La Tempesta S01 E05: Apostasia

Copertina per il quinto episodio di La Tempesta raffigurante degli zombi di Nurgle

È passato tanto tempo dal quarto episodio di La Tempesta, ma ora questa serie è pronta a tornare offrendovi contemporaneamente un formato articolo e uno video. Nel tetro e lontano futuro di Warhammer 40.000, l’approfondimento della vasta storia della Tredicesima Crociata Nera di Abaddon il Distruttore prosegue.

FORTEZZA-MONASTERO DEI CAVALIERI GRIGI, TITANO, SISTEMA SOL

Un'illustrazione del Justicar Alaric del Capitolo dei Cavalieri Grigi mentre regge la propria lancia

All’interno della Sala della Daga Caduta, solitamente usata per l’addestramento delle reclute, fu organizzata una riunione tra l’Ordo Malleus e i Cavalieri Grigi. Attorno ad un tavolo di legno scuro, si trovava l’Inquisitore Nyxos, affiancato dall’Inquisitrice Ligeia. Ben presto vennero raggiunti dal Gran Maestro Tencendur dei Cavalieri Grigi, seguito da una squadra di terminator e dal Justicar Alaric.

Dopo alcuni rapidi saluti, Ligeia mostrò il Codicium Aeternum, un tomo contenente informazioni su numerosi demoni banditi dal Materium, comprese le descrizioni e le date del loro esilio. Un tomo usato per monitorare i futuri ritorni dei demoni, portato in quella riunione in seguito all’arresto di Gholic Ren-Sar Valinov, Inquisitore radicale rivelatosi essere un eretico, entrato in possesso del Codicium Aeternum per poter apparentemente comprendere qualcosa in più sul ritorno di un particolare principe demone di Tzeentch: Ghargatuloth, Principe dai Mille Volti. Bandito mille anni prima, Ghargatuloth sarebbe tornato presto e ciò avrebbe richiesto un intervento immediato al fine di localizzare il luogo e il modo esatti con cui si sarebbe manifestato nuovamente nello spazio materiale.

Nyxos e Tencendur convennero sul fatto di dover entrambi intervenire personalmente nei dintorni di Cadia a causa dei recenti disordini, inoltre il Gran Maestro precisò di non poter prendere personalmente il comando e di non poter nemmeno lasciar loro alcun grande ufficiale, considerata l’emergenza della Tredicesima Crociata Nera. Per questo motivo, Nyxos rivelò la propria idea: affidare l’indagine all’Inquisitrice Ligeia e richiedere esclusivamente l’accompagnamento di una forza composta dal Justicar Alaric, la sua squadra terminator, due squadre d’attacco e l’incrociatore Rubicone. Dopo qualche chiarimento, Tencendur approvò lo schieramento proposto, perciò Ligeia e Alaric poterono iniziare i preparativi di un’operazione che li avrebbe tenuti occupati nelle settimane successive. Una faccenda lontana dagli affari della Crociata Nera, ma che Alaric iniziò a reputare importante, poiché l’attacco di Abaddon doveva certamente ricevere una grande dose d’attenzione, ma non bisognava nemmeno dimenticare il resto della galassia, altrimenti nemici subdoli e inosservati avrebbero segnato la rovina di tutto il restante Imperium.

Nyxos partì, ma successivamente finì comunque sui passi dell’indagine di Alaric e Ligeia. Al contrario, il Gran Maestro Tencendur non fu più rivisto. Pur non essendoci maggiori dettagli, la sua partenza per la zona di guerra cadiana segnò la sua ultima presenza negli archivi, segnando un’altra perdita nei ranghi dei Gran Maestri dei Cavalieri Grigi, già recentemente colpiti dalla morte di Valdar Aurikon della 3a Confraternita.

LUOGO SCONOSCIUTO, CAPPELLANO-INTERROGATORE PHALEG

Un'illustrazione di un Cappellano-Interrogatore del Capitolo Angeli Oscuri

Usando come dotto telepatico l’Epistolario Kheros, il Cappellano-Interrogatore Phaleg degli Angeli Oscuri inviò un messaggio diretto ad Azrael, Gran Maestro Supremo del Capitolo. Con grande urgenza ed estrema riservatezza, la trascrizione del messaggio recitò le seguenti parole:

Come sempre, i tarocchi mi hanno guidato correttamente. Su Amistel I ho catturato tre discepoli di un eretico che si fa chiamare Voce dell’Imperatore. Si sono dimostrati piuttosto rivelatori. Hanno ricevuto i propri ordini su Lelithar, dove il culto della voce è più potente. Le loro descrizioni del Magos del Culto sono conformi al Caduto uno-zero-zero. La intimo di portare la Torre degli Angeli e tutta la potenza del nostro Capitolo verso il Settore Agripinaa. Le macchinazioni di uno-zero-zero hanno destabilizzato l’intero settore e provocato una sostanziale risposta da parte dell’Ecclesiarchia. La furtività non sarà necessaria, avremo bisogno di scavarci la via per raggiungerlo. Il fatto che si faccia vedere così apertamente, così vicino ai resti di Caliban in tempi come questi, richiede urgenza.

Credo che il Cancello stia per essere attaccato, la nostra resa dei conti finale con i Caduti è prossima.


Schema che mostra i dettagli della Distruttrice di Pianeti, nave ammiraglia di Abaddon il Distruttore

PONTE DELLA DISTRUTTRICE DI PIANETI, ABADDON IL DISTRUTTORE

Abaddon il Distruttore di fronte a tutte le rappresentazioni ololitiche delle zone di guerra attive

A bordo della Distruttrice di Pianeti, Abaddon il Distruttore contemplò l’ololite acceso recante l’immagine tridimensionale di un pianeta che, fino a quel momento, era sopravvissuto a tutto ciò che l’Occhio del Terrore aveva scagliato contro di esso.

“Cadia…”

Quando ne pronunciò il nome, gobbe tecno-creature e altri esseri mefitici si ritrassero tentando di aumentare anche di poco la propria distanza dal Distruttore, poiché il suo temperamento imprevedibile avrebbe potuto comportare la loro morte nel corso dei prossimi secondi. Tuttavia, Abaddon non si scompose e ragionò sugli eventi in corso e osservò i dati sparsi davanti a sé. Typhus stava già diffondendo i propri morbi attraverso i settori intorno a Cadia; i Signori della Notte di Tarraq Sangueoscuro e guerrieri appartenenti ai Divoratori di Mondi stavano spargendo morte e mutilazione con pari gaudio; altri suoni e pittocatture provenienti da altri teatri di guerra riempirono i suoi sensi finché una delle creature non ebbe l’ardore di interromperlo richiedendo la sua attenzione e notificandogli l’arrivo di un ospite.

Una guardia del corpo di Terminator si avvicinò ad Abaddon quando sul ponte apparve una figura incappucciata, racchiusa in vesti quasi candide e un’armatura potenziata dai toni scuri. Ai suoi fianchi, le fondine con due pistole ornate. Le armi rimasero ben visibili e un Terminator lo percepì come un affrontò, perciò accese i propri artigli fulmine e fece qualche passo in avanti. Abaddon osservò la scena, in attesa di scoprire la reazione del nuovo arrivato. Quest’ultimo estrasse rapidamente una delle pistole e in un momento il Terminator si trovò in ginocchio e poi a terra, la corazza del suo petto fusa in un buco incandescente. Gli altri Terminator sollevarono le armi, ma Abaddon li fermò mentre l’incappucciato rinfoderò la pistola.

Abaddon il Distruttore e Cypher si confrontano sulla Distruttrice di Pianeti
Illustrazione realizzata da Yuri Red

“È fatta?” chiese Abaddon.

L’incappucciato affermò di sì, poi elaborò. “I mondi del Settore Agripinaa sono in rivolta e su Piscina IV ho dato ai Figli del Leone un ulteriore motivo d’odio nei miei confronti.”

Abaddon chiese che cosa volesse come ricompensa per questo compito e l’incappucciato chiese solo di potersi occupare personalmente degli Angeli Oscuri quando sarebbero arrivati insieme alla Torre degli Angeli, un altro nome con cui era conosciuta la loro fortezza monastero mobile solitamente chiamata Roccia. Davanti a questa semplice richiesta, Abaddon chiese perché dovesse sentirsi grato davanti ai risultati ottenuti. Certo, pianeti bruciavano e rivolte si scatenavano, eppure, allo stesso tempo, le spie di Abaddon riportavano una fede rafforzata nei confronti dell’Imperatore, come se le avversità avessero unito certi luoghi piuttosto che spezzarli. L’incappucciato disse che Cadia sarebbe stata sua, che tutto il resto sarebbe stato un semplice contorno e che quindi non si sarebbe dovuto preoccupare dei fini altrui. Abaddon ammonì il Caduto davanti a sé, poiché niente avrebbe dovuto impedire il successo del suo piano. Con la tensione ancora alta, l’incappucciato si defilò e Abaddon tornò ad osservare l’ololite di Cadia. Come se potesse davvero toccarla, afferrò quell’immagine fluttuante con l’Artiglio di Horus.

