Borderlands 4 è finalmente libero e sono liberi i suoi giocatori, anche di non ridere: vi spieghiamo perché nella nostra recensione
Se c’è una costante nella vita, oltre alle tasse e al vicino che taglia l’erba alle sette del mattino, è che i videogiochi che hanno venduto milioni di copie hanno sempre il budget per tornare ancora e ancora. Questo è il caso di Borderlands, saga che non ha mai incontrato il plauso assoluto della critica ma che è sempre riuscita a tornare sulla cresta dell’onda, anche dopo aver partorito uno dei film più brutti degli ultimi anni.
Borderlands 4, nonostante Randy Pitchford faccia davvero il possibile per farlo odiare a buona parte dei videogiocatori che utilizzano i social network, è un videogioco che ha diverse cose da dire e lo fa con una grammatica molto più libera rispetto al passato, complice anche la sacrosanta scelta di impiegare l’open world come framework per il design, invece delle tradizionali mappe aperte dei precedenti capitoli. Vediamo insieme come se l’è cavata sul campo.
Un gameplay che non sta mai fermo (letteralmente)

Siamo sicuri di una cosa: Pitchford e soci, prima di mettersi al lavoro su Borderlands 4, hanno fatto un mea culpa e cercato di capire cosa potevano migliorare rispetto a quanto combinato con gli ultimi capitoli mainline della saga, DLC compresi. Sebbene non tutto quanto sia nadato per il verso giusto, siamo abbastanza sicuro che Borderlands 3 sia stato spolpato nella maniera corretta per tirare fuori, da questo quarto capitolo, un gameplay che potesse fare la differenza.
La prima, tra le tante, è un rinnovato senso di libertà consegnato nelle mani del giocatore; Borderlands 4, cambiando personaggi, cambiando ambientazione, cambiando parzialmente stile ha scelto di incontrare uno stile di gioco più dinamico, pigiando l’accelleratore senza guardarsi indietro. I movimenti del giocatore sono stati potenziati con una serie di nuove possibilità: doppi salti, scatti in aria, arrampicate simil parkour e persino un rampino multifunzione da sfruttare in specifici punti della mappa.

Saltare su un tetto, agganciarsi a una sporgenza e calare giù granate su un gruppo di nemici ormai confusi è una strategia possibile in Borderlands 4, complice un level design che punta anche sulla sua verticalità per offrire al giocatore un nuovo modo di divertirsi. Questo miglioramento generico del level design si riscontra anche nell’encounter design che, ad ora, è decisamente variegato brilla moltissimo durante le bossfight, che riescono ad essere intriganti anche per le situazioni davanti cui mettono il giocaore. Una delle primissime bossfight del gioco, ad esempio, chiede al giocatore di arrampicarsi su piattaforme mobili, evitare laser e capire quando colpire l’avversario per farlo diventare debole: una serie di scelte che nei giochi precedenti era completamente assente ma che qui trova modo di brillare.
Queste scelte, chiaramente, hanno peggiorato una piccola parte dell’esperienza di gioco: quella dell’immediatezza e della leggibilità. Le prime ore di gioco, con tutte queste possibilità, sono sicuramente meno leggibili che in passato e potrebbero disorientare i giocatori meno pazienti; siamo comunque sicuri che questi rimarranno incollati col pad in mano però grazie a quello che è il “solito” punto forte del gioco: l’arsenale.
Bing bang boom e altri suoni guerreschi
L’elemento centrale dell’esperienza di Borderlands, sin dal primissimo capitolo, è stata una e una sola: armi, tante armi, tantissime armi. Un arsenale virtualmente infinito, magari un po’ ripetitivo sulla lunga durata, ma di sicuro incapace di farsi definire come “limitato”. In Borderlands 4 Gearbox, più che mai, ha cercato di far unire qualità e quantità all’interno dello stesso algoritmo.

Ci sono sì miliardi di combinazioni, ma questa volta i produttori di armi hanno identità ancora più marcate; i brand hanno le loro caratteristiche e le loro “regole di design” che modificano l’esperienza ludica. A questo si aggiunge la possibilità di interagire con armi ibride che mischiano caratteristiche di diversi produttori, creando così combinazioni folli e parzialmente bilanciate di distributori casuali di morti.
Inutile dire, poi, che Gearbox ha cercato di studiarsi bene anche il comparto dei “drop” per rendere l’esperienza generalmente più gratificante. Da una parte c’è la possibilità di ritentare i boss in maniera quasi istantanea, rendendo la caccia alle armi più potenti più divertente, dall’altra ci sono meno armi spazzatura in circolazione e più oggetti in grado di stimolare il theorycrafting. Cambiare build è una tentazione continua quando si hanno così tanti strumenti interessanti dal punto di vista del mero gioco di ruolo: c’è molto di più di cui preoccuparsi rispetto ai semplici numerini dei danni che aumentano.

