Recensione The Station

The Station Recensione

Non ci sono mezze misure: i puzzle-adventure si amano o si odiano. Vagare per una città deserta alla ricerca di indizi e risolvendo indovinelli può risultare noioso per molti giocatori, o la massima ambizione, in termini videoludici, per tanti altri. In generale, sono stato sempre attratto dalle avventure incentrate sulla trama e l’ambientazione, e sono sempre disposto a scendere a compromessi sul livello tecnico fornito se in un titolo gli enigmi proposti e la storia narrata dimostrano di avere un certo spessore. Per questi motivi, già dal suo annuncio, sono stato incuriosito da The Station, avventura in prima persona ad opera dell’omonimo team di sviluppo esordiente. Perla imperdibile o flop prevedibile? Proseguite la lettura per scoprirlo.

 

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Un’intera stazione spaziale tutta per noi. Divertimento assicurato(?)

Verso l’infinito ed oltre!

The Station, come il titolo può farvi pensare, è ambientato sulla stazione spaziale The Espial, la più avanzata e performante base prodotta da Axiom, dotata di un sistema di mimetizzazione che può renderla completamente invisibile. Ci troviamo in un punto non specificato del futuro, in cui la Axiom Space Agency scopre il pianeta Psy Prime a circa 86.000 anni luce dalla Terra. Le cose che rendono il pianeta interessante sono la possibilità di essere potenzialmente abitabile dagli umani ed il fatto che in quel momento esso sia effettivamente abitato da una forma di vita intelligente e sviluppata.

Apparentemente, Axiom decide di inviare la The Espial e il suo piccolo equipaggio composto da tre persone a trarre informazioni sulla cultura e la tecnologia aliena. L’equipaggio scoprirà poco tempo dopo che i veri mandanti dell’operazione sono invece i principali governi mondiali, preoccupati dal fatto che la civiltà appena scoperta – in quel momento devastata da una logorante guerra civile – possa appunto rivelare la sua natura belligerante nei confronti dell’umanità. Ad un certo punto, comunque, i contatti con la stazione spaziale si interrompono bruscamente: il giocatore assume quindi i panni di un ricognitore inviato sulla The Espial da Axiom (o chi per essa), al fine di constatare le condizioni dell’equipaggio, ed in caso, mettere in salvo esso e l’umanità tutta.

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C’è nessunooooh? – Il compito del giocatore è recuperare l’equipaggio.

I presupposti della trama, sebbene in qualche modo stereotipati, sono senza dubbio interessanti. Già prima di mettere piede all’interno dei bui corridoi della stazione sappiamo che avremo a che fare con un’avventura “in solitaria”. Senza scendere nei dettagli, appena arrivati a bordo, saremo accolti da un profondo senso di solitudine. La prima stanza che ci troveremo ad esplorare è la Lounge: in questo primo ambiente esplorabile avremo l’occasione di interagire con il primo audiolog del gioco. L’unico modo per ricostruire l’accaduto è raccogliere appunto queste registrazioni e rivivere le esperienze dell’equipaggio. Ne troviamo almeno uno praticamente in ogni stanza della stazione, e saranno salvati tutti nel menù in-game, che offre la possibilità di riprodurli nuovamente in seguito.

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Talvolta gli ambienti sono ben realizzati e ricchi di dettagli…

Ologrammi e mal di mare

Il primo contatto con l’interfaccia di gioco è piuttosto deludente: i comandi, seppur basilari e limitati, com’è giusto che sia in un titolo del genere, sono piuttosto imprecisi e scomodi. Già nei primi attimi ho sentito la necessità di mettere in pausa e regolare la velocità di movimento della visuale. Il menù in gioco, contenente oltre al suddetto log delle registrazioni, un piccolo inventario e la mappa degli ambienti già esplorati, è fornito al giocatore sotto forma di un ologramma fluttuante, simile a quanto visto ad esempio con Dead Space. A differenza di quest’ultimo però, la finestra e le icone vengono “evocate” e fluttuano staticamente sul posto – tant’è che in prossimità di una parete il gioco notifica l’impossibilità di aprire la schermata e consiglia al giocatore di spostarsi in un ambiente più aperto.

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…altre volte sono spogli e piatti. Ma poi, a cosa servono tutte queste postazioni se erano in tre?