Abaddon il Distruttore stringe nel pugno l'ololite di Cadia

“Cadia è mia…”

La Maledizione dell’Apostasia voleva dire rivolte e l’incrinarsi della fede, ma allo stesso tempo voleva dire peste, contagio, malattia. Molti furono i luoghi colpiti da essa e tra coloro che si prodigarono nel tentativo di debellarla ci furono gli Space Marine del Capitolo Aquile del Fato. Esso si sparse in aree diverse e la prima forza a schierarsi fu la 3a Compagnia comandata dal Capitano Comnenus, la quale si trovava già dirigendo verso Mondo di Van Sele nel Sottosettore Chinchare, siccome recentemente si era diffusa la notizia di una flotta caotica presente nella zona, impegnata nella razzia di un relitto spaziale. A bordo dell’incrociatore d’attacco Spettro Argenteo, Comemnus dovette abbandonare l’idea di intervenire contro quelle navi in una battaglia che tempo dopo avrebbe coinvolto anche una flotta eldar, poiché ricevette l’ordine di intervenire nel conflitto della Crociata Nera e deviò il cammino della propria compagnia affinché intervenisse nel Sistema Agripinaa, già colpito da numerosi insurrezioni di zombi. Il Capitano scisse la compagnia in cinque gruppi da venti Marine, così da poter intervenire su più pianeti del sistema contemporaneamente e tentare di fermare la crescita del contagio.

Typhus il Viaggiatore della Guardia della Morte
Benché lontano da questi campi di battaglia, Typhus mostra la propria impronta lasciata su questo conflitto. – Illustrazione realizzata da Yuri Red

La 6a Compagnia, condotta dal Capitano Torrus, giunse nel sistema qualche giorno dopo, ma venne immediatamente deviata per intercettare la nave trasporto truppe La Liberazione, siccome tutti i contatti con essa erano stati persi. Al suo interno, oltre al personale di bordo, trasportava circa centomila soldati dell’Astra Militarum e si temeva che tutti fossero caduti preda della Maledizione dell’Apostasia. Torrus organizzò un intervento tramite teletrasporto sulla nave con l’obiettivo di fermarla in attesa di una forza d’intervento sufficiente a ripulirla nel caso in cui le persone all’interno si fossero rivelate perse totalmente nel contagio.

La nave da guerra Oscura Ombra della Morte, invece, si diresse verso la circostante l’Occhio del Terrore trasportando tre intere compagnie d’Aquile del Fato in una missione classificata.

ALLA DERIVA NEL VUOTO

Quando sentì il quinto membro della propria squadra teletrasportarsi nel metallo del trasporto truppe La Liberazione, il Capitano Torrus della 6a Compagnia delle Aquile del Fato urlò nel vox ordinando lo stop all’invio di ulteriori truppe. Nonostante le interferenze, l’incrociatore d’attacco Passaggio Addolorato ricevette il messaggio e i teletrasporti s’interruppero. Torrus si riunì con gli altri tre fratelli: Ulcaca, Vidus e l’apotecario Makindlus. Il teletrasporto aveva subito dei malfunzionamenti e potevano ritenersi fortunati, non avendo condiviso il destino del loro quinto fratello. Realizzando d’essere stati portati ad oltre un chilometro di distanza dal proprio obiettivo, Torrus iniziò a condurre la squadra sperando di non risvegliare tutti gli zombi del contagio che sapevano essere presenti su La Liberazione.

In un altro angolo dell’imponente trasporto truppe, si trovava l’altra squadra d’Aquile del Fato, giunta poco prima di Torrus. Il Techmarine Callinca e quattro utilizzatori d’armi pesanti: Stellus, Balbolca, Althulca e Nibus. Non riuscendo a comunicare con gli altri confratelli, fecero il punto della situazione e partirono anch’essi verso l’obiettivo, ossia il sistema logico della nave.

Escludendo una generale desolazione, inizialmente La Liberazione ebbe il semplice aspetto di una nave fantasma. Tra strane ombre, squittio di ratti e melme nerastre, le due squadre proseguirono il proprio cammino senza essere disturbate, ma tale tranquillità durò meno di un’ora. Dopo il ritrovamento di alcuni cadaveri marcescenti, quest’ultimi iniziarono a muoversi e ad assalire gli Space Marine. Tuttavia, si palesarono solamente sotto forma di piccoli gruppi e le Aquile del Fato non ebbero troppe difficoltà nel respingerli.

Una novità giunse quando, dai condotti d’areazione, sbucò fuori Shota Klos, cappellano della nave sopravvissuto. Secondo le parole di Klos, il contagio era avvenuto due settimane prima, quando erano stati rilevati dei disturbi all’interno di una navetta da sbarco. Alcuni soldati dell’Astra Militarum avevano indagato, ma ne erano usciti cambiati. Shota Klos spiegò d’essere ancora un uomo pio dalla fede forte, poiché quest’ultima gli aveva permesso di sopravvivere mentre si fingeva morto tra mucchi di zombi, si muoveva tra i condotti e si nutriva di ciò che trovava in giro. Torrus accettò la sua spiegazione, ma precisò che lui e i suoi fratelli avrebbe mantenuto uno sguardo vigile, pronto a sparare al primo segno di contagio.

Quando erano entrati su La Liberazione, i Marine sapevano di dover indagare su un trasporto truppe silenzioso che continuava a viaggiare lentamente verso Cadia, ma in quel momento Torrus comprese meglio la situazione, rendendosi conto che quel vascello avrebbe potuto scaricare sul noto mondo fortezza un’enorme mole di zombi. Anche non sopravvivendo all’arrivo, avrebbero potuto comunque diffondere il contagio in qualche modo. Continuando l’avanzata, Ulcaca perse la vita, sommerso dagli zombi, mentre la squadra di Callinca riuscì a raggiungere la stanza di controllo del sistema logico.

Il Techmarine individuò i circuiti utili ai sistemi di navigazione e, non avendo esplosivi, optò per il semplice utilizzo della propria mano, sfruttata per afferrare quei circuiti e strapparli con violenza. Poco dopo, Shota Klos e la squadra di Torrus riuscirono a riunirsi con le restanti Aquile del Fato, momento in cui fu possibile aggiornarsi sullo stato della missione. A quel punto, avendo le comunicazioni ancora disturbate e non potendo sfruttare un altro teletrasporto per il ritorno, puntarono sul piano di riserva: raggiungere un hangar d’atterraggio, luogo in cui una cannoniera Thunderhawk li avrebbe recuperati. Klos sostenne di poterli condurre a destinazione, così la squadra si separò di nuovo, questa volta volontariamente. Callinca, Stellus e Balbolca rimasero molto più in alto rispetto ai livelli dell’hangar per poter raggiungere il generatore locale che avrebbe permesso un’apertura manuale dei portelloni. Gli altri, invece, raggiunsero subito l’hangar per poterlo liberare quanto più possibile dagli zombi, i quali stavano aumentando di numero diventando sempre più soverchianti.

Durante l’operazione, Stellus si aggiunse alle perdite, ma il generatore fu attivato e i portelloni aperti. Il piano sembrò procedere come previsto, tant’è che la Thunderhawk si presentò fluttuante davanti all’hangar. Callinca e Balbolca riuscirono a scendere e a sfruttare delle piattaforme rialzate per lanciarsi sulla cannoniera ancora in volo. Ben presto furono seguiti da una moltitudine di zombi, la quale imitò i due Marine scagliandosi sullo scafo della Thunderhawk. Con i sistemi disturbati in modo simile alle comunicazioni di tutti gli altri Astartes e il peso crescente degli zombi, il pilota non poté proporre altro che ritirarsi. Torrus capì lo stato delle cose e urlò alla Thunderhawk di andarsene. Loro avrebbero resistito e Callinca, a malincuore, accettò la ritirata promettendo di tornare con le forze necessarie a soccorrerli.