A questo andrebbe aggiunto poi anche un ulteriore dettaglio: le armi sanno anche essere uniche, anche essere dissacranti, anche essere fastidiose! Ci sono effetti secondari originali rispetto al passato, linee di dialogo proprie degli equipaggiamenti, sinergie mai viste prima nella saga e tutto questo ad armonizzarsi con un cast di comprimari che, almeno dal punto di vista del mero divertimento videoludico, sa davvero il fatto suo.
Nuovi protagonisti e nuovi nemici
Non c’è Borderlands senza un cast di personaggi tendenzialmente sopra le righe e non sempre divertentissimi; B4 non fa eccezione e con i suoi nuovi 4 cacciacripta inediti cerca senza dubbio di soddisfare il giocatore almeno dal punto di vista del mero gioco di ruolo. Oltre alla personalità spiccata, infatti, questi personaggi hanno alberi delle abilità profondi il giusto da permettere la costruzione di build di vario tipo, con anche interessanti picchi di originalità.

Vex, ad esempio, ha dalla sua la capacità di alterare il corso del tempo per nemici e alleati, giocando con i cooldown e con il movimento. Le sue abilità hanno tempi di ricarica più lunghi degli altri ma hanno la capacità di ribaltare un’intera battaglia in men che non si dica. Rafa, invece, è il perfetto esempio di tank in grado di trasformare la sua elevata capacità difensiva in un moltiplicatore per l’attacco, infliggendo pesanti danni agli avversari tanto più è stato colpito nei momenti immediatamente precedenti. Amon, mescolanza interessante tra ingegnere ed alchimista, è in grado di creare gadget di vario tipo ed è il personaggio più legato allo sfruttamento intelligente degli attributi elementali all’interno del gioco. Chiude il quartetto Harlowe, il cecchino del gruppo, che ha dalla sua una certa predilizione per le armi a lunghissima distanza oltre che la capacità di piazzare trappole letali; a lui è associata una delle abilità più assurde del gioco: quella di vedere il suo danno moltiplicarsi se rimane immobile per più di dieci secondi.
Dal punto di vista prettamente ludico questi personaggi sono tutti quanti abbastanza interessanti, con delle variazioni sul tema rispetto a archetipi già esplorati nei precedenti capitoli della saga che hanno il loro perché ma è inutile girarci attorno… in termini di scrittura non sono esattamente il meglio che il brand ci abbia proposto nel corso degli anni.
Anzi.
La più grande novità che B4 sfrutta nel suo arco è senza dubbio Kairos, un nuovo mondo di gioco che, dalla sua, introduce nel brand un upgrade tanto desiderato quanto atteso: un open world vero, in cui perdersi e in cui c’è davvero tanto da esplorare, quasi da essere “soffocante” inizialmente.

Il pianeta in cui è ambientato il gioco di Gearbox è fatto di tante zone interconnesse tra loro e liberamente esplorabili, in cui c’è una verticalità ben sfruttata dal game design e in cui la sensazione di esplorazione è tangibile, oltre che reale. Le mappe sono collegate tra di loro in maniera organica e sono tappezzate di cose da fare, tra missioni secondarie, segreti da scoprire ma anche eventi dinamici ali quali partecipare per poter mettere le mani su loot più o meno pregiato.
Questa rinnovata libertà è rispecchiata anche dall’approccio alla progressione, meno lineare e più interessante. Le quest principali si possono affrontare nella maniera che si preferisce, sempre a patto di essere disposti a prendersi i rischi del caso; c’è chiaramente ancora del lavoro da fare, principalmente in ottica di quest design e di rifiniture nel level design ma la strada sembra essere quella giusta per offrire un’ esperienza complessiva di qualità. Le missioni secondarie, invece , spesso e volentieri non fanno un uso attento del mondo aperto come magari sarebbe stato lecito aspettarsi spezzando il ritmo mentre ci sono alcuni muri invisibili che sono mal implementati con la costruzione “open” delle mappe di gioco, e che fanno innervosire in più di un’occasione.
Una scrittura che espone il fianco a qualche dubbio di troppo
Una delle motivazioni per il quale Borderlands è riuscito a sopravvivere a quasi vent’anni di storia nel mondo dei videogiochi è stato il suo cast, composto da personaggi risultati “originali” e “ben scritti” in un momento storico in cui la sceneggiatura nei videogiochi era ancora da molti appassionati di sparatutto considerata come un elemento accessorio. Tanto più è passato il tempo e tanto più il livello della scrittura si è alzato, venendo giusto parzialmente raggiunto dagli standard di scrittura di Gearbox, con uno scivolone generico nel terzo capitolo che è stato ampiamente criticato per una qualità dei dialoghi e in generale della sceneggiatura non alla pari con quanto veniva fatto nel precedente capitolo della saga.

