fede, la certezza dell’esistenza di miracoli o maledizioni, o anche il peso delle parole di grandi monaci del passato tramandate di generazione in generazione), ben attecchite nei personaggi, possono condurre i personaggi fuori strada e rendere la scoperta della verità molto più difficile, motivo per il quale in Rosewood Abbey non esistono vere e proprie soluzioni dei “misteri” (ovvero le avventure che potremo giocare), e i giocatori dovranno collaborare tra loro per arrivare a un’idea condivisa su cosa sia accaduto e dare una loro spiegazione. Ricordate proprio Il Nome della Rosa? Per quanto il suo protagonista Guglielmo da Baskerville fosse una sorta di geniale Sherlock Holmes ante-litteram in grado di seguire il metodo osservativo per risolvere i misteri dell’abbazia, la sua ricerca era ostacolata dalla forma mentis molto più “retrograda” delle persone che lo circondavano: è esattamente quel che succede in Rosewood Abbey, in cui la ricerca della verità diventa una narrazione collettiva che esalta la creatività.
Proprio perché i Misteri di Rosewood Abbey non hanno una soluzione certa, questi ultimi non saranno composti da pagine di descrizioni approfondite di cosa succede durante il gioco, ma da elenchi di location, personaggi e agganci sui quali i giocatori possono innescare le diverse situazioni di gioco.
Vediamo come.
Le meccaniche del convento: com’è giocare a Rosewood Abbey
Di base, il sistema di gioco di Rosewood Abbey si rifà al sistema powered by Brindlewood, tratto da Brindlewood Bay di Jason Cordova: a guidare la progressione dei giocatori di scena in scena è l’esito delle mosse messe in campo dai protagonisti e risolte da lanci di due d6, i cui esiti guidano la narrazione.
Per fare un esempio pratico: in caso volessimo utilizzare Indagare, dovremo tirare i nostri due fidati D6 e confrontare il risultato con la tabella dedicata alla prova; a seconda del risultato, l’azione innesca una serie di esiti che fanno scorrere la scena e giungere a una conclusione che influenzerà il proseguo dell’avventura.
Se la dinamica di base sembra semplice, il talento di Kalum, autore del gioco, è stato quello di inserire nel sistema alcune meccaniche che servono a “regolamentare” l’atmosfera di grande incertezza che regna all’interno di un’ambientazione del genere, come il Giro di Voci, un particolare schema da mettere al centro del tavolo di gioco che permette di tener conto delle dicerie e delle convinzioni popolari più diffuse tra i personaggi.
Ogni volta che i personaggi si imbatteranno in una voce negativa o positiva riguardate il mistero e sue particolari figure (virtuose, in caso la loro nomea sia positiva, peccaminose in caso di voci negative), i giocatori dovranno aggiornare il Giro di Voci, come se fosse un registro dell’indagine. Al termine del gioco, a seconda dell’esito dell’indagini , degli elementi raccolti e dei ragionamenti dei giocatori, i frates saranno chiamati a dover dare un giudizio sul sospettato principale, giudizio che può portare tanto alla sua canonizzazione (se l’esito delle indagini sarà che questa persona ha una nomea da santo) quanto nella sua scomunica (in caso invece appaia come un peccatore degno di finire nelle fauci dell’inquisizione).
Questo sistema permette al party di simulare perfettamente le atmosfere alle quali accennavamo sopra, e se si entra nel mood giusto da appassionati del genere (come quello che ha caratterizzato la partita di prova per questa recensione, alla quale hanno partecipato tanti fan di Umberto Eco), il risultato è davvero divertente e permette di immedesimarsi completamente, nonché in teoria di avere a disposizione infinite occasioni per rigiocare anche solo un singolo spunto.
Questo utilizzo molto strutturato delle mosse e del Registro delle Voci fa scaturire un gioco che senza dubbio privilegia delle meccaniche fortemente legate all’ambientazione, quindi aspettatevi un’opera “di nicchia”, adatta a gruppi con voglia di provare esperienze particolari.
Un manuale degno di un codex medievale
Infine, due parole sulla confezione, che personalmente ho molto gradito sia per il formato che per lo stile grafico interno, reso mirabile anche grazie all’altissima qualità della localizzazione e pubblicazione di Grumpy Bear e del suo sapiente team (che ringraziamo per la copia).
Per quel che riguarda il volume in sé, si tratta di un manualetto in un agevole formato tankobon facile da leggere e consultare, una scelta che farà felici tutti coloro che rimangono spaventati al pensiero di dover comprare l’ennesimo tomo dall’aspetto imponente che andrà a prendere spazio in libreria. Ma a sorprendere ancora di più c’è il fatto che, delle circa 180 pagine del manuale, la prima metà è occupata da una sorta di report di una giocata effettuata da autore e playtester, una vera e propria trascrizione che permette al lettore di immergersi subito nel gioco e di prendere confidenza con i meccanismi ancora prima di passare al regolamento, presente nella seconda sezione: quando arriveremo a quel punto, la comprensione dei concetti di gioco sarà molto più intuitiva, e ci permetterà di prepararci a una giocata di prova anche soltanto dopo una prima lettura.

Personalmente ho apprezzato tantissimo la cosa, al punto dall’auspicare che sempre più autori ed editori prendano in seria considerazione questa tecnica: il mio primissimo master di Dungeons & Dragons diceva tranquillamente che i primi approcci di un neofita al gioco devono essere al tavolo, in modo da permettergli di seguire le prime sessioni di gioco per capire il regolamento in prima persona, senza doversi sciroppare “a freddo” pagine di regolamento.
Tenendo presente che forse è un consiglio anche piuttosto azzardato, e che spesso arrivare al tavolo senza una lettura approfondita delle regole può portare a rallentamenti e fraintendimenti, leggere il “racconto di guerra” di un’avventura gdr già realizzata è forse il giusto e miglior compromesso per imparare un nuovo regolamento senza rimanere impantanati in paragrafi fatti di esempi ridondanti o di ragionamenti troppo astratti.
Altra grande nota di merito è per il comparto artistico, minimale ma estremamente funzionale: poche miniature tratte da manoscritti d’epoca piazzati in maniera elegante all’interno della pagina, incastonandolo in un insieme molto elegante e pulito.
Conclusioni
Rosewood Abbey è un gioco di ruolo sicuramente “di nicchia”, ma costruito con cura e passione in ogni suo aspetto e in grado di catapultarci in un Medioevo monastico vivo e accattivante grazie a un regolamento snello ma accurato e funzionale. Le sue meccaniche particolari potrebbero non accontentare chi cerca un’esperienza di ruolo più tradizionale, ma al contempo non mancheranno di farsi amare da quei giocatori amanti di un tipo di gioco più narrativo e dedicato ad ambientazioni immersive. Infine, non serve dirvi che, se Il Nome della Rosa è il vostro romanzo o film preferito, una campagna è assolutamente d’obbligo.