In tutta questa bolgia, la fede di Shota Klos non vacillò e il rosarius che aveva sempre portato con sé continuo a proteggerlo. Si preparò a resistere insieme agli Astartes, in attesa dei rinforzi. L’Imperatore li avrebbe prote-

Immagine di morte che accompagna la tragedia successa a Shota Klos e agli Space Marine delle Aquile del Fato

I rinforzi arrivarono due settimane più tardi. Tornando con intere squadre d’Aquile del Fato e d’Astra Militarum, Callinca mantenne la promessa fatta. Gli unici sopravvissuti furono Althulca, il Capitano Torrus e l’Apotecario Makindlus. Tutti pesantemente feriti e con qualche dito mancante. Makindlus non possedeva più gran parte del braccio destro.

Il cappellano Shota Klos era morto solo qualche ora prima, zelante fino all’ultimo respiro. Un momento prima di lanciarsi nella mischia dando la propria vita per ostacolare un attacco sul fianco così da permettere ai Marine di allontanarsi, Klos lasciò il proprio rosarius nelle mani di Torrus. Il lascito dell’ultimo fedele tra centomila passeggeri del trasporto truppe La Liberazione.

YAYOR, SETTORE AGRIPINAA

Oster Poltova, confessore dell'Imperium su Yayor

Yayor, conosciuto anche come Lyttos, non era un pianeta centrale nel conflitto in atto, eppure era comunque il più grande mondo agricolo del proprio sistema e la sua produzione di cibo sfamava una quantità immensa di persone. Considerata la sua importanza strategica, la Maledizione dell’Apostasia non risparmiò Yayor e orde di zombi cominciarono a diffondere morte e contagio capace di aumentare ulteriormente il loro numero. A questa massa sempre più sconfinata si aggiunsero truppe della Legione Nera e della Guardia della Morte, così Yayor cominciò a cedere città dopo città. Rodrigeo, Atene e Città di Herdrun furono solo alcuni degli insediamenti distrutti.

Oltre ad intervenire nel Sistema Agripinaa, il Capitano Comnenus delle Aquile del Fato si presentò anche su Yayor. Dopo aver constatato la distruzione delle città, il contingente di Comnenus tentò di trovare un qualsiasi insediamento limitrofo rimasto intatto. Atene, Rodrigeo, Peppin, Forgia della Valle, Città di Herdrun, tutti nomi di insediamenti dove le Aquile del Fato non trovarono altro che distruzione.

Eppure un insediamento resisteva ancora. Cinto da mura e popolato da qualche migliaio di persone, esso ospitava anche Oster Poltova, un uomo che aveva servito per trent’anni nella Guardia Imperiale, poi altri dodici tra i confessori della fede imperiale. Nel corso di quell’ultima dozzina d’anni, Poltova aveva pensato di poter essere un uomo di fede su un mondo pacifico e indisturbato dalla guerra. Aveva addirittura sperato di non dover mai più prendere un’arma tra le mani.

Quando un’orda della Legione Nera iniziò a caricare verso le mura della sua città, Poltova vide quelle speranze polverizzarsi. Con una spada a catena ringhiante, il confessore si lanciò contro i nemici e ordinò la chiusura dei cancelli. Tra soldati e civili, alcune centinaia sarebbero morte, ma almeno altre migliaia di persone sarebbero state salve, tra cui molte famiglie di coloro che proprio lì stavano per dare la vita.

Pervaso dalla giusta furia, Poltova fu sorprendentemente in grado di abbattere un Marine del Caos. Quando stava per abbassare la spada a catena su un altro Marine nel tentativo di colpire un punto debole, qualcosa si mosse nel cielo attirando l’attenzione di entrambi gli schieramenti. Si trattava di una Thunderhawk, la quale attraversò il campo di battaglia aprendo il fuoco sull’orda del Caos decimandola. La cannoniera atterrò e dal suo interno sbarcarono il Capitano Comnenus e le sue Aquile del Fato. Essi uccisero ulteriori Space Marine del Caos e pochi tra questi furono in grado di ritirarsi.

Poltova ringraziò Comnenus e chiese se li avrebbero trasportati presso il punto di difesa principale presso Atene. Il Capitano gli rivelò il destino degli altri insediamenti e lo preparò al peggio. Quella che avevano respinto era solo una piccola avanguardia, quelle Aquile del Fato sarebbero state gli unici rinforzi e in lontananza si avvicinavano vari Marine della Guardia della Morte e una massa incalcolabile di zombi.

Comnenus, Space Marine Capitano delle Aquile del Fato

Una volta giunta la vera massa nemica, si susseguirono quattro ore di assalto ininterrotto. Gli zombi tentarono di scalare le mura per entrare nella città, ma furono costantemente respinti. Tuttavia, otto Aquile del Fato persero la vita e le scorte di granate e combustibile per i lanciafiamme terminarono. Le munizioni per armi pesanti non si trovavano in una situazione ampiamente migliore.

A quel punto, Poltova decise di arrangiarsi con del liquore di grano yayoriano. Molto forte e altamente infiammabile, quindi utile per granate incendiarie improvvisate. Un’altra manovra disperata fu quella con cui Poltova ordinò la momentanea apertura dei cancelli così da lanciare nella mischia l’intera mandria di orox cittadina contro le orde di zombi. Mosse che ebbero il loro effetto rallentando il nemico, ma comunque qualcosa di temporaneo che non avrebbe fornito soluzioni vere e proprie.

Poltova si chiese perché il Caos avesse preso di mira loro, abitanti di un mondo che secondo lui era solo un remoto mondo agricolo senza alcun valore strategico. Comnenus spiegò che la situazione fosse ben diversa da quella descritta dal confessore, chiarendo quanto si sarebbe potuto rivelare terribile la perdita di una grande fonte di sostentamento per i pianeti vicini e il conseguente dilagare di contagio e orde di zombi ancor più grandi.

Mentre i due discutevano, un incrociatore d’attacco delle Aquile del Fato attendeva in orbita, le sue armi pronte ad incenerire qualsiasi cosa presente sulla superficie di Yayor. Comnenus pregò di non doverne ordinare l’utilizzo, ma si dimostrò pronto a farlo se necessario. Ciò causò l’ira di Poltova. Non era giusto, distruggere quel mondo e i suoi abitanti non poteva essere la reale volontà dell’Imperatore, Poltova non lo avrebbe permesso.

Comnenus ascoltò le parole del confessore, ma gli fece capire l’entità del conflitto in atto. La Tredicesima Crociata Nera era qualcosa di immenso, la loro sconfitta e la caduta di Cadia avrebbero permesso un’apertura completa dell’Occhio del Terrore e lo spargimento di orrori per tutto il resto della galassia. A un certo punto il loro discorso fu interrotto da un soldato che entrò nella stanza richiedendo l’intervento di Poltova e Comnenus preso le mura.

I nemici cantavano, celebravano rituali oscuri che riempivano l’aria di corruzione quasi palpabile. Il loro nuovo attacco non giunse tramite un nuovo tentativo di oltrepassare o sfondare le mura, bensì tramite l’aiuto dei demoni. I pochi orox rimasti, malati e morenti, esplosero dall’interno in una nube di viscere che accompagnò il sorgere di un gruppo di untori che cominciò ad uccidere i soldati nelle vicinanze.

Space Marine Eretici della Guardia della Morte attaccano Yayor

Fu solo in quel momento che, comprendendo la riuscita del loro attacco mosso dall’interno, gli zombi e la Guardia della Morte decisero nuovamente di scagliarsi contro le mura. Le difese cedettero e le forze di Nurgle si diffusero all’interno dell’insediamento. Comnenus stava uccidendo uno zombi quando un Marine della Peste lo colpì alla testa con un’ascia. Poltova riuscì ad abbattere quel nemico con un colpo di requiem ben assestato, ma non fu abbastanza veloce. Il confessore si lanciò al fianco del capitano per pregare, ma Comnenus lo zittì. La battaglia era ormai persa e così quel mondo, perciò Comnenus gli disse di correre, contattare la nave e comunicare l’ordine.

Il Capitano della 3a Compagnia delle Aquile del Fato usò i propri ultimi momenti scaricando ancora qualche colpo contro le orde di zombi. Poltova, invece, raggiunse la sala del vox e rimase da solo. Nella sua mente vorticava il dubbio e la tristezza, poiché Yayor era stato un rifugio sicuro per dodici lunghi anni, un pianeta dove le persone si erano dimostrate oneste permettendogli di vivere una vita lontana dalla guerra e dallo spargimento di sangue. Con quel comando li avrebbe traditi, sarebbe stata la sua voce a comunicare l’ordine di ucciderli tutti, ma poi ricordò le parole di Comnenus e ricordò cosa sarebbero diventati tutti loro con la diffusione del contagio.

