Perché il VR fa bene a tutti, non solo alle mucche

Se per caso ieri aveste deciso – con tutta la nostra invidia – di prendervi un giorno di isolamento da internet, sappiate che tutto il mondo oggi invidia le mucche russe. Il perché è semplice: alcuni ricercatori di Mosca hanno provato ad utilizzare la realtà virtuale per migliorare la produttività delle mucche, il tutto mentre il resto del mondo piange perché non potra permettersi di giocare ad Half-Life: Alyx. Per quanto possa sembrare assurdo, c’è in realtà una logica molto precisa dietro a tutto ciò, derivante direttamente dagli studi fatti sugli esseri umani. Una sperimentazione animale al contrario, in un certo senso. Vediamo di capirci di più.

L'allevatore tiene la testa della mucca, con sopra il visore VR

Il VR fa bene, lo dice la scienza

La realtà virtuale viene studiata dal mondo accademico sin dagli anni 70. Allora le tecnologie erano decisamente più spartane, ma nonostante i limiti tecnologici si è comunque dimostrata la tendenza del nostro corpo a credere nei sensi nonostante sia conscio dell’inganno. Negli anni, numerosi studi hanno confermato che l’esperienza acquisita in realtà virtuale diventa parte delle nostre memorie, ed è quindi possibile trasferire le conoscenze acquisite nel mondo virtuale in quello reale. Le scienze mediche hanno tratto un enorme vantaggio da questo fenomeno, specialmente per il trattamento di due problemi mentali: le fobie ed i PTSD (Disturbo da stress post-traumatico).

Nel primo caso, quello del trattamento delle fobie, la realtà virtuale permette ai medici di scalare l’esperienza in base alla gravità del paziente, e di lasciare che sia lui stesso ad interagire con il mondo nella maniera che più lo mette a suo agio. Il tutto avviene all’interno di un contesto fortemente controllato, in cui i parametri vitali del paziente vengono monitorati di continuo per evitare attacchi di panico.

Facciamo un esempio pratico: immaginate un paziente aracnofobico, durante una prima sessione si trova in una stanza ampia, con un ragno fermo in lontananza sulla finestra, di piccole dimensioni. Col progredire delle sessioni, il paziente viene abituato alla presenza del ragno, che viene man mano “aggiornato”. Prima inizia a camminare lentamente, poi a saltare, poi diventa lievemente più grande, poi al paziente viene chiesto di avvicinarsi, e così via. Gli studi dimostrano che, nella maggior parte dei soggetti, questo tipo di terapia riesce a mitigare se non cancellare la fobia anche nel mondo reale.

Una ragazza prova un ambiente virtuale per curare l'aracnofobia
Da’fastidio al solo pensiero. Figuriamoci essere pure aracnofobici

Nel secondo caso invece, come succede per le mucche, pazienti che hanno subito traumi vengono messi a loro agio all’interno del visore, e col supporto di uno psicologo vengono aiutati e metabolizzare l’esperienza traumatica e a renderla meno invalidante nella vita quotidiana. In entrambi i casi la qualità degli scenari passa in secondo piano. I pazienti hanno una soglia di allarme così alta che un disegno potrebbe far scattare reazioni violente, figuriamoci degli stimoli calibrati su misura che oscurano completamente la vista. Il VR diventa dunque uno strumento fondamentale per la risoluzione di un problema medico, il tutto in uno spazio controllato e con un abbattimento dei costi.

Un soldato prova un visore custom di VR
L’esercito americano ha dotato almeno 100 basi di strumenti per il trattamento di PTSD

Mucche HI-tech in Russia, cosa c’è di vero

Qualcuno in Russia deve aver letto gli studi sopra citati e deve essersi chiesto: “chissà se funziona anche sugli animali”. La notizia è comparsa per la prima volta il 25 novembre di quest’anno sul sito mosreg.ru, un sito filo-governativo di news che riporta notizie dalla regione di Moscow Oblasta. Secondo l’articolo, gli esperti del sito milknews.ru (che si, esiste davvero) hanno utilizzato dei prototipi di visore, adattati alla fisionomia della mucca, per stimolarne la produttività mostrando dei campi in estate durante giornate uggiose.

Per quanto l’idea sia folle, esistono già in letteratura molti studi che dimostrano come un animale felice produca materie prime di migliore qualità, e l’esperimento di base avrebbe una sua logica, nonostante il rapporto costi-benefici lasci quantomeno interdetti. Finora si erano registrati tentativi molto più spartani, come l’utilizzo di musica classica sparata a tutto volume all’interno delle farm, ma è senza dubbio la prima volta che si fa un uso così massiccio di realtà virtuale su animali.

Sempre stando a quanto riportato dall’articolo, l’utilizzo del visore ha portato un generico miglioramento dell’umore e una riduzione dello stato d’ansia, confermando ciò che gli ultimi 20 anni di ricerca hanno già dimostrato sugli esseri umani. E’ già prevista una seconda fase volta ad analizzare la qualità del latte, i cui risultati verranno in teoria discussi in alcune conferenze del settore, sempre in Russia.

La mucca con il visore di realtà virtuale in testa
Si, state invidiando una mucca

Insomma, data l’autorevolezza della fonte ed il fatto che le immagini non sembrano essere state ritoccate, viene da presupporre che la notizia sia vera. La maggior parte delle testate mondiali, da The Verge  al Telegraph, hanno dato la notizia per buona, e noi ci sentiamo di allinearci. L’unico modo di confermare ufficialmente il lavoro ed i risultati sarebbe avere un articolo scientifico pubblicato su una rivista peer-reviewed, ma visti i tempi richiesti dal processo è improbabile che possa avvenire nei prossimi mesi. Fino ad allora noi continueremo divertiti ad invidare le mucche russe, e a chiederci se su quei visori ci possa girare Half-Life.