Per interagire con i pulsanti, poi, dovremo centrare la visuale su di essi – un po’ come con i computer nel più recente Prey, per intenderci. La soluzione, stilisticamente vantaggiosa, è una delle più scomode e peggio realizzate degli ultimi tempi. Allo stesso modo, anche sui “computer” sparsi nel mondo di gioco prediligono l’estetica alla funzionalità, e spesso mi è capitato di dovermi concentrare per riuscire a capire quale parte dell’interfaccia o pulsante fosse evidenziato per essere premuto. Con lo scopo ultimo di aumentare l’immersività visiva, gli sviluppatori hanno adottato un approccio ai menu di gioco che rompe l’immediatezza e paradossalmente contribuisce a creare esattamente l’effetto contrario.

Non c’è spazio, non solo per l’immaginazione

Gli ambienti, talvolta ricchi di dettagli e meticolosamente costruiti, in molti altri casi spartani ed anonimi, sono ovviamente costituiti dai vari scomparti della The Espial. L’intera struttura non è molto grande, limitando di conseguenza anche la durata totale dell’avventura. Le stesse stanze, quando non contengono un puzzle da risolvere, dimostrano di essere state piazzate sulla mappa con il mero scopo di contenere una registrazione da raccogliere o una postazione con un messaggio da leggere. E ancora, questi ultimi, nella maggior parte dei casi sono inutili e non forniscono lore aggiuntiva. Ho potuto contare sulle dita di una mano i messaggi contenenti informazioni utili o indizi per la risoluzione di un enigma. I pochi documenti sparsi risultano invece più utili sotto questo punto di vista.

I tasselli mancanti del puzzle

Lungi da me aspettarmi che un progetto nato da un Kickstarter come The Station potesse eguagliare livelli qualitativi offerti da una produzione AAA, ma il piccolissimo studio responsabile del gioco sembra aver trascurato completamente ogni fase di testing. I puzzle, fulcro delle meccaniche di gioco, sono di una semplicità disarmante: uno di questi richiedeva di raccogliere quattro oggetti sparsi in una stanza, oppure mi è toccato ridare energia ad una sezione della nave interagendo su due interruttori olografici posto davanti al portellone di entrata.

Un altro enigma di chiedeva di entrare dentro un ufficio per recuperare un oggetto chiave, necessario per il proseguimento. L’ufficio era bloccato da una serratura a combinazione, e un documento affisso di fianco alla porta, in bella vista, mi chiedeva di raccogliere un libro da uno scaffale poco distante. In questo caso mi sono imbattuto addirittura in un game-breaking bug: il libro andava fisicamente raccolto e spostato con il cursore fin davanti alla porta, per poter copiare poi la combinazione sulla serratura. Peccato che, dopo averlo posato a terra, tale libro sia improvvisamente sparito, bloccandomi fuori dall’ufficio. Complice anche l’assenza di un sistema di salvataggio automatico, ho dovuto ricaricare un salvataggio manuale molto precedente. Il problema si sarebbe posto anche nel caso, per qualunque ragione, avessi spostato il libro in questione in qualunque altro posto, dimenticandone poi la posizione. Trattandosi di un oggetto chiave, sarebbe bastato aggiungerlo automaticamente all’inventario dopo averlo trovato ed aver interagito con esso.

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I puzzle sono ridicolmente facili; ne consegue che il livello di sfida si perde nello spazio profondo.

Una scarsa rifinitura è riscontrabile anche in un framerate altalenante, che dalla mia prova su PlayStation 4 dimostra improvvisi e drastici cali soprattutto in presenza di ambienti più ampi. Nemmeno il sonoro fa eccezione, con musiche poco incisive, suoni abbozzati ed un sottofondo ambientale che risente di numerosi scatti e crepitii dovuti all’assenza di un mixaggio appropriato.

Quando mi trovo davanti a prodotti indie si può chiudere un occhio sulla qualità tecnica proposta. Un prodotto a budget limitato può brillare invece per altre caratteristiche, come una trama ricca, delle meccaniche originali o un gameplay fluido e immediato. Non è però il caso di questo The Station, una produzione mediocre che pecca sia dal punto di vista tecnico che da quello concettuale.