Oster Poltova comunica l'ordine di bombardare il pianeta Yayor

Ora sa cosa deve. Il destino di una vita, o persino di un mondo con milioni di vite su di esso, non è nulla se paragonato al destino dell’intero Imperium dell’Umanità.

“Confessore Poltova a Vascello Space Marine. Codice di comando: Ex Infernis…”

Bombe virus e testate cicloniche furono lanciare verso la superficie. Insieme a tutti coloro che calpestavano il suo terreno, Yayor morì.

In seguito all’Ultima Resistenza di Yayor e alla morte del Capitano Comnenus, il comando della 3a Compagnia delle Aquile del Fato passò a Luctus. Egli guidò un imponente distaccamento verso il sottosettore di Belis Corona, sempre con l’obiettivo di ostacolare la diffusione della Maledizione dell’Apostasia. Anche Luctus incontrò la morte durante i giorni della Tredicesima Crociata Nera e così nacque l’appellativo di Sfortunata 3a Compagnia.


Uno schema sullo status del pianeta Subiaco Diablo durante la Tredicesima Crociata Nera

SUBIACO DIABLO, UN UOMO

Un uomo si svegliò e sbatté le palpebre, intontito e infastidito da una luce artificiale. L’uomo mise una mano davanti a sé per proteggere i suoi occhi ancora sensibili e notò del sangue secco sulle proprie dita. Si alzò in piedi e si guardò intorno notando d’essere all’interno di una cella piuttosto spoglia. Capì d’essere

UN PRIGIONIERO

all’interno di quello spazio angusto. Il prigioniero notò anche una pila di macerie caduta dal soffitto, chiaramente la causa del suo svenimento, ma poi qualcos’altro riempì i suoi sensi. Davanti alla sua cella c’era un cadavere in uniforme militare e poco più in là un secondo cadavere con le stesse vesti. Il prigioniero non resistette all’odore emanato dai morti e vomitò in un angolo, poi si ricompose e cercò un modo per uscire.

Allungando il braccio oltre le sbarre della cella, recuperò delle chiavi dal primo cadavere. Contemporaneamente, il secondo cadavere emise un verso spaventoso, si rialzò in piedi e iniziò a barcollare verso la cella. Provando varie chiavi, il prigioniero riuscì ad aprire la porta sbattendola con forza contro il morto ambulante. Il collo di quest’ultimo si spezzò e il prigioniero non perse altro tempo, afferrando una pistola laser adocchiata un attimo prima sullo stesso cadavere che possedeva le chiavi.

Purtroppo per lui, anche quel morto decise di alzarsi. Benché traumatizzante, almeno fu facile far morire una seconda volta quel mostro innaturale grazie alla pistola laser appena recuperata. Tornata la calma, il prigioniero si ritrovò in un corridoio con numerose altre celle. Oltrepassò la porta situata alla fine del corridoio ed entrò in quello che pareva essere un Centro di Comando. Sistemi di scansione, pittoschermi, tavoli con mappe di vario tipo e tre sedie rivolte verso gli scanner, ognuna occupata da una cadavere. Osservandoli meglio, due dei cadaveri indossavano un’uniforme verde chiaro con una toppa sulla spallina sinistra recante il numero 616.

Il prigioniero indossava la stessa uniforme, aveva persino lo stesso numero sulla spalla, quindi anche lui era

UN SOLDATO

Tuttavia, perché il soldato si trovava in una cella. Perché non era insieme a queste persone? Non poteva darsi una risposta, ma poteva tentare di ottenerla. Frugando nel Centro di Comando, il soldato ottenne un fucile laser carico, dei medicinali, una mappa dei dintorni e un libro codice della Guardia Imperiale.

Gli occhi del soldato si soffermarono sulla copertina del libro codice. C’era scritto:

616° Cadiano – Subiaco Diablo, Libro Codice della Guarnigione del Formicaio Septus

Quelle parole sbloccarono parte dei ricordi del soldato. Cadia era il suo mondo da cui proveniva e il 616° era il suo reggimento. Il soldato era

UN CADIANO

però non aveva la minima idea di cosa significassero le altre parole. Subiaco Diablo era il pianeta su cui si trovava? Quello in cui stava frugando era il Centro di Comando della guarnigione situata nel Formicaio Septus? Benché queste domande fosse destinate a cadere nel silenzio, forse qualcuno avrebbe potuto rispondergli. Davanti ai cadaveri, alcuni pittoschermi erano ancora accesi e mostravano truppe cadiane sopravvissute impegnate in svariati tentativi di difesa, o quantomeno di sopravvivenza. Inoltre, un’unità vox lì vicino sibilava ancora qualcosa. Arrabattandosi con la batteria di un caricatore laser e cercando una frequenza udibile, riuscì a sentire:

Martellocadente. Corvo. Epsilon.

Sfogliò il libro codice, sperando che le parole udite fossero un messaggio cifrato il cui significato poteva essere compreso sfruttando quanto contenuto tra le sue pagine, infatti così era:

A tutte le forze imperiali, ritirarsi presso lo spazioporto, livello 97.

Decise di muoversi. I soldati visti tramite i pittoschermi erano in difficoltà, non aveva idea di dove fossero esattamente e sveltirsi avrebbe almeno aumentato la possibilità di trovarli ancora vivi e capaci di spiegargli qualcosa sulla situazione in cui si trovava. Per sua sfortuna, il rumore della pesante maniglia del Centro di Comando disturbò i cadaveri accasciati sulle sedie e fu costretto ad abbatterli con il fucile laser ottenuto poco prima.

Risolto il problema, si precipitò all’esterno e fu assalito da un lezzo ancor più tremendo. La città formicaio si trovava in uno stato pietoso e in lontananza vide un’orda di zombi che si trascinava nella sua direzione. L’unica via utile sembrò essere un edificio poco lontano, dall’altra parte della strada in cui si trovava, quindi corse verso di esso individuando una porta, la quale si aprì facilmente con una spallata.

Sfruttando delle casse sparse intorno a lui, il cadiano tentò di barricare l’entrata nel modo migliore possibile perché l’orda l’aveva notato e si stava dirigendo verso l’edificio. Certo, erano lenti, ma non così lontani. Era necessaria un’altra soluzione e si trovò a dover decidere. Delle scale portavano verso il tetto, ma c’era anche una botola che sembrava custodire uno scantinato. Alle sue spalle sentì gli zombi battere sulla porta.

Optò per la botola, forse avrebbe potuto sperare in zombi abbastanza barcollanti anche con il cervello, sufficientemente ottusi da non notarla, aprirla e oltrepassarla. Richiusa con cura la botola, il cadiano scese delle scale fino a raggiungere uno scantinato semi-allagato. Per un po’ rimase lì, con le orecchie riempite dai passi degli zombi al piano terra e il naso da un odore indubbiamente sgradevole, ma ben diverso da quello di cenere e marcescenza che stava sentendo mentre si trovava in strada. Muovendosi lentamente così da non smuovere troppo quei pochi centimetri che coprivano il pavimento di tutto lo scantinato, rintracciò la fonte dell’odore e scoprì una grata abbastanza grande da consentirgli il passaggio. Lo scantinato era buio e lo spazio oltre la grata lo era ancora di più, ma dove altro poteva andare?

Rimossa quella grata, il cadiano si gettò a terra. Fu colto dal terribile freddo dell’acqua, ma si sforzò di ignorarlo e procedette strisciando. Ben presto si palesò un’altra grata davanti a lui, la quale venne staccata piuttosto facilmente grazie alla scarsissima manutenzione. Tuttavia, il cadiano si aspettava di sentire il rumore della grata caduta su un pavimento solido. Sporgendosi con la testa oltre la fine di quel tunnel angusto, poté scoprire dove fosse finito: una pozza stagnante di liquami, le escrezioni di un’intera parte di città formicaio raccolte in un unico punto, pronte ad essere sottoposte a qualche tipo di lavorazione. Era a dir poco disgustoso, ma non c’era l’ombra di una scaletta e dovette accettare l’idea di doversi buttare in quella pozza per poter proseguire.

