Harvest Moon The Lost Valley – Recensione

Recensione di Gianluca “DottorKillex”Arena

Un tempo prerogativa di poche serie videoludiche, tra le quali spiccava quella di Harvest Moon, le simulazioni a base di roncola, pala e sementi si sono diffuse a macchia d’olio con l’avvento di smartphone e tablet, soprattutto perché le dinamiche di attesa tipiche dei giochi free-to-play ben si sposano con quelle di questo genere di giochi, in cui ha senso aspettare, ad esempio, che un campo seminato inizi a dare i suoi frutti.
Natsume e Rising Star Games ci propongono oggi Harvest Moon The Lost Valley su 3DS, quasi un reboot per una saga un tempo gloriosa che, negli ultimi anni, ha vissuto di alti e bassi.

Un nuovo inizio

In seguito ad una serie di beghe legali che hanno a che fare il nome del franchise, gli utenti 3DS si troveranno adesso a scegliere tra due possibilità diverse, entrambe legate alla serie che hanno imparato ad amare nel corso degli anni: da un lato, Marvelous e Xseed hanno proposto (per ora solo negli Stati Uniti) Story of Seasons, che, pur non condividendo il nome, è il seguito spirituale del prodotto che i fan conoscono da anni, mentre Natsume e Rising Star Games, che pure detengono i diritti del franchise, propongono questo The Lost Valley, che con i titoli del passato condivide solamente il nome ed alcune delle feature, ponendosi piuttosto come un capitolo di rottura e di rinascita della saga.
A balzare subito all’occhio, sin dalle prime ore di gioco, sono una serie di mancanze ed aggiunte che, sebbene finiscano con il bilanciarsi a livello quantitativo, detraggono divertimento e varietà dall’esperienza di gioco, impoverendone i tratti fondamentali che ne avevano decretato il successo nel corso degli ultimi vent’anni (la serie nacque durante l’era 16 bit, su Super Nintendo).
Sebbene sia ancora possibile scegliere nome e sesso del proprio alter ego, le interazioni sociali che era possibile instaurare e l’anima da gioco di ruolo, con una discreta importanza rivestita dai dialoghi, sono state notevolmente impoverite, complice l’assenza di un villaggio, con venditori, questuanti e personaggi non giocanti che si recheranno al cottage di montagna che il nostro personaggio elegge a dimora durante la fase introduttiva del gioco.
Un pretesto narrativo (la sparizione della Dea del raccolto, la cui assenza ha gettato le terre in un perenne letargo innevato) giustifica la lentezza e la ripetitività della prima decina di ore di gioco, che comunque, anche quando il gioco si apre un po’, non raggiunge mai livelli di divertimento accettabili.

Meno libertà, più impegni noiosi

Il gameplay tenta goffamente di riprendere gli stilemi tipici della saga (arare, coltivare, annaffiare e prendersi cura dei campi sono azioni ancora presenti e preponderanti), con alcune della caratteristiche che hanno decretato il successo di Minecraft, come la possibilità di darsi al “terraforming”, modificando in maniera consistente la morfologia del terreno, abbassando dislivelli, disboscando aree verdi e così via.
Il problema consiste nel fatto che, dopo aver gettato nel calderone queste idee, che, se ben implementate, avrebbero sicuramente portato una ventata di aria fresca nella serie, il team di sviluppo non si è curato di realizzarle a dovere, abbandonando il giocatore a se stesso dinanzi a centinaia di blocchi che devono essere lavorati uno ad uno, con una lentezza disarmante, che fa il paio, come detto, tanto con quella della trama principale, quanto  con quella relativa all’acquisizione di strumenti e semenze avanzate, che potranno essere ottenute solamente dopo diverse ore di gioco.
L’alternanza tra attività (ci sarà anche da pescare ed allevare bestiame, tra le altre cose) allevia solo in parte il tedio derivante dall’esecuzione pedestre di azioni assai semplici che non restituiscono alcun senso di soddisfazione, complice un menu contestuale che, pur funzionando discretamente bene, pecca di precisione in molti frangenti.
Nonostante, facendo affidamento sul contatore interno, abbia finito con il passare oltre venti ore nel mondo creato da Natsume, l’unico modo per non risentire eccessivamente della sensazione di noia incombente è stato quello di limitare la durata delle sessioni di gioco, proprio come moltissimi utenti dei social network più diffusi fanno con i farming game free-to-play.
Questo la dice lunga sul grado di coinvolgimento che il gioco (non) è capace di trasmettere e sull’incapacità di trama e personaggi di accalappiare l’attenzione del videogiocatore.
Non aiuta nemmeno la scarsità di operazioni effettuabili in certi frangenti: se, in assoluto, le cose da fare non mancano, determinate giornate virtuali potrebbero concludersi molto prima di quanto sperato perché, una volta effettuato il raccolto e scavato qua e là, potrebbero non esservi ulteriori attività da portare a termine o il nostro alter ego potrebbe essere stanco, come prontamente indicato da un indicatore con i cuori di zeldiana memoria in alto a sinistra.
Il risultato finale è un mix poco riuscito tra la creatura Mojang e un simulatore di fattoria, lontano parente, ahinoi, dei migliori episodi della saga.

Mezzi limitati

Soffermandosi sul comparto tecnico, si rafforza la convinzione che il titolo sia stato sviluppato con un budget molto limitato, il che, in sé, non sarebbe nemmeno un problema eccessivo, soprattutto su una console portatile come 3DS, se almeno si fosse provato a concentrarsi sul character design e sul versante artistico.
Alla prova dei fatti, invece, Harvest Moon The Lost Valley (non includo il 3D contenuto nel titolo semplicemente perché, di fatto, non è stato implementato nel gioco…) risulta anonimo e squadrato, privo del design rotondo ed efficace che ha rappresentato a lungo uno dei marchi distintivi del franchise, con una costruzione poligonale insufficiente e un set di animazioni troppo povero per soddisfare anche un’utenza non troppo schizzinosa come quella della console portatile della grande N.
A volersi lasciar prendere dalle numerose attività e dalle continue richieste dai cittadini, piuttosto che dalla scelta tra tre possibili sposi/e, The Lost Valley potrebbe intrattenere anche per una trentina di ore, ma la maggioranza di queste le si passerebbe a compiere azioni meccaniche ed assai poco appaganti.

Commento finale

Nonostante un nome capace di evocare dolci ricordi per gli appassionati delle simulazioni e dei gestionali, Harvest Moon The Lost Valley si rivela un titolo debole e noioso, che, nel tentativo di rinnovare la saga e rinforzarne le fondamenta, perde per strada moltissimi degli elementi che ne avevano decretato il successo nel corso degli anni.
Una serie di obiettivi banali, un sistema di controllo a tratti impreciso, un design che manca di ispirazione sono solo alcuni dei problemi di un prodotto che offre poco più di un browser game ad un prezzo considerevolmente più elevato.