Dentro il western: viaggio in un genere tra storia, videogioco e leggenda

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Nella narrativa mainstream, pochi generi sono riusciti a donare al pubblico una tale varietà di grandi storie come il western, uno dei temi americani per antonomasia. 

Ciò è potenzialmente vero anche se per mezzo di intrattenimento prendiamo in esame il videogioco: grazie alle tematiche forti, alla spettacolarità della messa in scena e a personaggi spesso vivissimi, i western videoludici hanno segnato in maniera forte l’intrattenimento contemporaneo, con storie imperdibili in grado di parlare dell’animo umano.

Cogliendo l’occasione dell’uscita del porting di Red Dead Redemption su PS4 e Switch (economicamente molto discusso), oggi infileremo i nostri stivali migliori, puliremo a modo le Colt e ci lanceremo al galoppo per ragionare insieme su quest’amatissimo genere.

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Il western, un genere leggendario

Prima di parlare delle varie incarnazioni ludiche del genere e di tutta una serie di meccaniche che gli sviluppatori hanno dovuto costruire quasi da zero, così da permetterci di incarnare al meglio la figura del pistolero, un po’ di storia transmediale del western è a dir poco necessaria, anche solo per capirne l’importanza e l’influenza che ha avuto, persino sul videogioco stesso. 

Prima di tutto, vanno messi in chiaro tre punti, quasi in contraddizione tra loro per certi versi: 

  1. il western è a tutti gli effetti il primo vero genere action “moderno”, in grado di codificare come nient’altro un racconto d’avventura basato per lo più su tizi armati che si sparano addosso senza essere rallentati da pesanti fucili ad avancarica;
  2. il western, anche se in qualche modo discendente dal racconto cappa-e-spada, è probabilmente il primo o secondo genere più giovane dell’universo delle storie d’avventura (forse più giovane di lui è soltanto la fantascienza);
  3. nonostante la sua giovinezza, il western ha attraversato l’intera industria dell’intrattenimento contemporaneo, passando dalle incarnazioni su carta (le dime novel, piccoli racconti della frontiera diffusi tra metà ‘800 e inizio ‘900) al cinema per approdare, un centinaio d’anni dopo, nel videogioco. Proprio per il suo stretto legame con l’intrattenimento contemporaneo, pochi altri generi sono riusciti a plasmare i tempi e ritmi del cinema d’azione (e si torna al punto uno).

Tenete in mente questi tre punti, perché sono essenziali per capire come per il videogioco il western non sia stato soltanto un tema da trattare assolutamente, ma in un certo senso anche un’ispirazione profonda per alcuni suoi “archetipi strutturali”. 

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Sentieri Selvaggi di John Ford (1956)

Pensiamo alle boss fight: per quanto il concetto di duello sia legato anche all’immaginario cappa-e-spada, va da sé che l’immagine dello scontro tra pistoleri abbia influenzato non poco il modo in cui i game designer hanno sviluppato una certa impostazione di scontro tra “PG” e “villain”, soprattutto in termini di messa in scena.

E, se l’influenza “registica” e stilistica del western è stata così ampia, la questione si complica ulteriormente quando pensiamo a quella contenutistica.

In che modo gli archetipi del genere hanno influenzato poi i giochi tratti da questi classici del cinema?

Decidendo di trascurare tutte le influenze indirette a giochi non-western (un esempio recente potrebbe essere un Fallout, che riproduce in un ambiente post-apocalittico alcuni elementi del genere di cui parliamo oggi), tutti i grandi titoli sulla Frontiera, su indiani, cowboys e pistoleri e sul tramonto del Far West hanno saccheggiato il cinema in maniera trasparente e omaggiante, com’era giusto che fosse, poiché il videogioco western non può che essere un genere tributo, anche a causa della crisi che la controparte cinematografica vive da decenni per vari motivi sia artistici che sociali.

A questo punto c’è però da introdurre un altro discorso: anche se il genere poggia su linee “poetiche” e archetipi chiari che si ripresentano del 99% dei film (il villaggio, i contendenti, la sparatoria, la rapina), non esiste un solo western, quanto piuttosto vari suoi sottogeneri che hanno sviluppato quei temi in modo diverso. Da questo punto di vista, centrale è la dicotomia tra western statunitense prodotto tra gli anni ‘20 e all’incirca gli ‘80 del secolo scorso (la “Hollywood classica” e la “New Hollywood) e il nostro Spaghetti Western.