Una volta catapultatosi in quella pozza, ne uscì quanto più rapidamente possibile. Sputò un po’ di quell’acqua sudicia sopprimendo a stento il vomito ed entrò in un altro tunnel. Dall’aspetto e dalla presenza di quelli che assomigliavano a tombini, pareva essere un canale fognario posizionato direttamente sotto la superficie della strada. Preferendo un putrido canale ad una strada con l’alta probabilità d’essere infestata da masse di zombi, imboccò l’unico tunnel a sua disposizione.

Il cadiano si mosse tra i tunnel e dovette anche affrontare un paio di zombi, ma tutto sommato riusciva a proseguire sul proprio cammino erratico. Attraversò anche un lungo tratto a nuoto in dell’acqua pura e potabile, ma chiaramente la sorte giocò ancora una volta con lui. Un rotore si azionò alle sue spalle creando una corrente contraria alla sua direzione, prima lento e quindi facilmente contrastabile, poi sempre più veloce. Cercando disperatamente un punto a cui aggrapparsi, un qualsiasi oggetto da raggiungere per scampare al rotore le cui pale lo avrebbero macellato, individuò una piattaforma rialzata, ma la nuotata si rivelò troppo faticosa. Arrivò vicino, ma non abbastanza. Calò oltre la superficie, trattenne il respiro sforzandosi ancora e ancora, seppur invano. Quando ogni suo senso fu prossimo al cedimento, qualcosa lo afferrò e lo portò fuori dall’acqua. Ormai stremato, perse i sensi, ma almeno ebbe la vaga sensazione d’essere ancora vivo.

INCROCIATORE D’ATTACCO OMBRA MALEVOLA, CAPITANO TALOMAR LOCQ DEI MASTINI DI ABADDON

Talomar Locq provava un miscuglio di tre emozioni: disgusto, sollievo e turbamento. Il disgusto era dovuta alla presenza dell’astropate dell’Ombra Malevola. Non ne sopportava la presenza, schifava la loro esistenza più di tante altre cose, però poteva anche definirsi sollevato al pensiero di non poter essere osservato a causa della cecità dell’astropate.

Il turbamento, invece, era dovuto alla recente mancanza di progressi. Per due settimane, Locq aveva seguito voci e congetture non riuscendo nemmeno lontanamente a trovare una traccia warp che lo conducesse verso la nave di Khârn. La sua ambizione lo portava a sperare di poter sostituire Urkanthos, il Lord Purgator della Legione Nera, ma questi viaggi senza meta minavano la sua possibilità di affermare la propria superiorità. Alcuni tra i suoi Mastini avevano più fedeltà per Urkanthos che per lui, non poteva permettersi di dimostrare debolezza e rischiare che quei fedeli aumentassero.

L’astropate incappucciato, seduto sulla propria sedia da oltre mezz’ora, emise uno strano verso, poi parlò dicendo di poter vedere Locq. Ribadì ancor di poterlo vedere e aggiunse di poter vedere anche altro, ossia la sua destinazione.

SUBIACO DIABLO, UN CADIANO

Una città formicaio sul pianeta Subiaco Diablo

Dopo poco tempo, il cadiano riprese conoscenza vomitando tutta l’acqua entratagli nello stomaco. Mentre i suoi sensi recuperavano lucidità, udì due voci parlottare. Si mise seduto e osservò i suoi due salvatori, trovando davanti a sé due mutanti. Da una parte una donna cieca, dagli occhi lattiginosi e una bandana sulla fronte. Dall’altra, un uomo corpulento con una piccola testa deformata. L’istinto portò il cadiano a cercare la propria pistola laser, la quale si trovava proprio vicino a lui. La afferrò e la puntò verso i due mutanti, i quali si prepararono a combattere. L’uomo schernì la donna, come le stesse comunicando la scontatezza di questa reazione.

Il cadiano si calmò, abbassò l’arma e spiegò d’essere stato mosso dalla sorpresa, quindi i due mutanti si presentarono come Petchra e Claudus. Quest’ultimo si dimostrò immediatamente amichevole, mentre Petchra fu un po’ più cauta e passò rapidamente ad un tentativo di capire cosa ci facesse un soldato del 616° Cadiano nelle fogne. Seguirono delucidazioni, accompagnate da conferme e maggiori dettagli da parte di Petchra, la quale evidentemente conosceva la catastrofe in atto. Spiegò che anche alcuni tra loro avevano subito la stessa sorte, causata da qualcosa che alcuni definivano Maledizione dell’Apostasia. I due mutanti rimasero stupiti all’idea che, durante tutto questo discorso, un cadiano fosse lì davanti a loro, senza alcuna intenzione di ucciderli o apparentemente di schifarli al primo sguardo.

“Siamo mutanti, Cadiano, non possiamo girovagare per le strade della città formicaio coesistendo pacificamente con le persone ‘normali’. Se ci provassimo, saremmo messi al rogo, affogati oppure, almeno per alcuni tra noi, portati su navi nere e mai più rivisti.”

Forse era già così da sempre o forse era la sua terribile amnesia, ma il cadiano non avvertì la classica repulsione imperiale nei confronti dei mutanti. Petchra e Claudus gli offrirono aiuto, poiché anche loro stavano per intraprendere un viaggio nel tentativo di uscire sani e salvi da quelle fogne sempre più popolate da zombi. Il cadiano accettò, ma alla condizione di separarsi una volta raggiunta la superficie. Pur non odiando la loro mera esistenza, si rese conto che stare al loro fianco avrebbe indubbiamente abbassato le sue probabilità d’essere assistito da eventuali soldati sopravvissuti. Avrebbe apprezzato la loro assistenza, ma non più del dovuto.

Una volta partiti, Petchra e Claudus si dimostrarono due guide eccellenti. Sapevano dove muoversi e Petchra pareva addirittura comprendere dove avrebbero potuto trovare la strada più sicura. Il cadiano si affidò completamente alle sue capacità, stupefacenti per una persona incapace di vedere alcunché. Ciononostante, sarebbe stato utopico pensare di poter evitare qualsiasi problema, infatti giunse il momento in cui sul loro percorso si presentò qualcosa di molto spiacevole.

Sette cultisti stavano celebrando un rituale oscuro, ma questa volta non c’erano altre strade da seguire. Quei folli erano un ostacolo e i tre furono costretti ad estrarre le armi. Benché colti di sorpresa, i cultisti si dimostrarono piuttosto pronti ad eventuali interruzioni e li attaccarono con ferocia. Il combattimento fruttò loro qualche ferita, però i cultisti caddero uno ad uno. Gli ultimi due cultisti, però, si dimostrarono ben più pericolosi. La corruzione generata dal loro rituale ne mutò improvvisamente i corpi, strappando e necrotizzandone le carni fino a renderli due mostri con artigli affilati e teste rigonfie e cornute.

Claudus si lanciò contro i due demoni, ma venne scaraventato contro un muro. Petchra si voltò verso il cadiano e urlò dicendogli di prendere Claudus e scappare. Per un momento, il cadiano tentò di ribattere, ma lei lo ignorò e rimosse la bandana dalla propria fronte. Ecco perché confidava così tanto nella sua possibilità di dare loro il tempo di fuggire.

Mentre Claudus era un mutante a causa di alcune deformazioni fisiche, Petchra era una mutante ben diversa. La sua fronte ospitava il terzo occhio delle stirpi di Navigator ed era quello il motivo per cui temeva l’arrivo delle Navi Nere. Il cadiano non avrebbe mai potuto scoprire le origini di Petchra, cosa avesse portato una potenziale Navigator a vivere come una reietta nelle fogne di Subiaco Diablo, ormai gli eventi intorno a loro lo rendevano impossibile.

Il cadiano soccorse Claudus mentre Petchra scatenava il proprio potere sui due demoni. Essi furono feriti, ma continuarono ad avanzare e il cadiano non riuscì a non fare nulla. Saltò sulla schiena di un demone afferrandolo per il corno e mantenne la presa finché non venne scosso via violentemente. Petchra urlò ancora, questa volta dritto nella mente del cadiano. La pressione psichica esercitata fu tale che dal naso di lui colò del sangue.

L’urlo di Petchra divenne un orrendo stridio quando il tessuto della realtà si lacerò in un’empia frattura diretta nel warp. La gravità cambiò e il cadiano si sentì innaturalmente trascinato, quando ad un certo punto Claudus lo afferrò. Le forze di Claudus e della frattura si equivalsero e il destino si trovò in bilico, poi giunse il rombo di cento tuoni e un’esplosione li scagliò lontani. Claudus e il cadiano ebbero miracolosamente il tempo di rialzarsi e fuggire attraverso la loro via di fuga mentre il tunnel cadeva sopra le loro teste.

