Lo streaming musicale sta attraversando un periodo critico: le piattaforme sono chiamate a continui interventi.
Un brano musicale pubblicato pochi giorni fa e già ascoltato da migliaia di utenti è stato cancellato da un famoso servizio di streaming. Si tratta dell’ennesimo caso di rimozione forzata di contenuti e ban per violazione delle policy della piattaforma.
Negli scorsi giorni, sulla piattaforma Spotify è comparsa una nuova canzone intitolata Together, attribuita al cantautore country Blaze Foley, morto nel 1989. La traccia era stata anche riconosciuta dal servizio e dunque verificata e poi inserita come “nuova uscita” sulla pagina ufficiale dell’artista. C’era tutto: copertina, credits e copyright.
Qualcuno si è però accorto che la voce nel brano non sembrava identica a quella di Foley… C’era una somiglianza, ma marginale. Il sound era strano: poco in linea con il background orgogliosamente country del musicista scomparso. Inoltre, tutti i fan più accaniti di Foley non avevano mai avuto notizia di quel brano.
E, di fatti, ci si è presto accorti che non era sua. Era stata generata con l’intelligenza artificiale e caricata da un distributore musicale indipendente: SoundOn, di proprietà di TikTok. Analizzando bene i dettagli, ci si è accorti che anche la foto di copertina era stata creata con l’AI: l’uomo nell’immagine somigliava solo vagamente a mostra un uomo che non gli somiglia.
Prima che Spotify intervenisse, il brano è stato comunque ascoltato da migliaia di utenti, finché i fan e l’etichetta Lost Art Records non hanno segnalato che si trattava di un fake. Così Spotify lo ha rimossa, denunciando una violazione delle sue policy contro i contenuti ingannevoli.
Il caso del brano di Blaze Foley rimosso da Spotify: era opera di un’AI
Il problema non l’uso dell’AI, ma lo sfruttamento dell’immagine di un artista scomparso. E l’errore è anche del servizio di streaming, che lo ha fatto finire sulla pagina ufficiale di un artista morto, senza accorgersi che era un falso.

Il caso non è isolato. Altri brani falsi, attribuiti a Guy Clark (morto nel 2016) e Dan Berk, sono stati caricati e diffusi secondo lo schema poi usato dal fake-Foley. Il copyright in molti casi rimanda a una misteriosa entità chiamata Syntax Error, di cui non esistono tracce nel mondo musicale: che editore è?
L’offesa è all‘eredità artistica degli artisti defunti. E c’è un problema di autenticità per tutti i contenuti che circolano sulle piattaforme di streaming. L’anno scorso è stata scoperta una truffa da milioni di dollari: un utente caricava brani composti dall’AI su Spotify e usava migliaia di bot per farli entrare nelle playlist, in modo da generare utili. E la piattaforma si è accorta della frode dopo più di un anno di attività del tizio.