Ebbene, se andiamo a vedere la maggior parte dei grandi prodotti videoludici (a cominciare da Red Dead Redemption), ci accorgiamo che la quantità di citazioni e stilemi utilizzati dagli sviluppatori arrivano dritti da Sergio Leone e i suoi classici, dalla Trilogia del Dollaro a Giù la Testa, passando per C’era una Volta il West: un cinema molto più pulp, crudo, cupo e per questo “cool” di quello di John Ford e John Wayne,  in generale molto più eroico, ottimista e “pulito”, difficilmente capace di incontrari i gusti dei giocatori contemporanei.

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Per un Pugno di Dollari di Sergio Leone (1964)

Western e videogioco, una storia lunga e avvincente

Prima di entrare nel vivo, un’ultima premessa: di cosa parliamo quando si tratta di videogiochi western? Del semplice dittico delle saghe di Call of Juarez e Red Dead Redemption?

Un vecchio luogo comune vuole che in realtà i giochi western degni di nota siano di fatto questi, e che il genere non sia mai stato molto frequentato. In realtà, se noi guardiamo anche la semplice voce “Videogiochi Western” di Wikipedia (la trovate qui) troviamo davvero molti giochi che, dagli anni ‘70 a oggi, ci hanno portato nel polveroso Far West e messi al centro di storie di banditi ed eroi: da classici in pixelloni come High Noon, Spaghetti Western Simulator o Bank Panic (tutti esempi di action a scorrimento o simil-FPS prodotti nel corso degli anni ‘80) a un prodotto tanto sconosciuto quanto affascinante come Outlaws (1997), FPS in cel-shading prodotto niente poco di meno che da LucasArts, per terminare con piccoli classici del gioco tattico troppo poco ricordati come i Desperados.

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Outlaws, un western in salsa LucasArts (1997)

Va detto che la “disposizione temporale” di questi giochi è molto particolare, essendo usciti in sparuti gruppi distanziati nel tempo (troviamo un forte uso dell’ambientazione attorno agli anni ‘70 e ‘80, un leggero revival attorno a metà anni 2000 con Gun e CoJ, l’esplosione di Red Dead Redemption nel 2010). Infine, c’è da dire che con l’arrivo di Red Dead Redemption lo standard qualitativo e la capacità di “fotografare” bene il genere attraverso lo strumento videoludico si sono così alzate da far quasi dimenticare molti altri tentativi di portare il Far West nelle nostre console e nei nostri PC (e non è un caso che RDR abbia dato una versione definitiva di tutta la grammatica del gioco western contemporaneo). 

Desperados (2001)

Alfabeto del western: F come Frontiera

Anzitutto, parliamo di atmosfera e “mood”, molto importanti all’interno del western.

In tutte le incarnazioni del genere, analogiche o digitali che siano, il concetto di “frontiera” non è soltanto un luogo geografico localizzato nel quale la vicenda si svolge ma addirittura un elemento narrativo fondamentale.

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Il western è la frontiera, la frontiera il western. 

Non esiste un western tipico che non faccia del suo cavallo di battaglia una storia ambientata in un territorio immenso e senza barriere (anche e soprattutto sociali) in cui gruppuscoli di uomini con scopi diversi se la danno di santa ragione per ottenere soldi e potere. 

Nel videogioco, questo concetto è reso da idee di gameplay che spesso tendono a mettere il giocatore al centro di un mondo ostile: che si tratti di un FPS classico come Call of Juarez o di un action open world come Red Dead, l’idea di fondo che il giocatore deve trovarsi di fronte a un mondo inospitale, sporco, isolato, frammentato, sorta di “rimasuglio” del mondo civilizzato in cui gli ultimi si uccidono a vicenda per raggiungere i loro scopi. 

Non è un caso che per esempio sia il primissimo Call of Juarez sia il primo Red Dead Redemption siano ambientati lungo il confine tra U.S.A. e Messico, territorio western per eccellenza, fra città fantasma, forti isolati, villaggi sperduti, fattorie polverose in cui prosperano criminalità e corruzione.

Alfabeto del Western: V come Viaggio 

Il western è una sorta di sottogenere del racconto d’avventura, una sua declinazione con caratteristiche peculiari e chiare; proprio per questo è quasi banale ritrovare il viaggio a essere una delle colonne portanti della narrazione.