Quando il tunnel smise di volerli uccidere, i due si fermarono. Trascorsero svariati minuti, il silenzio assente solo a causa del piagnucolio di Claudus. Quando ripresero il loro cammino, il cadiano chiese se Claudus sarebbe stato bene e il mutante non seppe rispondere con chiarezza. Confidò d’essere sempre stato sorvegliato e tenuto fuori dai guai da Petchra perché lei aveva il fiuto per il pericolo. Il cadiano stava quasi per spiegargli cosa fosse realmente quel fiuto, poi lasciò perdere, ritenendo migliore lasciare il suo ricordo intatto com’era.

Dopo essersi confidato, il mutante aggiunse una domanda. Contrariamente a quanto stabilito prima, Claudus chiese al cadiano se avrebbe potuto rimanere dopo l’uscita dalle fogne. Il cadiano balbettò ed esitò e Claudus li interpretò come un no. Il cadiano lo corresse e accettò la proposta, sostenendo che comunque non si sarebbe certamente riunito presto con il suo reggimento.

Con un nuovo accordo tra loro, i due proseguirono sul proprio cammino, ora molto più cauti, siccome non potevano più contare sull’aiuto di Petchra. Oltrepassarono corridoi e porte munite di leve, infine si trovarono in una vasta camera circolare, davanti a loro tre leve da azionare in sequenza. La prima aprì un portellone sul pavimento, mentre la seconda ne aprì uno sul soffitto. Tuttavia, dal secondo iniziò ad emergere un forte flusso d’acqua. La terza leva avrebbe dovuto aprire un secondo portellone sul soffitto così da galleggiare, raggiungere l’apertura e uscire, eppure tutt’un tratto ciò sembrò più difficile del previsto. Anche le altre leve avevano avuto bisogno di un po’ di forza per contrastare ancora una volta la manutenzione scadente o totalmente assente, ma la terza resistette a vari tentativi di forzarla. Claudus tentò di aiutare mentre l’acqua si alzava vertiginosamente creando una pericolosa corrente, così il portellone si aprì a metà. Il cadiano fu spinto dal mutante, venendo trascinato dalla corrente e arrivando sempre più in alto. Raggiunse il portellone semi-aperto e passò a fatica, trovandosi in un piccolo passaggio munito di scala che lo condusse fuori, all’aria aperta. Claudus non era ancora emerso. Il cadiano attese.

Attese ancora.

HAELEON, CAPITANO TALOMAR LOCQ DEI MASTINI DI ABADDON

Urkanthos, uno dei quattro Prescelti di Abaddon il Distruttore

Seguendo quanto visto dall’astropate, l’Ombra Malevola aveva raggiunto l’orbita del pianeta Haeleon. Trovarono il relitto di una nave appartenente alle Furie Bianche, ma nessuna traccia di chiunque fosse stato il loro nemico. L’equipaggio comandato dal capitano di vascello Odervirk identificò la nave come la Ali dell’Aquila. Nel frattempo, procedettero con cautela per assicurarsi che il relitto fosse completamente “morto” e non possedesse qualche arma ancora attiva e capace di fare fuoco. Una volta assicuratisi di ciò e individuato un punto d’accesso tramite una grossa breccia nello scafo, Locq raggiunse l’interno della nave tramite una cannoniera. Con lui, una ventina di Mastini.

All’inizio il relitto parve deserto, privato d’ogni possibile sopravvissuto, poi le Furie Bianche apparvero con rapidità fulminea. Sebbene si trovassero in una situazione disperata, avevano sorvegliato i dintorni e aspettato che qualcuno provasse a cercare sui loro ponti. Locq e i suoi Mastini non si tirarono indietro e accolsero la battaglia, scatenando armi da fuoco e a catena contro i marine lealisti. Con quel primo scontro, i Mastini rimasero in dieci, meno di quanto Locq si aspettasse. Un prezzo comunque accettabile, se ciò poteva portarlo a Khârn.

Locq aprì un collegamento vox con Odervirk ordinandoli di scansionare a fondo la nave così da individuare eventuali navette da sbarco rimaste intatte all’interno della Ali dell’Aquila. Quel vascello sarebbe stato rivendicato in nome di Abaddon e sul ponte di comando avrebbero analizzato i dati dei cogitator e trovato possibili collegamenti con l’infame Traditore.

SUBIACO DIABLO, UN CADIANO

Claudus non arrivò mai. Il cadiano si era salvato grazie a due mutanti, entrambi morti per una persona conosciuta non molte ore prima. Mentre tentò di scrollarsi di dosso un po’ d’acqua, si sentì triste. Non poteva fare altro per loro, perciò osservò il paesaggio intorno a sé sperando almeno che sforzi e sacrifici fossero valsi la fuoriuscita in un punto della città formicaio dove la morte non l’avrebbe atteso dietro il prossimo angolo di strada. Effettivamente, per quanto potesse vedere in quel momento, non c’erano segni di vita, ma nemmeno di nonmorte.

Si trovava in un quartiere commerciale, tutti i negozi erano distrutti e in mezzo alla strada c’erano cianfrusaglie di ogni tipo, oggetti appartenuti a persone fuggite o unitesi ai ranghi degli zombi. Prima di proseguire oltre, dovette raggiungere un negozio semi-distrutto per ripararsi da un’improvvisa tempesta di polvere. Rimase lì per un po’ di tempo, ragionando sulla direzione da prendere.

Quando tornò a camminare sulla strada, il cadiano ebbe l’impressione d’essere sempre più circondato dal fumo. Più camminava e più la città intorno a lui assumeva contorni confusi e irriconoscibili. Il fumo divenne una nebbia difficile da penetrare e il cadiano non sentì più il lamento lontano dei nonmorti. Udì qualcosa di nuovo, quasi una risatina gorgogliante. Accelerò il proprio passo, non sapendo nemmeno dove stesse andando, e alla risata si aggiunsero il grattare d’artigli sulla pietra e l’ombra lontana di una piccola creatura.

Il cadiano corse terrorizzato guardandosi occasionalmente alle spalle e accorgendosi di quanto quell’essere stesse giocando con lui. Suoni e ombre c’erano, poi scomparivano, poi tornavano all’improvviso. Il cadiano inciampò su un cumulo di macerie e si ritrovò in ginocchio, strisciante tra la polvere e ancora immerso nel fumo. A quel punto, la creatura si rivelò. La statura di un bambino, la lingua lunga, la pelle verdastra e tante altre caratteristiche che la definivano come un nurglino, benché il cadiano non conoscesse questo nome, almeno non con i pochi ricordi che possedeva.

Il nurglino smise di giocare, ringhiò e si preparò ad uccidere. Quella preparazione, però, fu interrotta da un nuovo rumore, quello di un motore appartenente ad un corazzato Chimera che si fermò a svariati metri di distanza, ma comunque visibile nella nebbia. Il Chimera puntò il proprio riflettore individuando il nurglino e un mitragliatore lo ridusse a brandelli. Una volta tornata la calma, il portellone superiore del Chimera si aprì lasciando emergere un altro soldato cadiano che si guardò intorno prima di esclamare:

“Bisogno di un passaggio?”

NAVE DA GUERRA LUCE DELL’IMPERATORE, MAESTRO CAPITOLARE SOLUCIOUS GAUL

Mentre altri Dreadnought erano custoditi in altre sezioni della nave, dove i confratelli potevano osservarli e ammirarli, Il Dreadnought Cappellano Paderi Tentera godeva del beneficio della solitudine. Il suo sanctum era situato nelle profondità della Luce dell’Imperatore e Solucious Gaul aveva bisogno di raggiungerlo per chiedere consiglio.

Come era tradizione, Gaul batté tre volte sulla grande porta che conduceva al suo luogo di riposo: una volta per l’Imperatore, una volta per il Cappellano e una volta per se stesso. La porta si aprì e alcuni lumen si accesero per illuminare il Dreadnought Venerabile color sabbia. Gaul si inchinò e Tentera parlò:

“Alzati, Maestro Capitolare Solucious Gaul. Mi aggrada vederti di nuovo.”

