Epic Games “rosica”: Google aveva offerto un contratto speciale a Netflix

Epic games rosica

Continuano le rivelazioni provenienti dal caso Epic contro Google con l’ennesimo caso di trattamento speciale riservato a questo o quell’altro grande nome dell’informatica; ecco il caso di Netflix.

La legge è uguale per tutti, il libero mercato un po’ meno a quanto pare. Il processo tra Google ed Epic Games riguardo le pratiche di mercato scorrette portate avanti dal primo a sfavore del secondo sta facendo uscire fuori un sacco di documenti potenzialmente molto interessanti per chi è interessato al mondo dei videogiochi e della tecnologia.

Secondo queste carte, infatti, Google negoziava con i grandi nomi degli accordi speciali con cui andava a diminuire la percentuale di ricavi trattenuti rispetto le transazioni che venivano fatte sulle applicazioni. Nel corso dei mesi scorsi abbiamo visto come ciò è stato fatto, ad esempio, per Spotify.

Più recentemente la stessa cosa è stata dimostrata vera anche per un altro gigante della fruizione di contenuti moderni: Netflix.

Ti farò un offerta che potrai rifiutare

Google Play Store
Google Play Store si tiene il 30% di qualsiasi transazione avviene al suo interno o all’interno delle applicazioni da lui scaricate

Durante il corso del 2017 Google ha raggiunto un accordo con Netflix in cui gli offriva una riduzione al 10% dei ricavi trattenuti per transazione, permettendo alla piattaforma di streaming di tenere per sé il 90% del denaro guadagnato attraverso le transazioni.

A oggi l’accordo non ha nemmeno più senso per la piattaforma di streaming semplicemente perché, Netflix, non permette più all’utenza di rinnovare gli abbonamenti dall’interno dell’applicazione, bensì reindirizza l’utenza sul suo sito ufficiale così da poter evitare di dividere la sua fetta di ricavi con Google. 

Tale informazione è arrivata fino al pubblico unicamente perché è stata dichiarata all’interno di una deposizione da Paul Perryman durante il corso del 2022; tale deposizione, insieme a molti altri documenti provenienti dalla causa, è stata visualizzata e riportata al pubblico grazie agli sforzi di magazine come The Verge

Quali erano i dettagli del contratto?

Sostanzialmente durante il corso della sua esplosione nel mercato mobile tra il 2015 e il 2019, Netflix aveva un suo sistema di pagamento interno con cui riusciva a ridurre gli sprechi per transazione al solo 3%. 

Una volta che Google ha eliminato per le aziende la possibilità di utilizzare dei metodi di pagamento alternativo, prima che Netflix trovasse una soluzione nel reindirizzare tutto sul suo sito, il colosso di Mountain View fece un’offerta specifica per convincere il gigante dello streaming a passare a Google Play Billing (GPB, il servizio che permette di processare i pagamenti attraverso Google Play) con una percentuale di ricavi trattenuti volontariamente più bassa di quella da contratto, nel tentativo di ingolosire i manager. 

Non solo: quest’offerta faceva parte di più un strutturato ingresso all’interno di un programma chiamato LRAP++ o living room accellerator program. Questo avrebbe reso Netflix un platform development partner, qualunque cosa ciò voglia dire; secondo i documenti diventati pubblici Netflix è l’unica piattaforma ad aver accettato almeno parzialmente la cosa.

Sempre secondo i documenti trapelati dalla causa a un certo punto c’è stata una rottura tra le parti a causa di Netflix, che ha dichiarato di non riuscire a essere profittevole nemmeno appoggiandosi al 10% di revenue share invece del canonico 30%.

Secondo i calcoli fatti da Netflix, anche utilizzando GPB “scontato”, annualmente la compagnia avrebbe perso 250 milioni di dollari; una cifra molto elevata che non veniva controbilanciata in alcuna maniera da nessuno dei lati positivi di utilizzare tale processore di pagamento.

Tra numeri imprecisi e mele morsicate

Spotify
Quando rinnovate l’abbonamento di Spotify state dando anche dei soldi a Google, ricordatevelo!

Interrogato da The Verge, il portavoce di Google, ha commentato la vicenda dicendo che è prassi per Google offrire contratti di revenue share diversi in base alla figura con il quale si trova davanti, cercando di soddisfare le esigenze di tutti gli sviluppatori, i sistemi economici, le tipologie di mercato e così via. 

Un esempio è dato dall’introduzione di Google, durante il corso del 2021, del programma Play Media Experience (che, per la cronaca, è successivo alla causa intentata da Epic); questo programma ad esempio propone il 10% di revenue share alle applicazioni legati a comparti come musica, video, libri e simili.

Per la causa Epic contro Google questo è tutto ma non è invece tutto per quanto riguarda i trattamenti speciali riservati a Netflix o simili applicazioni dalle piattaforme con i marketplace. Secondo quanto uscito dai documenti diventati pubblici della causa Epic contro Apple (perché si, Epic se l’è legata abbastanza al dito la faccenda del revenue share), la compagnia della mela morsicata ha offerto a Netflix un contratto speciale con il 15% di revenue share, la metà di quello che normalmente chiede alle altre piattaforme.

A inizio articolo, inoltre, vi abbiamo citato Spotify; per quanto sappiamo per certo che Spotify abbia accettato un contratto speciale da parte di Google le cifre non sono mai state divulgate nemmeno in tribunale; di certo quello che sappiamo è che bisogna fare dei numeri impressionanti per convincere queste piattaforme a fare dei contratti molto speciali con le applicazioni.