Certo, non sempre è così: esistono interi film western straordinari la cui forza risiede nell’essere ambientati all’interno di un’unica location, spesso un villaggio o una città assediata dai banditi: su questo concetto sono sviluppati capolavori come Un Dollaro D’Onore, Mezzogiorno di Fuoco, L’Uomo che Uccise Liberty Valance, Per un Pugno di Dollari.

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Tuttavia, nel videogioco un’idea di racconto di questo tipo è molto difficile da mettere in campo, poiché nel nostro medium preferito il racconto action deve essere per forza di cose vario, rapido, all’insegna della scoperta di elementi nuovi che facciano progredire la trama in senso orizzontale, pena lo sconfinamento in altri generi come il thriller o l’horror (vedi Resident Evil 2: un perfetto racconto “d’assedio”, interamente ambientato nel distretto di polizia di Raccoon City). 

Inoltre, un buon videogioco western deve anzitutto portarci a visitare la Frontiera, i suoi luoghi, le sue genti, le sue asperità e le sue sfide, proprio perché lo stesso luogo geografico è una sorta di “mega-personaggio” all’interno del racconto (vedi punto uno). 

Non è affatto un caso che tutti i big del genere, e soprattutto Red Dead Redemption e Call of Juarez, siano grandi racconti di viaggio in cui il nostro PG visita molti luoghi differenti e incontra una vasta serie di situazioni.

Da questo punto di vista, l’idea di Rockstar di unire il western con l’open-world è stata una sorta di “genialata definiva”, un approdo perfetto e logico: cosa c’è di meglio di un gioco western che ti permette di provare l’ebbrezza di essere un vero pistolero errante, con tutte le difficoltà che ciò comporta?

Alfabeto del western: S come Sparatoria

Parliamoci chiaro: bello il viaggio, bella la Frontiera, ma il western è ricordato soprattutto per i suoi epici scontri a fuoco, spesso sparatorie interminabili tra gruppi di banditi e rappresentanti della legge o tra pionieri e pellerossa. Gran parte dei livelli o delle missioni di giochi con questo tema sono ovviamente incentrati su questi tipi di scontro, spesso frenetici.

Eppure, per quanto spesso si tratti di fight scene che si rifanno del tutto agli stilemi classici del genere action (sia in prima che in terza persona), il gioco western ha sentito la necessità di reinterpretare questa “fase di gioco” in modo peculiare, introducendo un elemento peculiare nel suo gun system, secondo noi esemplificato in maniera molto bella dal dead eye di Red Dead Redemtpion.

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Call of Juarez (2006)

Di base, il Dead Eye altro non è che un’evoluzione un po’ più peculiare dello slow-motion fatto esplodere sul mercato da Matrix prima e Max Payne dopo, applicato però con finalità artistiche diverse (e varianti ludiche sul caso) all’universo Western. In Red Dead Redemtpion, ad esempio, questo slow motion non soltanto permetteva di interpretare lo sparo quanto più il gesto rituale del tirare fuori la pistola mirare con sovraumana precisione all’intera banda di nemici.

Tale meccanica è stata interpreta in maniera leggermente diversa da Call of Juarez: Gunslinger (2013), e non è un caso: di fatto, quest’implementazione di RDR andava a creare una meccanica in grado di rendere più specifico e adeguato il gun system di giochi che altrimenti avrebbero dovuto mettere in scena un classico showdown da far-west senza disporre di strumenti adeguati. 

Senza dubbio, un bell’esempio di come una necessità “creativa” e di setting sia riuscita a influenzare un gameplay in modo intelligente. 

Alfabeto del Western: D come Duello

Discorso analogo a quello del dead eye vale anche per il Duello, altra figura retorica essenziale per il western. 

Del resto, le cronache storiche su quel periodo sono piene di episodi, veri o presunti non importa, quando si parla di pistoleri che si sfidavano in questo genere di gare mortali. Molti di questi episodi sono stati riportati da cronisti dell’epoca, biografi, storici, e ovviamente hanno ispirato artisti di tutto il mondo. 

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Come ricorderete da Red Dead Redemption, il gioco gestiva questa fase con “regole” diverse da quelle delle sparatorie tradizionali, “bloccando” l’azione e facendo partire una sequenza ad hoc totalmente basata sul rallentamento dell’azione, mescolata a una maggiore attenzione posta nell’atto di estrazione della pistola, da eseguire con magistrale abilità per avere la meglio sugli avversari.