Avevano parlato solo poche settimane prima, ma Gaul espresse comunque il proprio onore nel poter trovarsi nuovamente davanti a lui. Il sarcophagus era aperto e Tentera poté osservarlo con espressione seria, per poi chiedergli di parlare del motivo per cui lo aveva chiamato. Gaul spiegò d’essere a disagio nei confronti del Santo Vivente Lozepath e della sua decisione di ritornare su Salandraxis. Di fronte a tale dubbio, Tentera chiese se Gaul si ricordasse dei recenti successi raggiunti da Lozepath nei dintorni dell’Occhio del Terrore. Un ritorno vittorioso sarebbe stato di forte impatto tanto per gli Imperiali quanto per i loro nemici, eppure Gaul non voleva mettere in dubbio la forza dimostrata dal Santo Vivente o la mera decisione di ritornare sul proprio pianeta d’origine. Gaul non era convinto di poter proteggere adeguatamente un potenziale bersaglio così importante avendo a disposizione solamente sei navi.

Ad essere completamente onesti, Gaul si aspettava fortemente d’essere individuato e attaccato. Effettivamente, la comunicazione astropatica legata al ritorno di Lozepath poteva essere stata intercettata. Tentera trascorse svariati minuti in silenzio, riflettendo sulla situazione, poi sostenne che non fosse possibile cambiare la situazione. Gaul aveva sei navi e sei sarebbero rimaste. Se la sua sensazione era quella d’essere attaccato, allora ciò che poteva fare era tentare di sfruttare questa sensazione e trasformarla in qualcosa che potesse donargli un vantaggio.

SUBIACO DIABLO, UN CADIANO

Salito sul Chimera, il cadiano ebbe l’occasione di conoscere il Capitano Lostromo del 412° Cadiano e Kabba, il pilota del veicolo. Il cadiano spiegò quanto vissuto e la propria amnesia, quindi Lostromo tentò di scherzare dicendo che anche lui avrebbe dimenticato volentieri tutto ciò che era successo nell’ultimo periodo.

Tre giorni prima, dagli obitori e dai terreni di sepoltura situati nelle lande esterne ai formicai, avevano cominciato ad emergere morti viventi. Subiaco Diablo era stato sommerso dagli zombi, sempre più numerosi a causa delle forze difensive che perivano rialzandosi anch’esse poco dopo. Ogni contatto con i formicai era stato perso, probabilmente erano tutti morti. Solo il Formicaio Septus era riuscito ad organizzare una sorta di difesa e ad inviare una richiesta di soccorso tramite i pochi astropati sopravvissuti. Il 616° reggimento era stato schierato nelle lande esterne, infatti Lostromo notò la divisa del cadiano ed espresse il proprio stupore nell’averlo trovato su quella strada. Se avesse potuto, il cadiano avrebbe spiegato, ma non ricordava ancora perché si fosse risvegliato in una cella.

In ogni caso, gli fu finalmente possibile riposare. Lostromo definì il cadiano fortunato, siccome quello su cui si trovava era l’ultimo Chimera inviato alla ricerca di superstiti. Il Colonnello Krassek avrebbe avuto bisogno di quanti più uomini possibili per difendere lo spazioporto presso cui si erano rifugiati. Da lì, alcune navette avrebbero raccolto i sopravvissuti per poi tornare in orbita affinché qualunque soldato potesse servire su cambi di battaglia più importanti.

Dopo una dormita, il cadiano fu accolto nello Spazioporto Epsilon. All’interno di un veicolo comando Salamander conobbe il Colonnello Krassek. Quest’ultimo lo squadrò stringendo gli occhi, come se in qualche modo risultasse familiare. Non commentò al riguardo e chiese soltanto se davvero non ricordasse come fosse finito in una cella del Formicaio Septus. Davanti alla totale amnesia del cadiano, Krassek cambiò discorso e pensò alla questione importante: i rapporti indicavano l’arrivo di alcune capsule d’atterraggio, i cui occupanti sarebbero quasi sicuramente arrivati prima delle navette. Dovevano prepararsi ad un attacco massiccio.

Al cadiano furono proposti alcuni compiti e lui scelse la pattuglia dei tunnel. Questo lo avrebbe nuovamente portato in mezzo all’aria stantia, ma dopotutto l’aria del formicaio non era poi così migliore e almeno poteva fare qualcosa con cui aveva ripreso un po’ di dimestichezza dopo l’amnesia. Con così poco personale distribuito su mille compiti fondamentali, Lostromo avvisò di non potergli affidare alcun compagno per quella pattuglia, ma almeno avrebbe ricevuto un lanciafiamme ancora funzionante. Quando lo andarono a recuperare, però, un soldato di guardia apparentemente addormentato si rivelò essere infetto. Attaccò Lostromo, il quale venne morso al collo prima d’essere salvato dal cadiano che estrasse la propria arma decapitando lo zombi. Il Capitano ignorò qualsiasi consiglio di farsi vedere da un medico. Aveva troppe cose da fare, non poteva perdere tempo.

Con il suo nuovo lanciafiamme, passò del tempo nei tunnel assicurandosi che zombi, cultisti o qualcosa di ancor peggiore non passasse di lì con l’intenzione di attaccare lo spazioporto dall’interno. Purtroppo i nemici avevano davvero pensato ad un attacco simile e, quando dovette affrontare un paio di cultisti, si trovò anche costretto a sacrificare il proprio lanciafiamme per far crollare l’unica sezione di tunnel che avrebbe permesso loro di arrivare allo spazioporto. I tunnel restanti erano vuoti, l’unico punto d’accesso era stato bloccato, quindi tornò indietro per raggiungere il veicolo comando. Vide il Capitano Lostromo e il Colonnello Krassek impegnati in una conversazione, la ferita al collo del primo aveva smesso di sanguinare e ora sembrava piuttosto gonfia. Non vi badò ulteriormente e ascoltò le parole del Colonnello, il quale dichiarò che tre navette sarebbero arrivate presto. Krassek disse d’avere bisogno di un numero di soldati sufficiente a difendere le prime due navette, solo dopo sarebbero saliti loro stessi sulla terza.

Non ricordando nulla del proprio passato, a conti fatti il cadiano non aveva nulla da perdere, quindi alzò la propria mano offrendosi volontario. Insieme a lui, una trentina di soldati. Ricevettero l’ordine di raggiungere Lostromo, il quale avrebbe fornito munizioni extra. Lostromo aveva gli occhi iniettati di sangue e il cadiano stava valutando l’idea di riferire le condizioni di salute al colonnello, ma non ne ebbe il tempo. Un grido giunse dai cancelli dello spazioporto, gli zombi erano arrivati.

Il cadiano salì le Chimera e, quando le mura vennero sfondate, iniziò a sparare con l’arma in torretta. Agli zombi se ne aggiunsero altri dalle strane forme o dotati di un peculiare intelletto, poi giunsero anche i demoni e la battaglia si fece sempre più ardua. La marea marcescente continuò, ma arrivarono anche le prime due navette, le quali si riempirono rapidamente. Il Colonnello Krassek incitò le persone destinate alla seconda navetta dicendo che lui e TRANTOR avrebbero tenuto a bada il nemico. Il cadiano si voltò per chiedere come mai l’avesse chiamato Trantor, ma l’attenzione del colonnello era situata altrove. Qualcosa di davvero imponente si stava avvicinando, un essere alto quasi tre metri e dall’armatura potenziata color avorio, un Marine della Peste.

Korpharact il Contaminato, Space Marine della Guardia della Morte che attaccò Subiaco Diablo

“Sono Korpharact il Contaminato, Schiavista delle Stelle Belthrax, Infector del Capitolo Teschi Urlanti, Campione della Prova Eterna e nuovo padrone di questo mondo. Ora piegatevi e giurate fedeltà a me e al Signore del Decadimento oppure subite la mia ira.”

Il cadiano e il colonnello riuscirono a resistere, il loro spirito ancora forte, ma altri cedettero, si prostarono di fronte all’Astartes corrotto e Krassek li giustiziò tutti con la propria pistola requiem. Korpharact lodò la loro audacia prima di avanzare verso di loro.

Krassek e il cadiano non demorsero e affrontarono il Marine della Peste con tutto ciò che potevano. Le loro armi si rivelarono inutili o solamente capaci di infliggere ferite con riuscirono ad abbatterlo, poi il cadiano si affidò nuovamente ad un Chimera. L’arma pesante in torretta sparò penetrando ripetutamente il corpo necrotizzato del Marine della Peste, questa volta con conseguenze ben più serie. Korpharact gridò, incredulo lui stesso per il risultato della battaglia. Cadde a terra, le sue ferite sgorganti icore verde.