Borderlands 4 da questo punto di vista è un grande passo in avanti fatto rispetto al precedente capitolo ma non riesce del tutto a spiccare il volo; il nuovo cattivo, il Cronocustode, funziona più che decentemente ma non è accompagnato da vicende esaltanti come, magari, lo sono state quelle di Borderlands 2, che faceva di Handsome Jack il punto di partenza per una narrazione in grado di tenere il ritmo quasi sempre nel punto giusto.
Il problema maggiore, forse, lo si ha nel cercare continuamente la risata con il “solito” umorismo del gioco; scrivere per far ridere è sempre piuttosto difficile, questo lo sappiamo tutti quanti, ma la costante ricerca di momenti comici da parte dei vari comprimari dei quali è composto il gioco. C’è qualcuno in sala che sopporta ancora Claptrap? Non è un caso che abbiano aggiunto uno slider per ammutolirlo, non vi pare?
Si, ma quanto dura?
Borderlands è un videogioco che da il meglio di sé non quando giocatore in singolo ma quando approcciato insieme a un gruppo di amici attraverso la modalità cooperativa, vero fulcro del gioco anche e sopratutto sul lungo periodo. Non è un caso che parte delle abilità di ogni singolo personaggio siano completamente dedicate alle loro espressioni in un contesto cooperativo, con sinergie di buff per gli alleati o abilità complementari che sbloccano il loro vero potenziale soltanto quando utilizzate in tandem con gli altri personaggi.
L’endgame, in questo caso, è stato gestito in maniera sorprendentemente intelligente: abbiamo dungeon procedurali che si modificano parzialmente ogni volta che ci si approccia a loro, arene a ondate che aggiungono modificatori casuali di vario tipo all’esperienza finale e un sistema di difficoltà scalabile che permette ai giocatori di ottenere loot di qualità migliore se riescono a superare le sfide di volta in volta. A tutta questa offerta vanno aggiunto poi gli eventi che compaiono nel mondo di gioco, non così distanti da quanto fatto, ad esempio, dai games as a service più famosi senza però l’alone delle microtransazioni sopra le spalle.
Chi vuole farmare potrà farlo, anche per tantissimo tempo prima di annoiarsi seriamente.
Oh no… è di nuovo Unreal Engine 5
Arriviamo quindi alla patata bollente: come si comporta Borderlands 4 se lo analizziamo seguendo un profilo tecnico? Visivamente parlando il gioco di Gearbox continua a utilizzare il cel-shading come sommo scudo: da buon marchio di fabbrica il gioco è artisticamente in linea con i precedenti e tendenzialmente molto bello, ma inutile dire che la scelta di stilizzare tutti i modelli poligonali sacrifica dettagli che al giorno d’oggi siamo più che abituati a vedere nelle produzioni altre.
Non potendo caricare le scelte visive di dettagli, Gearbox ha saggiamente scelto di abbondare con effetti particellari di ogni tipo e misura, costruendo quindi un arsenale notevole di esplosioni, ghirigori, fuochi d’artificio e chi più ne ha più ne metta; questi durante gli scontri non smettono mai di comparire a schermo dando sempre un notevole senso di spettacolarità, con il piccolo problema che gli scontri non sempre sono leggibili, specie durante le fasi più “avanzate” dell’avventura.
A lasciar davvero perplessi, anche in più punti, è l’interfaccia utente: l’assenza di una minimappa costringe ad affidarsi a un radar di fatto inutile (tolta la possibilità di comprendere la posizione dei nemici) o a una bussola in cui però le icone sono tutte terribilmente simili tra loro. Il menu dell’inventario? TI costringe a un sacco di inutile crawling per capire cos’hai e cosa non hai, senza contare che non ti permette di manipolare facilmente le montagne di oggetti ottenute; ce ne sarebbero tante di cose da dire al riguardo ma, fortunatamente, si possono risolvere nel giro di poche patch.
Per il resto Borderlands 4 ha dalla sua colori più vibranti, animazioni più fluide e ambientazioni con un buon colpo d’occhio, almeno finché Unreal 5 non decide di comportarsi come il motore che è. Per quanto le prime patch (e sopratutto gli update dei driver di NVIDIA, almeno nel nostro caso) abbiano effettivamente migliorato la situazione, anche senza dover per forza puntare a un preset max (non abbiamo hardware adatto, purtroppo per noi) abbiamo assistito a notevoli cali di frame e anche in momenti completamente randomici, tipo chiudendo la mappa di gioco. indubbiamente nel corso dei prossimi mesi la situazione migliorerà, ma nel frattempo Randy Pitchford su Twitter sta facendo davvero il possibile per inimicarsi chiunque.
Conclusioni
Gearbox ha deciso di abbracciare una struttura di gioco più libera rispetto al passato e così facendo ha liberato Borderlands da alcune delle catene che non avevano permesso al terzo capitolo di brillare come meritava. Il supporto del gioco sul lungo periodo sarà ciò che farà la differenza per i giocatori di domani ma la saga ha sempre avuto tantissimo da dire in termini di supporto continuativo, risultando mai avara di contenuti. Questi permetteranno ai giocatori di apprezzare quello che è il gameplay migliore della serie, nonostante tutta una serie di limitazioni in termini di scrittura o design che forse vedremo scomparire con il prossimo capitolo della saga.
Voto finale: 8