Anche questa componente, ovviamente, aveva lo scopo di ricostruire una figura retorica del genere, tanto centrale da essere diventato iconico sia all’interno del western stesso (quante volte avete visto il frame di un duello a simboleggiare il Far West?) sia al di fuori (avete presente il duello tra Neo e l’Agente Smith in Matrix? Ecco, se non è omaggio quello!).

Alfabeto del Western: C come Crepuscolarismo

L’ultima parola scelta per lo speciale di oggi ci racconta molto del modo in cui il western videoludico si è sviluppato e ha raccolto l’eredità di più di un genere centenario.

Come accennavamo, nelle sue incarnazioni più recenti il western videoludico ha dimenticato completamente le sue origini di racconto glorioso ed epico delle origini degli U.S.A. moderni, per abbracciare una visione molto più cupa, disillusa e crepuscolare di quell’epopea. Non è un caso che le storie di John Marston e Arthur Morgan siano considerate tra le più drammatiche e viscerali del videogioco contemporaneo, in grado di far riflettere su temi profondi come la morte e la redenzione.

In queste storie, il pistolero non è un eroe scintillante e senza macchia, ma la vittima di un contesto sociale violento e difficile che prende la pistola soltanto per sopravvivere al meglio delle sue possibilità.

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L’origine di questa nuova concezione del pistolero viene ovviamente dallo Spaghetti Western leoniano, più sporco, ambiguo moralmente e “rabbioso” dei film di Hollywood, ma è stato alimentato anche da una serie di narrazioni, anche americane, che tra gli anni ‘70 e i 2000 hanno in parte riscritto il western con una sensibilità più moderna (e ispirata anche da Sergio Leone): dai western revisionisti sulla questione dei  nativi americani come Soldato Blu a Gli Spietati di Clint Eastwood, tanto crudo e disilluso da assomigliare più a un noir.

Infine, la scelta di mettere al centro dei videogiochi western contemporanei personaggi così dolenti è di certo un modo per avvicinare il giocatore medio a un’epopea che, se raccontata in modo “classico”, potrebbe apparire davvero troppo ottimista e “lucente” per i palati moderni, troppo disillusi e critici per abbracciare l’immagine del west come “land of hope and dreams”.

Un western diverso è possibile?

Da un punto di vista tematico e di game design, il western videoludico appare oggi come qualcosa di già scritto, “chiuso”, senza “next big things” all’orizzonte, né idee di possibili variazioni sull’argomento che non siano operazioni come Weird West (2022), che però escono fuori di contenuti base del genere per abbracciare altri temi, come l’horror o la fantascienza.

Il western classico, quello dei pistoleri, degli indiani, dei saloon, sembra relegato completamente all’interno della saga di Rockstar, e sembra che al momento i programmatori non avessero intenzione di riesumare questo tema anche soltanto all’interno di giochi più “piccoli”, anche indie. Un’operazione che forse avrebbe senso, anche guardando l’enorme varietà della controparte cinematografica. 

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Per fare qualche esempio: come lo vedreste una sorta di Trek to Yomi con un pistolero al posto del nostro meraviglioso samurai? E come lo vedreste un Payday ambientato nel Far West, con una fase di pianificazione unita a una di azione, come una sorta di Desperados ma FPS tattico?
Per non parlare di certi possibili utilizzi dell’avventura narrativa stile Quantic Dream, utile per esempio a raccontare pagine della storia del West che il semplice racconto d’avventura non può sviscerare nella sua interezza: in primis, la storia della segregazione dei Nativi Americani. E, per quanto insolito, persino uno strategico a volo d’uccello potrebbe darci esperienze interessanti.

La lista, a giudizio di chi scrive, potrebbe essere davvero molto lunga, e il mercato dei videogiochi non è estraneo a operazioni “minori” in grado di trasporre in videogioco alcuni aspetti poco consueti di un tema: pensiamo al “gioco di guerra”, in cui accanto a classici come Battlefield o Call of Duty sono nati piccole operazione autoriali come Valiant Hearts, This War of Mine o My Memory of Us. E anche temi più “pop”, come il Giappone medievale, sono stati trattati tanto da giochi mainstream giganteschi come appunto Ghost of Tsushima quanto da discrete prove come Trek to Yomi.

L’importante, tuttavia, è che il western continui a vivere nel videogioco, e a raccontare storie appassionanti e in grado persino di scavare nell’animo umano: se ciò non accadesse più, sarebbe davvero un peccato capitale.