Pensate che mettere l’IA dentro gli uffici faccia male al lavoro ma il capo è convinto? Volete fargli vedere i dati ufficiali di uno studio in cui questa convinzione si sgretola?
Secondo alcuni avere l’intelligenza artificiale come compagno di lavoro tutti i giorni aiuta e aumenta la produttività. Ma in realtà, e parlano i numeri di un report enorme, in pratica in quasi il 100% dei casi in cui la IA è stata inserita, oppure utilizzata o promossa, in realtà produce solo fallimento. Un fallimento che alle società che si lanciano in questa frenesia costa cifre esorbitanti?
Eppure ci sono poi storie come quella del CEO di Coinbase che licenzia gli ingegneri che non si sono voluti mettere a lavorare con una IA. Si mormora ormai che la grande bolla dell’intelligenza artificiale stia per esplodere. L’importante è non trovarsi nella zona del fallout.
Perché utilizzare la IA al lavoro non funziona
Ovunque si guardi online ci sono società che cercano di produrre e di vendere tool con dentro l’intelligenza artificiale per rendere più facile il lavoro, renderlo meno costoso e quindi aumentare i guadagni.

Eppure, il nuovo report pubblicato dal MIT dice che tutto quello che ci è stato finora promesso, anche a livello di guadagni per le società che abbracciano la nuova filosofia dei cervelli digitali, è in realtà una bugia. Il numero più eclatante è il 5%. Questo è il numero dei programmi pilota di intelligenza artificiale che riescono a portare guadagno e che fanno quindi un po’ di bene alle società che li gestiscono e li implementano.
E il motivo principale, secondo gli stessi autori dello studio, è il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi i tool che vengono implementati sono quelli generici che si possono trovare online e che funzionano anche gratuitamente.
Perché, a differenza di quello che forse pensano in alto negli uffici, per risparmiare all’inizio occorre comunque investire. Occorre investire, se proprio si vuole avere qualcosa che abbia a che fare con l’intelligenza artificiale, in strumenti che sono perfettamente tarati sulle reali esigenze di chi li deve utilizzare e che sono perfettamente integrati nel workflow che esiste già.
Far calare dall’alto l’obbligo a cominciare a far passare per esempio tutto il proprio codice attraverso strumenti generici come ChatGPT o Gemini o ancora Perplexity non serve a nulla.
Alcune società, che sono quelle che stanno prosperando nonostante la situazione è incerta, sono quelle che hanno scelto questo genere di soluzioni.
Per tutto il resto si tratta solo di strumenti spesso fin troppo costosi che non sono altro che uno strato ulteriore che ci divide dall’informazione base. Perché alla fine della fiera anche quello che sembra nascere all’interno di questi fantomatici cervelli digitali, non è altro che il rigurgito di quello che c’è nei loro dataset rimesso in un ordine che ha una parvenza di logicità.
Se volete vedere quanto riescono ad essere stupide le intelligenze artificiali, quello che dovete fare è proporre domande stupide: provate a giocare con loro a tris facendo ruotare lo schema di 90 gradi.