Possedendo l’intelligenza necessaria a constatarne la morte, i cultisti intorno a Korpharact persero vigore e fuggirono. Gli zombi, invece, non si preoccuparono di tali eventi e continuarono a riversarsi sui difensori. Il cadiano e Krassek si riunirono con Lostromo e ci fu sollievo nel sapere che almeno lui era rimasto in vita. Nel frattempo, la terza navetta era atterrata, potevano finalmente andarsene e addirittura vantando l’uccisione di un Astartes corrotto. Con i piedi su una rampa, a pochi metri dal trasporto che lo avrebbe salvato, il cadiano udì un urlo d’agonia alle spalle. Si girò e i suoi occhi videro Lostromo con i denti piantati nel collo di Krassek.

Sebbene il danno fosse ormai irreversibile, il colonnello piantò un proiettile nel cranio di Lostromo, o meglio, nel cranio dello zombi che fino a poco tempo prima era stato Lostromo. Krassek incespicò, poi cadde a terra. Poteva ancora parlare e disse d’aver agito bene dandogli una seconda possibilità. Il cadiano non capì e chiese spiegazioni, perciò Krassek lo soddisfò una volta per tutte.

Lui non era un uomo senza identità, lui era il

SOLDATO DEVAN TRANTOR, 616° CADIANO

e quella mattina si era svegliato in una cella base presso il livello 13 del Formicaio Septus su Subiaco Diablo. Krassek lo sapeva perché era stato lui ad ordinare il suo arresto. Trantor aveva combattuto nelle lande esterne insieme al 616° ed era stato l’unico sopravvissuto. Quando era tornato verso Septus, fu intercettato e interrogato sulla situazione. Quando aveva riportato la morte di tutto il restante reggimento, Krassek non aveva avuto modo di capire se quelle parole erano uscite dalla bocca di un sopravvissuto o di un disertore, quindi lo aveva gettato in una cella. Rivedendolo nello spazioporto, Krassek gli aveva dato il beneficio del dubbio. Se era riuscito a sopravvivere e a raggiungere quel luogo, forse non era un codardo disertore.

Ciò non eliminava del tutto la possibilità che Trantor avesse davvero disertato, ma a chi importava ora? Non c’era alcun documento sulla sua effettiva incarcerazione e per tutti i presenti sarebbe stato noto come l’eroe di Subiaco Diablo, l’uccisore di Korpharact il Contaminato. Krassek gli disse di vivere una seconda vita, ma gli chiese di non farla vivere a lui. Gli porse la sua pistola requiem e Trantor obbedì a quell’ultimo ordine.

Una volta assicuratosi che il colonnello non potesse più tornare sotto forma di zombi, Devan Trantor salì sulla navetta e quest’ultima richiuse i portelloni salpando per il vuoto dello spazio. Completamente esausto, collassò a terra e osservò gli sguardi spenti di altri soldati sopravvissuti. Nessuno tra loro avrebbe dimenticato quanto vissuto nel Formicaio Septus, ma il futuro era ancora incerto.

In quel momento Devan Trantor poté godersi l’idea d’essere un eroe dell’Imperium, poiché chissà se avrebbe mai visto un altro giorno. La sua storia finì con quella navetta salpata, ma quella di Subiaco Diablo continuò con ulteriori battaglie. Nel corso della Tredicesima Crociata Nera, la Battaglia di Subiaco Diablo vide la morte di molti sia a terra che nello spazio. Le Sorelle Guerriere dell’Ordine del Giglio Bianco ricevettero un encomio per la partecipazione alla suddetta. L’Ordine del Manto d’Ermellino combatté con lo stesso fervore tentando di difendere quello che per loro era il proprio pianeta. Nell’orbita, il retroammiraglio Horstgeld si distinse con la vittoria sul temibile incrociatore Frenesia Assassina, già avvistato secoli prima nel corso della 12a Crociata Nera, nota anche come Guerra Gotica.

In altri eventi dal collocamento temporale imprecisabile nel corso dei disordini della Crociata Nera, Subiaco Diablo fu teatro di altre battaglie. Tra di esse, il Capitolo dei Relictor che si scontrò con gli eretici Predicatori.

CANZONE IRACONDA, HAKARON DEL MASSACRO CREMISI

Kranon l’Inarrestabile aveva inviato Hakaron affinché scoprisse cosa fosse successo alla nave Canzone Iraconda, emersa dal Warp in uno stato mutato, come una lama avvolta dal sangue. Chiunque avesse provato a contattare la nave non aveva subito piacevoli conseguenze e aveva ricevuto sempre come risposta l’unica parola Fame. Fuoriuscendo dalla Speranza Perduta, Hakaron raggiunse la Canzone Iraconda insieme ad altri membri del Massacro Cremisi e viaggiò per ore al suo interno tentando di capire cosa fosse successo.

In una stanza avvolta nel buio, Hakaron sentì una presenza pressante che emanava crudeltà e fame. Tale presenza si rivelò essere Lama di Rhoghon, un possente Land Raider che serviva il Massacro Cremisi da molto tempo. Aveva distrutto un’intera schiera di corazzati e in pochi secondi macellò buona parte degli Space Marine che accompagnavano Hakaron. Lui riuscì a farsi da parte appena in tempo e a farsi dare ascolto. La rampa d’assalto frontale del Land Raider si spalancò mostrando una sorta di bozzolo fatto di cavi e carne, al cui interno giaceva la forma di Lorvyk. Un tempo, egli era stato un compagno di Hakaron dalla cura maniacale per la manutenzione delle macchine, ora era lui stesso una parte di quella macchina, fuso nel corpo e nella mente. Rantolò la propria fame e Hakaron poté solo osservare immobile mentre il corazzato corrotto e vivente si nutriva dei corpi mutilati sparsi nei dintorni.

PONTE DELLA DISTRUTTRICE DI PIANETI, HAKARON DEL MASSACRO CREMISI

L’attesa aveva portato la sua mente a ricordare quell’evento accaduto sulla Canzone Iraconda, ma ora Hakaron si trovava in un luogo ben diverso. Era sulla Distruttrice di Pianeti e, più precisamente, si trovava davanti all’enorme porta oltre la quale si trovavano Abaddon e Kranon. Due Terminator dei Portatori di Disperazione, la guardia del corpo di Abaddon capeggiata da Falkus Kibre, fiancheggiavano la porta in completo silenzio.

Era la prima volta che saliva sul famoso vascello e in realtà Hakaron non voleva nemmeno che questa prima occasione si verificasse. Secondo lui, rispondere alla chiamata era stato un errore, ma Kranon la pensava diversamente e in fin dei conti non poteva contestare la decisione finale del proprio comandante.

Quando la grande porta si aprì e Kranon tornò al suo fianco, Hakaron chiese se sarebbero tornati a bordo della Speranza Perduta, ma il signore del Massacro Cremisi non rispose direttamente a quella domanda. Disse che le lame del Massacro Cremisi avrebbero aiutato la loro Crociata, frase a cui Hakaron ribatté affermando che i suoi corazzati erano pronti e i loro scafi si sarebbero bagnati del sangue cadiano. Kranon disse solo un secco no. Hakaron non comprese, chiese spiegazioni, quindi Kranon proseguì:

“Il nostro sarà un sentiero differente. Dimmi, ricordi Regallus?”

Ringraziamenti

Per l’illustrazione nella sigla della versione video, si ringrazia Luca “Forgelord91” Torraco.

Per le illustrazioni Typhus il Viaggiatore e Incontro tra Cypher e Abaddon, si ringrazia Yuri “Red” Marta.

Per il loro supporto con cui è possibile realizzare progetti sempre più elaborati, si ringraziano gli abbonati Twitch e i sostenitori Patreon.

Bibliografia

Manuali

  • Crimson Slaughter – A Codex: Chaos Space Marines Supplement
  • Battlefleet Gothic Armada

Romanzi, racconti brevi e fumetti

  • Grey Knights, di Ben Counter
  • Khârn: The Red Path, di Chris Dows
  • Steel Daemon, di Ian St. Martin
  • Plague Ship, di Jim Alexander
  • Warhammer Monthly 70
  • Last Stand on Yayor, di Gordon Rennie, Karl Richardson e Fiona Stephenson

Altro

  • 13th Black Crusade, di Andy Hoare
  • The Inquisition, Vari Autori
  • Hive of the Dead, di C Z Dunn (Librogame)
  • White Dwarf 54 (maggio 2003)
  • White Dwarf 56 (luglio/agosto 2003)
  • White Dwarf 58 (ottobre 2003)
  • Campagna Occhio del Terrore, Settimana 3 – Scenario Battlefleet Gothic “Assistance from the Void”
  • Battlefleet Gothic Resources – Ships of the Gothic Sector